Attualità

Data visualization, una storia / 2

Com'è cambiata (e cambierà) la rappresentazione della realtà con le nuove tecnologie

di Pietro Minto

Eravamo rimasti al 1950. Stavamo parlando di data visualization, grafici, tabelle e infografiche partendo da lontano e arrivando al 1950. Oggi si riprende da lì (chi è rimasto indietro o vuole ripassare, trova la prima parte della storia qui).

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Negli anni ’50 l’umanità cominciò timidamente a disegnare usando schermi, consolle, strani raggi luminosi e comandi analogici. E la grafica iniziò timidamente ad affidarsi a computer e software, un cambiamento relativamente recente, se paragonato alla storia secolare della data visualization. Il centro della rivoluzione è negli States, tra i mitici laboratori Bell e la Ibm, che in pochi sconvolsero un mondo e stabilirono nuovi, incredibili standard. Nel 1959 nacque il Charactron, primo apparecchio a permettere la proiezione di linee e segni: una specie di cannone di elettroni, per dirla semplicemente. Grazie al primo registratore su pellicola, lo Stromberg-Carlson 4020 (di cui la Nasa conserva il manuale d’istruzioni, consultabile online), nello stesso anno si “girò” quello che è considerato il primo filmato generato da un computer – nulla di paragonabile ad Avatar, anzi, qualcosa di simile a questo strano mosaico in bianco e nero.

 

 

Nel 1964 Ibm e General Motors presentarono a Detroit il sistema “DAC-1” (Design Augmented by Computer) con un’esibizione durante la quale un tecnico disegnò il modello di un’automobile in 3-D (immagine), facendolo poi ruotare su se stesso. Nel 1960, intanto, William Fetter aveva coniato il termine computer graphics per definire il suo lavoro alla Boeing. Da quel giorno questa nuova cosa fatta coi computer aveva un nome; ed era solo l’inizio.

Come è evidente, non è possibile capire la rappresentazione dei dati come la intendiamo senza rallentare e ripercorrere alcuni dei momenti più notevoli di quei anni in cui scoppiò la rivoluzione informatica. Per esempio, si deve citare la prima interfaccia grafica della storia, creata da Xerox nel 1969; o il lavoro di Ivan Sutherland, che nello stesso anno ricostruì in 3-D il suo “maggiolone” Wolkswagen; o, ancora, le prime avvisaglie artistiche del settore, da parte di Stan Vanderbeek e Ken Knowlton, autori di Poem Field, mosaici catodici creati al computer, nonché uno dei primissimi tentativi di fare arte con il computer (che allora era un aggeggio piuttosto grande e per niente intuitivo). Di seguito un fotogramma dell’opera Poem Field no. 2 e il video completo.

 

 

 

 

Da allora la computer graphics si è evoluta esponenzialmente, arrivando a navigare ad anni luce di distanza tecnologica dai strani bagliori colorati su schermo dei primi anni. E oggi viene utilizzata massicciamente non per disegnare primitive forme ma per rappresentare la realtà.

Grazie alle nuove tecnologie, quindi, la data visualization vive da anni una Primavera che l’ha resa quasi ubiqua, e la troviamo oggi su giornali, riviste e siti web. Non mancano ovviamente abusi, schemi e grafici inutili, errati o semplicemente non necessari, nati sull’onda della nuova moda e considerati nel settore junkcharts (“grafici spazzatura”), a cui è dedicato anche un blog che raccoglie il peggio del peggio del settore. Per difendere l’Eldorado da lavori poco onesti e inutili due specialisti di “giornalismo visivo” (branca che racconta la realtà con numeri e forme), Albert Cairo e Juan Antonio Giner, hanno firmato lo Statuto internazionale degli infografici, i cui princìpi sono riassumibili in pochi punti fondamentali:

1. Un’infografica è per definizione una resa visuale di fatti e dati. Perciò non è possibile fare un’infografica senza informazione affidabile;

2. Le infografiche non devono contenere elementi non sostenuti da fatti e prove attendibili;

3. Le infografiche non possono essere presentate come fattuali quando sono inventate o basate su teorie non verificate;

4. Nessuna infografica dev’essere pubblicata senza indicarne la/e fonte/i;

5. Gli infografici professionisti devono rifiutare di inserire nelle loro rappresentazioni visuali che includano elementi immaginari atti a renderle più “spettacolari” e “affascinanti”. I direttori devono trattenersi dal richiedere grafici che non si attendono a dati attendibili;

6. Le infografiche non sono né illustrazioni né opere d’arte. Sono giornalismo visivo e deve essere gestite con gli stessi standard etici delle altre aree di tale professione.

Per il resto, siti come Information AestheticsInformation Is BeautifulFlowind DataInnovations In Newspapers sono diventati i migliori archivi online di quanto di meglio viene prodotto nel mondo quando si tratta di data visualization e giornalismo visivo. Tra i giornali che più di tutti stanno sfruttando questi mezzi per raccontare la realtà, c’è sicuramente il New York Times che sia su carta che su sito (la sezione Multimedia) dipinge grafici e infografiche meravigliose, sotto l’egida di Kevin Quealy.

Lo schemino dell’infinito

Da bizzarro esperimento, la data visualization è oggi uno strumento importantissimo in un mondo sommerso oceani di dati, che non vanno solo archiviati: vanno capiti. “Capire” milioni di numeri, parole e tendenze è compito ingrato affidato agli algoritmi, ovviamente, anche se rimane il problema di spiegare il tutto agli utenti, che vogliono spiegazioni semplici. Lineari.

Prendiamo per esempio, una cosa che è grande per definizione: l’Universo – noto per essere infinito, misterioso e difficilmente “disegnabile” su un foglio di carta. Esiste un comparto della Nasa che si occupa proprio di questo: di mettere su carta gli anni luce, i buchi neri e misteri dello Spazio. Si chiama Svs (Scientifici Visualization Studio) e ha creato mappe meravigliose che sono riuscite a spiegare fenomeni enormi e invisibili ad occhio nudo, guadagnandoci anche in bellezza artistica. Come Perpetual Ocean, un filmato che mostra il movimento delle correnti marine dal giugno del 2005 al dicembre 2007: il video ha colpito molto per le “onde” che attraversano la Terra, molto simili alle pennellate disperate dell’ultimo Van Gogh.

 

 

È un perfetto caso di pura visualizzazione di dati, come ha raccontato il direttore del Svs Horace Mitchell a Mashable, perché le immagini che possiamo vedere sono state create sulla base di dati puri e grezzi, a cui il suo team a dovuto mettere le mani, ricavandone uno spettacolo.

Col cosiddetto big data la disegnare la realtà non è più un piccolo lusso con cui si soddisfano gli interessi di pochi: è necessità. Oggi siamo sommersi dall’incredibile quantità di informazioni che le nuove tecnologie permettono di raccogliere  e analizzare. Riuscire a maneggiare questo tesoro informatico è, secondo molti, la nuova sfida per i giganti del settore e la politica (ed è quello che Google sta cercando di fare da sempre, soprattutto con Maps, servizio che incrocia miliardi di dati da molte fonti diverse, senza farlo capire agli utenti). Una rivoluzione culturale ed economica. Che per riuscire a capire a pieno, forse, dovremmo cominciare a disegnare.