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Daniil Charms sapeva fare miracoli

Una nuova raccolta di poesie e racconti, un'ottima occasione per conoscere un genio russo dall'umorismo proveniente da un altro pianeta. La sua carriera, la sua vita, l'Urss che lo volle morto.

di Pietro Minto

Spiegare Daniil Charms a chi non ancora lo conosce è probabilmente impossibile. Ma ne vale sempre la pena, specie nella settimana in cui esce una sua nuova raccolta di racconti, L’uomo che sapeva fare miracoli (il Saggiatore, 13 €), antologia che raccoglie materiale già pubblicato in Italia da Adelphi e marcos y marcos. Non è una raccolta di inediti ma poco importa perché Charms appartiene a quella costellazione di scrittori (una costellazione a forma di Donald Barthelme) per cui la rilettura non è solo sfizio per studiosi o appassionati ma piacevole passatempo: nel corso della sua carriera Charms ha toccato vette mai raggiunte prima, va riletto e rivisto. Non ci si stufa mai di osservare il proibito.

Nato a San Pietroburgo il 30 dicembre 1903, Daniil Iva­novič Juvačëv, questo il suo vero nome, è stato forse il genio più sfortunato del Novecento. Autore di racconti umoristici estremi, venne riciclato in qualche rivista per bambini poiché gli editori pensarono che parte del genio comico potesse mimetizzarsi nel classico surrealismo infantile; il resto della sua produzione – la sezione “vecchie che cadono”, diciamo – fu perlopiù snobbata. Come ha scritto Paolo Nori, il traduttore in italiano più adeguato allo stile del nostro, nella sua postfazione a Disastri,

in tutta la sua vita, delle opere che gli avrebbero dato la notorietà, le sue prose per adulti, [Charms] non ha pubblicato neanche una riga. Solo racconti e poesia per bambini, che lui i bambini non li sopportava.

Come in tutte le migliori storie, ci si mise di mezzo lo stalinismo, regime poco noto per il suo sense of humor, che incarcerò infatti l’autore nel 1931 con l’accusa di «produrre letteratura antisovietica». Anzi no,  lo incarcerò due volte, la seconda nel 1941, quando il Commissariato del popolo per gli affari interni lo fece rinchiudere nella prigione psichiatrica di Leningrado, dove l’anno dopo morì di fame. Mentre lo scrittore si spegneva in miseria, i nazisti assediavano la città.

Il citato Disastri a cura di Nori fornisce il migliore racconto dello scollamento tra i racconti di Charms e la sua realtà: qui l’umorismo della prosa si fonde al tragico degli stralci del suo diario e si ha come risultato un abisso ben impaginato, dove una nota amara come «Temo per la mia salute» si intervalla a racconti come “Uno spettacolo non riuscito”:

(Entra in scena Petrakov-Gorbunov, sta per dire qualcosa ma gli viene il singhiozzo. Comincia a vomitare. Esce. Entra PRITYKIN.)
PRITYKIN: Il rispettabile Petrakov-Gorbunov deve comunicare… (Vomita, e corre via).
MAKAROV: Egor… (MAKAROV vomita. Corre via).
(Entra SERPUCHOV).
SERPUCHOV: Per non essere… (Vomita, corre via).
(Entra la KUROVA).
KUROVA: Io vorrei… (Vomita, corre via).
(Entra una bambina).
BAMBINA: Papà mi prega di comunicare a voi tutti che il teatro chiude. Abbiamo tutti la nausea.
(Sipario)

La carriera di Charms cominciò però nel 1925, quando si unì all’Ordine dei transmentali, un movimento d’avanguardia, cominciò a leggere pubblicamente alcune sue opere e fu accettato nell’Unione panrussa dei poeti. Ebbe un pessimo rapporto con Pasternak, prese a litigare con i colleghi più allineati e nel 1928 iniziò a collaborare con la rivista , entrando nel settore racconti per l’infanzia dal quale finirà imprigionato. Dopo la sua morte nel 1942, l’oblio. Da morto, Charms entrò nella macchina mentale dell’Urss che tentò un lungo processo di cancellazione collettiva: divenne tabù, i suoi racconti circolarono clandestinamente come pamphlet alieni fino al 1956, quando vennero in parte legalizzati. La sua vita fu in parte annotata sui suoi diari e ricostruita da amici e colleghi: l’ossessione per il sesso, i rapporti con le mogli, l’amore per Chlebnikov; si riteneva «un gigantesco pagliaccio del mondo solare»; la sua Accademia dei classici di sinistra fondata nel 1927, la sera in cui interruppe una sua lettura per gridare al pubblico rumoroso e distratto: «Compagni! Io nelle stalle e nei bordelli non leggo i miei versi». Gli scandali e la persecuzione.

Dello stile di Daniil Charms non c’è molto da dire, come anticipato. È un poeta finito per raccontare fiabe ai bambini, un genio messo a tacere in un manicomio dopo una lunga lotta con il regime che ricorda quella a cui fu costretto Bulgakov, solo con epilogo peggiore; un astro che brillò per poche persone, tutti scrittori o intellettuali,  che fa di lui un comic’s comic ante-litteram, ovvero un “comico per comici”, di quelli poco noti ma adorati dai colleghi migliori (come in Italia Maurizio Milani, che peraltro gli somiglia). Ma non era un comico: era un poeta. Una figura enigmatica diventata di culto in tutta Europa, anche in Italia dove si è diffuso soprattutto grazie a Casi, gioiello che recentemente ha ammaliato Elio di Elio E Le Storie Tese, e Disastri, per quanto L’uomo che sapeva fare miracoli sia un ottimo punto di partenza per i novizi, una raccolta varia dove opere “normali”, belle poesie da riviste per bambini come “Il gatto delle meraviglie”:

Un gatto sventurato si tagliò una zampa
Più non si muove e un passo non riesce a fare.
Svelti! Per guarire il gatto e la sua zampa
Qualche palloncino bisognerà comprare!
Subito una gran folla s’accalca in strada
E rumoreggia e urla, il gatto lì a guardare.
Il gatto intanto un po’ zampetta per la strada,
Un po’ tutto tranquillo in aria sta a volare!

si intervallano a detriti di prosa amara come questo del 1936 in cui sembra Franz Kafka letto da Emo Philips:

Kulakov si accomodò sulla poltrona profonda e sedu­ta stante si addormentò, seduto. Si addormentò sedu­to e dopo qualche ora si risvegliò disteso in una bara. Kulakov capì immediatamente che era disteso in una bara. Un terrore indicibile raggelò Kulakov. Con gli occhi appannati si guardò in giro e ovunque girasse lo sguardo vedeva soltanto fiori: fiori nei cesti, mazzi di fiori legati con nastri, corone di fiori e fiori sparsi.«Mi stanno seppellendo» pensò atterrito Kulakov e si sentì d’un tratto orgoglioso del fatto che seppel­lissero proprio lui, un uomo così insignificante, con tutto quello sfarzo, con tutti quei fiori.

Rimase un poeta, qualunque cosa voglia dire. E un poeta con le idee molto chiare: «Se si escludono gli antichi,» scrisse nei suoi diari, “dei quali non posso giudicare, di veri geni se ne trovano solo cinque e due sono russi. Ecco questi cinque geni-poeti: Dante, Shakespeare, Goethe, Puškin e Gogol». In un periodo in cui l’Urss pullulava di avanguardie letterarie e artistiche, Charms ha avuto la colpa di oltrepassare il limite, regalando scritti incredibili ma troppo diversi da qualsiasi altra cosa per non risultare sospetti allo stalinismo. Mettetela così: Daniil Charms ha scritto cose talmente divertenti che Stalin l’ha fatto uccidere. La promozione perfetta, altro che Fazio.
 

Nelle immagini: una foto di Daniil Charms (via), la copertina de L’uomo che sapeva fare miracoli