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14:07 mercoledì 24 dicembre 2025
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È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
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Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

Daniele Luchetti, Lacci, la vita e i film

Intervista con il regista del film tratto dal libro di Domenico Starnone, al cinema dal 30 settembre.

28 Settembre 2020

«Noi che facciamo film, che raccontiamo storie, investiamo completamente noi stessi. Non è solo un anno della nostra vita: è tutta la nostra vita. Accettando l’esposizione pubblica, sappiamo benissimo che tutti hanno il diritto di dire quello che pensano: che hanno il diritto di sputarci addosso o di osannarci. Noi cerchiamo sempre di fare il nostro meglio. Dall’altra parte, però, ci aspettiamo attenzione. E io con gli anni ho imparato a dividere le critiche in attente e disattente, non in positive o negative: se in una critica c’è attenzione, anche se è negativa, sono contento e la accetto».

Quando parla del suo mestiere, Daniele Luchetti – regista, sceneggiatore e attore, classe 1960 – parla sempre al plurale: dice «noi», non «io». E lo fa perché crede nell’importanza del gruppo, perché non divide, perché commerciale e autoriale vanno insieme, e perché i sentimenti, spesso, sono sentimenti comuni, sentimenti di tutti. Con Lacci, al cinema dal 30 settembre con 01 Distribution, è tornato a lavorare con Domenico Starnone, e lo ha fatto, spiega, per caso. «Dopo i due film che avevamo fatto insieme, I piccoli maestri e La scuola, ognuno di noi ha preso la sua strada. Io ho continuato a leggerlo, appassionato come sono della sua scrittura. E ho letto tanti bei libri, in questi anni. Quando ho letto Lacci, mi è sembrato uno dei tanti libri belli, uno dei tanti libri buoni per un film e uno dei tanti libri con spunti interessanti di identificazione e di narrazione. Non ho pensato subito di farci un film, confesso. Ci sono tornato su anni dopo».

Quando?
Quando Beppe Caschetto mi ha detto di aver acquistato i diritti e mi ha proposto di curare la regia. In Lacci, vieni velocemente coinvolto dalla storia, dalle problematiche, da quello che i personaggi vivono e dicono. Mi sembrava improbabile farne un film, ecco.

Ma?
Ma rileggendo ho capito. E ho capito che questo film volevo farlo. Per quello che diceva e non diceva, per le sfide che rappresentava, per tutto quello che poteva essere e per quello, invece, che non sarebbe mai stato.

Il Guardian ha parlato di Lacci come del «cugino europeo di Marriage Story di Noah Baumbach».
L’ho visto alla fine delle riprese, Marriage Story. Forse, se l’avessi visto prima, avrei fatto più attenzione e avrei cambiato qualcosa. Ma non lo so. Le storie di rimorsi, dopotutto, sono tutte uguali. Si assomigliano. Cambia il punto di vista.

Nel suo film qual è?
Noi raccontiamo gli anni ’70 e gli anni ’80, e che cosa significava divorziare quarant’anni fa. Raccontiamo quello che siamo stati e, soprattutto, quello che siamo oggi. Ma le dinamiche affettive sono sempre quelle.

Laura Morante e Silvio Orlando sul set di “Lacci”. Foto di Gianni Fiorito

Cos’è cambiato nel frattempo?
Starnone la chiama interruzione della realtà, e l’interruzione della realtà, una volta, era inaccettabile. Come ti comporti dopo aver promesso amore eterno a qualcuno ed esserti, però, innamorato di qualcun altro? Era un problema insolubile, una volta. Una tragedia perenne. Oggi no, oggi siamo più abituati, oggi siamo più realisti. Il mondo è cambiato.

Siamo più leggeri, più spensierati?
Prima c’era il peso degli anni ‘70, ed era un peso che gravava soprattutto sulla libertà. Sulla libertà, preciso, dell’uomo. In Lacci lei non accetta di essere lasciata, ma capisce anche di non voler più stare con lui. Spesso si resta insieme per convenienza, per pigrizia, per autolesionismo. In questi anni, le persone non sono cambiate per niente; sono rimaste le stesse. Ad essere cambiati sono i costumi.

La verità qual è?
Che siamo sempre schiavi di qualcosa. Una volta era il conformismo, oggi è il masochismo.

Non ci sono più i valori di una volta?
Ma una volta non c’era più moralità: c’era più sorveglianza. Prima attorno ai matrimoni c’era una struttura sociale precisa: dovevi rispettare la famiglia, i parenti, i suoceri, la società, tutto quello che ti circondava, e non solo il tuo cuore e quello che provavi. Oggi la separazione è stata sdoganata, non si pensa più ai danni che, qualche volta, si possono causare e che però siamo pronti ad affrontate per vivere la nostra vita.

Sullo sfondo di Lacci, per tutto il tempo, c’è Napoli.
È accennata. Si vede e non si vede. Alcuni degli attori non sono nemmeno napoletani. Ma resiste qualcosa di carnale, di violento; qualcosa che comunque arriva nella storia. Non ho voluto insistere su Napoli per non strafare.

Perché?
Perché ne basta un pizzico, come il peperoncino. Però si sente: va utilizzata con cautela. Altrimenti c’è il rischio di essere travolti e divorati.

Con Lacci, è tornato a dirigere anche Silvio Orlando.
Abbiamo fatto non so quanti film insieme; ci siamo ritrovati sul set anziani: ma “non così anziani”, come dice Laura Morante nel film. E ci siamo studiati. Come due ex amanti. Abbiamo imparato l’uno le esperienze dell’altro studiando i movimenti, i segni della pelle, le parole pronunciate. Ho trovato un attore più maturo, più consapevole, più controllato. E se prima Silvio era un grande attore, oggi è un grandissimo attore.

Ora è di nuovo a Napoli per la terza stagione de L’amica geniale.
Me l’hanno proposto mentre stavo finendo Lacci. Io amo le serie televisive e in particolare amo questa. E Napoli, qui, entra completamente nella storia: è imprevedibile, non pittoresca, più sanguigna, con un punto di vista, spero, più femminile. Sono curioso di capire cosa farò.

In che senso?
È come se mi avessero passato uno spartito suonato per metà da qualcun altro: e voglio vedere cosa sarò in grado di fare con il secondo tempo di questo concerto.

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