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Perché “Ritratto di un artista” di David Hockney è così importante

Venduto da Christie's per 90 milioni dollari, il quadro più costoso di un artista vivente racchiude in un'immagine sola una serie di simboli.

di Clara Mazzoleni

La sera di giovedì 15 novembre la casa d’aste Christie’s New York ha venduto una grande tela di David Hockney datata 1972, “Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)”. Il quadro è stato acquistato da un compratore misterioso per 90,3 milioni di dollari (79,5 milioni di euro), diventando l’opera più pagata di sempre di un artista vivente e battendo il record di Jeff Koons, “Balloon Dog (Orange)”, che nel 2013, sempre da Christie’s New York, raggiunse 58,4 milioni di dollari (46 milioni di euro all’epoca). I protagonisti di “Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)” sono due uomini: uno vestito a bordo piscina e un altro, in costume, che nuota sott’acqua. La scena è ispirata a una serie di fotografie che Hockney scattò a una piscina nel sud della Francia: l’uomo in piedi è il compagno dell’artista, il pittore Peter Schlesinger, dipinto a partire da alcune foto scattate nei giardini di Kensington. Hockney dipinse il quadro nel periodo seguente alla rottura definitiva con lui.

“Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)” è una delle opere che compaiono nella serie BoJack Horseman: nella villa a Los Angeles della star decaduta è appesa infatti un’interessante versione del “Ritratto dell’artista” in cui entrambi i protagonisti sono BoJack. Il cavallo depresso incarna sia l’uomo in apnea che il fidanzato vestito di tutto punto che lo attende a bordo vasca: una figura al tempo stesso erotica e minacciosa, non si sa se autoritaria, affettuosa, o pronta a dire addio. I punti di forza del David Hockney, quelli che oggi adoriamo, sono gli stessi che, negli anni del suo esordio, portavano a sottovalutarlo: la semplicità e la ripetitività dei paesaggi, i colori brillanti, le figure umane piatte e realistiche allo stesso tempo, la scelta di scene e soggetti evidentemente gay. Di recente il pittore, che ormai ha 81 anni, ha conosciuto una nuova popolarità grazie a tre grandi retrospettive: al Metropolitan Museum di New York, alla Tate Gallery di Londra e al Pompidou di Parigi. Anche prima degli anni della sua glorificazione pop, il cui culmine è stato raggiunto da questa vendita record, grazie alla quale l’immagine della sua opera è circolata ovunque, David Hockney era un artista conosciuto e apprezzato.

Hockney a bordo della sua piscina (fotografia pubblicata nel 1983 sulle pagine del LA Architectural Digest)

“A Bigger Splash” (1967), un altro suo quadro a tema piscina, ha ispirato il titolo dell’omonimo di film di Luca Guadagnino: prima opera del regista ad arrivare in concorso al Leone d’Oro al Festival di Venezia nel 2015, è spesso considerata come un remake di La piscina (1969) di Jacques Deray, anche se il regista non si è mai detto d’accordo. Parlando del film poco dopo la sua uscita, Guadagnino confessò che per questioni di lunghezza era stato costretto a escludere la sua scena preferita, girata proprio alla Tate Gallery di Londra, davanti al quadro di David Hockney. Anche se il dipinto non compare nel film, il nome è rimasto. In questo senso, “A Bigger Splash” incarna perfettamente l’opera: il ritratto di un’assenza.

A sua volta, “Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)” è prezioso perché nella sua luminosa bellezza cristallizza una volta per tutte, come in una pala d’altare, uno dei simboli più potenti, efficaci ed eloquenti del mondo contemporaneo occidentale. La piscina è densa di significati, anche discordanti: è simbolo del lusso ma anche di un ritrovato rapporto con la natura (l’acqua, il corpo: l’abbandonarsi e il lasciarsi andare), è artificiale e naturale, contenitore e spazio adibito alla libertà, sensualità (Torbjørn Rødland, la serie di Franco Fontana, innumerevoli scene di film, libri, video musicali) e morte (il cadavere nella piscina è un altro simbolo ricorrente che lega il lusso alla disperazione, come nell’opera di Elmgreen & Dragset Death of a Collector), spazio da percorrere (movimento) o in cui galleggiare (stasi), pieno e vuoto. Al tema della piscina avevamo già dedicato un articolo qualche anno fa, si chiamava “In piscina“.

Il quadro di Hockney è anche un momento fondamentale della storia della pittura occidentale, che nei suoi esiti migliori si è interrogata sulla luce, sul movimento e sulla solidità dei corpi. E la piscina, per Hockney, è prima di tutto una trappola di luce: il piccolo specchio d’acqua azzurro è l’unico in grado catturare e trattenere la luce altrimenti inafferrabile della California (l’invisibile luminoso di cui parla Chiara Barzini nel suo Terremoto, con piscina in copertina). Ma la piscina è anche un elemento che, nei quadri di Hockney, rappresenta la pittura stessa, per la sua capacità di contenere e catturare un corpo, condannandolo a un eterno presente, come in “A Bigger Splash”, e per il potere, come in “Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)”, di bloccare un momento cruciale in un’eterna e perfetta sospensione, impossibile nella vita reale.