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Dieci anni di crisi si sono mangiati la mia generazione

Il 15 settembre 2008 crollava Lehman Brothers. Chi aveva 25 anni e oggi ne ha 35 rischia di non riprendersi più?

di Anna Momigliano

Lehman Brothers

Londra, 24 settembre 2010, Christie's mette all'asta oggetti della Lehman Brothers (Oli Scarff/Getty)

E così la crisi, quel grande crack seguito da una recessione che ha cambiato tutto, compie dieci anni. Fa un certo effetto pensarci, specie per la mia generazione, i nati nella prima metà degli anni Ottanta, perché siamo vecchi quanto basta per ricordarci com’era prima, ma non abbastanza da avere sperimentato in prima persona la vita adulta senza crisi. La fregatura sta tutta qui: quando la crisi è arrivata, eravamo ancora troppo giovani per esserci costruiti un posto nel mondo, ma ora che sta passando siamo troppo vecchi per ricominciare da zero.

Mi rendo conto che il termine “crisi” sia un po’ vago. Alcuni economisti, se ho ben capito, trattano la crisi finanziaria del 2008, partita dall’America, e la recessione che ha colpito l’Europa a partire soprattutto dal 2011 come due eventi separati. Tecnicamente, poi, l’Italia è uscita dalla recessione quattro anni fa, visto che dal 2014 il nostro Pil cresce, seppure di poco e senza ancora avvicinarsi ai livelli pre-crisi. Anche la disoccupazione è in calo da quattro anni a questa parte, pur senza essere ritornata ai livelli pre-2008. Questo per dire che lo so, le cose stanno migliorando, ma non sono ancora tornate com’erano prima.

Italia Pil
Il Pil dell’Italia negli ultimi dieci anni, dati della Banca Centrale via tradingeconomics.com

Prima di cosa? Se dovessimo scegliere una data simbolica per l’inizio della crisi, sarebbe il 15 settembre del 2008. Il collasso di Lehman Brothers, coi dipendenti fotografati mentre uscivano in massa dagli uffici, spaesati sui marciapiedi, con scatoloni in mano, e tutto l’impatto psicologico e mediatico di quelle immagini.  Quella scena l’ha descritta l’economista della Columbia Adam Tooze, nel suo saggio Lo schianto, che esce in Italia ora per Mondadori (traduzione di Chiara Rizzo e Roberto Serrai) e di cui si è già detto un gran bene sulla stampa anglosassone: «Lunedì 15 settembre, mentre i dipendenti di Lehman in tutto il mondo incespicavano attoniti sui marciapiedi, la domanda era: chi sarà il prossimo? Bear e Lehman erano gestite male. In virtù di una fortissima pressione alla concorrenza avevano fatto scommesse ad alto rischio su alcuni dei comparti peggiori del settore della cartolarizzazione dei mutui. Ma non erano eccezioni».

Certo, è una data piuttosto arbitraria. Lo stesso Tooze spiega, nelle prime 150 pagine del volume, che il crack finanziario, inclusi il collasso di Lehman seguito a stretto giro da quello di AIG, la società di assicurazioni, sia stata la conseguenza della crisi dei mutui subprime, iniziata l’anno precedente. Non a caso alcuni pongono la data d’inizio della crisi già nel 2007. Tooze, invece, no, parla proprio di dieci anni di crisi. Recita infatti il sottotitolo: “2008-2018, come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo”.

Lo stesso economista, poi, traccia le avvisaglie ancora più indietro. Cita Barack Obama, allora ancora senatore, che nel 2006 avvertiva: «Questa potrebbe diventare la prima generazione in cui i figli stanno peggio dei padri». Questa generazione, appunto, che è la mia: Obama parlava dei ventenni di allora. Stava citando a sua volta l’ex segretario del Tesoro Robert Rubin e altri economisti del “Progetto Hamilton”, una squadra messa insieme dalla Brookings Institution per venire a capo di una possibile crisi futura e dei problemi dei «perdenti in un’economia globalizzata»: altro tema, quello degli sconfitti della globalizzazione oggi diventato centrale.

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Londra, 15 settembre 2008: i dipendenti liberano gli uffici di Lehman Brothers a Londra (Cate Gillon/Getty)

Chi aveva 25 anni quando la grande recessione è iniziata oggi ne ha 35. I Millennial più vecchi, chiamiamoli così, «rischiano di non riprendersi mai dalla grande recessione», scriveva qualche mese fa Cnn Money citando alcuni dati della Fed. È una categoria demografica che ha vissuto «un grande passo indietro durante gli anni in cui si tende ad accumulare denaro». Va detto che forse in America le cose sono diverse, e non so se avrebbe senso anche in Italia definire l’età tra i 25 e i 35 “prime earning years”, gli anni di guadagno principale, come fa la Cnn a proposito del mercato Usa. Dire che quella dei trentacinquenni è stata la generazione più colpita dalla crisi non sarebbe del tutto corretto, poi, se ci atteniamo ai dati presenti. Se prendiamo il rapporto Istat sull’occupazione, per esempio, si scopre che tra gli under-25 il tasso di disoccupazione è molto più alto (31,7 per cento) mentre per la fascia 25-24 è di circa il 16, e infine per la generazione 35-49 scende al dieci per cento, più o meno in linea con la media nazionale.

Insomma i ventenni di oggi trovano meno lavoro di quelli che avevano vent’anni quando Lehman Brother è crollata. Resta però da chiedersi chi se la passi davvero peggio, in una prospettiva futura. Perché tra quattro o cinque anni, quando si spera che gli strascichi della grande recessione ce li saremmo veramente lasciati alle spalle, gli under-25 di oggi saranno ancora giovani e con un po’ di buona volontà potranno ripartire. Noi, credo, un po’ meno.