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16:57 sabato 6 dicembre 2025
Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.
L’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix sta mandando nel panico tutta l’industria dell’intrattenimento La geografia del cinema e dalla tv mondiale cambierà per sempre, dopo questo accordo da 83 miliardi di dollari.
Lily Allen distribuirà il suo nuovo album anche in delle chiavette usb a forma di plug anale Un riferimento a "Pussy Palace", canzone più chiacchierata di West End Girl, in cui racconta come ha scoperto i tradimenti dell'ex marito, l'attore David Harbour.
Dario Vitale lascia Versace, appena nove mesi dopo esserne diventato direttore creativo Era stato nominato chief creative officer del brand, appena acquisito dal gruppo Prada, a marzo di quest'anno.
L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.
Secondo una ricerca, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione in Europa sta facendo aumentare e arricchire i trafficanti di essere umani Il Mixed Migration Centre ha pubblicato un ampio studio in cui dimostra che le politiche anti immigrazione stanno solo aggravando il problema che avrebbero dovuto risolvere.

Daniele Luchetti, Lacci, la vita e i film

Intervista con il regista del film tratto dal libro di Domenico Starnone, al cinema dal 30 settembre.

28 Settembre 2020

«Noi che facciamo film, che raccontiamo storie, investiamo completamente noi stessi. Non è solo un anno della nostra vita: è tutta la nostra vita. Accettando l’esposizione pubblica, sappiamo benissimo che tutti hanno il diritto di dire quello che pensano: che hanno il diritto di sputarci addosso o di osannarci. Noi cerchiamo sempre di fare il nostro meglio. Dall’altra parte, però, ci aspettiamo attenzione. E io con gli anni ho imparato a dividere le critiche in attente e disattente, non in positive o negative: se in una critica c’è attenzione, anche se è negativa, sono contento e la accetto».

Quando parla del suo mestiere, Daniele Luchetti – regista, sceneggiatore e attore, classe 1960 – parla sempre al plurale: dice «noi», non «io». E lo fa perché crede nell’importanza del gruppo, perché non divide, perché commerciale e autoriale vanno insieme, e perché i sentimenti, spesso, sono sentimenti comuni, sentimenti di tutti. Con Lacci, al cinema dal 30 settembre con 01 Distribution, è tornato a lavorare con Domenico Starnone, e lo ha fatto, spiega, per caso. «Dopo i due film che avevamo fatto insieme, I piccoli maestri e La scuola, ognuno di noi ha preso la sua strada. Io ho continuato a leggerlo, appassionato come sono della sua scrittura. E ho letto tanti bei libri, in questi anni. Quando ho letto Lacci, mi è sembrato uno dei tanti libri belli, uno dei tanti libri buoni per un film e uno dei tanti libri con spunti interessanti di identificazione e di narrazione. Non ho pensato subito di farci un film, confesso. Ci sono tornato su anni dopo».

Quando?
Quando Beppe Caschetto mi ha detto di aver acquistato i diritti e mi ha proposto di curare la regia. In Lacci, vieni velocemente coinvolto dalla storia, dalle problematiche, da quello che i personaggi vivono e dicono. Mi sembrava improbabile farne un film, ecco.

Ma?
Ma rileggendo ho capito. E ho capito che questo film volevo farlo. Per quello che diceva e non diceva, per le sfide che rappresentava, per tutto quello che poteva essere e per quello, invece, che non sarebbe mai stato.

Il Guardian ha parlato di Lacci come del «cugino europeo di Marriage Story di Noah Baumbach».
L’ho visto alla fine delle riprese, Marriage Story. Forse, se l’avessi visto prima, avrei fatto più attenzione e avrei cambiato qualcosa. Ma non lo so. Le storie di rimorsi, dopotutto, sono tutte uguali. Si assomigliano. Cambia il punto di vista.

Nel suo film qual è?
Noi raccontiamo gli anni ’70 e gli anni ’80, e che cosa significava divorziare quarant’anni fa. Raccontiamo quello che siamo stati e, soprattutto, quello che siamo oggi. Ma le dinamiche affettive sono sempre quelle.

Laura Morante e Silvio Orlando sul set di “Lacci”. Foto di Gianni Fiorito

Cos’è cambiato nel frattempo?
Starnone la chiama interruzione della realtà, e l’interruzione della realtà, una volta, era inaccettabile. Come ti comporti dopo aver promesso amore eterno a qualcuno ed esserti, però, innamorato di qualcun altro? Era un problema insolubile, una volta. Una tragedia perenne. Oggi no, oggi siamo più abituati, oggi siamo più realisti. Il mondo è cambiato.

Siamo più leggeri, più spensierati?
Prima c’era il peso degli anni ‘70, ed era un peso che gravava soprattutto sulla libertà. Sulla libertà, preciso, dell’uomo. In Lacci lei non accetta di essere lasciata, ma capisce anche di non voler più stare con lui. Spesso si resta insieme per convenienza, per pigrizia, per autolesionismo. In questi anni, le persone non sono cambiate per niente; sono rimaste le stesse. Ad essere cambiati sono i costumi.

La verità qual è?
Che siamo sempre schiavi di qualcosa. Una volta era il conformismo, oggi è il masochismo.

Non ci sono più i valori di una volta?
Ma una volta non c’era più moralità: c’era più sorveglianza. Prima attorno ai matrimoni c’era una struttura sociale precisa: dovevi rispettare la famiglia, i parenti, i suoceri, la società, tutto quello che ti circondava, e non solo il tuo cuore e quello che provavi. Oggi la separazione è stata sdoganata, non si pensa più ai danni che, qualche volta, si possono causare e che però siamo pronti ad affrontate per vivere la nostra vita.

Sullo sfondo di Lacci, per tutto il tempo, c’è Napoli.
È accennata. Si vede e non si vede. Alcuni degli attori non sono nemmeno napoletani. Ma resiste qualcosa di carnale, di violento; qualcosa che comunque arriva nella storia. Non ho voluto insistere su Napoli per non strafare.

Perché?
Perché ne basta un pizzico, come il peperoncino. Però si sente: va utilizzata con cautela. Altrimenti c’è il rischio di essere travolti e divorati.

Con Lacci, è tornato a dirigere anche Silvio Orlando.
Abbiamo fatto non so quanti film insieme; ci siamo ritrovati sul set anziani: ma “non così anziani”, come dice Laura Morante nel film. E ci siamo studiati. Come due ex amanti. Abbiamo imparato l’uno le esperienze dell’altro studiando i movimenti, i segni della pelle, le parole pronunciate. Ho trovato un attore più maturo, più consapevole, più controllato. E se prima Silvio era un grande attore, oggi è un grandissimo attore.

Ora è di nuovo a Napoli per la terza stagione de L’amica geniale.
Me l’hanno proposto mentre stavo finendo Lacci. Io amo le serie televisive e in particolare amo questa. E Napoli, qui, entra completamente nella storia: è imprevedibile, non pittoresca, più sanguigna, con un punto di vista, spero, più femminile. Sono curioso di capire cosa farò.

In che senso?
È come se mi avessero passato uno spartito suonato per metà da qualcun altro: e voglio vedere cosa sarò in grado di fare con il secondo tempo di questo concerto.

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