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L’Unione Europea ha stabilito che sapere quanto guadagnano i propri colleghi è un diritto Lo ha fatto con una direttiva che l’Italia deve recepire entro il 2026. L'obiettivo è una maggiore trasparenza e, soprattutto, contribuire alla diminuzione del gap salariale tra uomini e donne.
Grazie all’accordo tra Netflix e la Nasa ora si potrà fare binge watching anche dell’esplorazione spaziale Il servizio di streaming trasmetterà in diretta tutta la stagione dei lanci spaziali, comprese le passeggiate nello spazio degli astronauti.
Gli asini non sono affatto stupidi e se hanno questa reputazione è per colpa del classismo Diverse ricerche hanno ormai stabilito che sono intelligenti quanto i cavalli, la loro cattiva fama ha a che vedere con l'associazione alle classi sociali più umili.
In Turchia ci sono proteste e arresti per una vignetta su Maometto pubblicata da un giornale satirico Almeno, secondo le autorità e i manifestanti la vignetta ritrarrebbe il profeta, ma il direttore del giornale ha spiegato che non è affatto così.
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.

Una nuova mostra a Milano è l’occasione per scoprire l’arte di Cosima Von Bonin

Nelle sue installazioni, che comprendono pupazzi di tonni, squali, delfini, cozze e altre specie marine, l'artista mescola ironia e malinconia, alludendo al naufragio come simbolo di deriva esistenziale.

26 Febbraio 2025

Era il lontano 1992 quando per la prima volta le opere di Cosima von Bonin furono presentate al pubblico milanese, grazie alla lungimiranza della gallerista Emi Fontana, che in quell’anno inaugurò la galleria che per molti anni portò il suo nome e che, per tutto il 1992, presentò solo artiste donne, come Nancy Dwyer, Renée Green, Liliana Moro e Cosima von Bonin, appunto. Dopo più di trent’anni, l’artista ritorna a Milano con una personale (fino al 2 aprile) che segna anche il battesimo del nuovo indirizzo di Ordet, lo spazio dedicato alla produzione artistica e culturale fondato da Edoardo Bonaspetti e Stefano Cernuschi nel 2019 e che, da allora, ha fatto dono alla città di tante mostre “giuste”. Non fa eccezione questa personale, che intelligentemente sceglie di omaggiare un’artista che forse non tutti i partecipanti dell’art-crowd conoscono per davvero, ma che in realtà è una presenza costante e fondamentale per comprendere l’evoluzione di alcuni specifici linguaggi che l’arte contemporanea ha assunto in Europa dai primi anni Novanta ad oggi.

Fin dal principio, l’approccio di Cosima von Bonin, nata in Kenya nel 1962 e cresciuta in Austria, è sempre stato caratterizzato da un uso disinvolto del remix, un processo di appropriazione e stratificazione di materiali e riferimenti che va ben oltre il concetto canonico dell’assemblage: tessuti, pupazzi, oggetti d’uso quotidiano vengono decontestualizzati e trasformati in elementi di un linguaggio visivo insieme ironico, politico e complesso. Come dicevamo, benché forse meno nota al grande pubblico, è facilissimo riconoscere subito i suoi lavori, che proiettano il visitatore in un territorio gioiosamente spiazzante: mai veramente pop, mai davvero bagnato da un concettualismo siderale.

Basti pensare a quell’ensemble di tonni, sgombri, squali, delfini e altre specie marine che accoglievano i visitatori del Padiglione Centrale alla Biennale di Venezia del 2022 e, prima ancora, al suo “ecosistema” intitolato Relax, It’s Only a Ghost (2006) per Documenta 12, un po’ playground, un po’ museo transpecista. Ecco, in entrambi gli esempi, così come nelle altre numerosissime mostre in gallerie private, fondazioni e musei, le forme animali, quand’anche antropomorfizzate o prelevate dalla cultura pop (Daffy Duck è un motivo ricorrente nell’arte di von Bonin), non suonano mai come una strizzata d’occhio all’intrattenimento mainstream, ma come segni che si sono depositati – diventando altro – nel suo personale vocabolario espressivo.

Il tema marino è una costante del suo immaginario: dai molluschi giganti ai pesci in tessuto imbottito, dalle barche di peluche agli sgombri accessoriati, il mondo acquatico in von Bonin si tinge di una peculiare malinconia, mescolata a un senso di gioco e di disorientamento. La sua opera spesso allude all’idea di naufragio: un simbolo di deriva esistenziale, ma anche un rifiuto della produttività come valore assoluto. È l’artista stessa ad aver dichiarato, nelle rare interviste, quanto sia pigra nella produzione di opere, molte delle quali vengono riutilizzate e semplicemente remixate per costruire nuove mostre con accostamenti di oggetti che già fanno parte del suo repertorio. Potrebbe apparire come una posa, un’idiosincrasia, ma è soprattutto una scelta radicalmente politica, benché soft, che si contrappone al dogma della produttività esasperante che ha investito il sistema dell’arte esattamente come tutte le altre economie dell’uomo.

L’ispirazione marina di von Bonin affonda le radici nella sua infanzia trascorsa in Kenya, sulle rive dell’Oceano Indiano. In un’intervista ha raccontato di come il mare sia stato uno dei primi scenari a plasmarne l’immaginario. Tra le creature che popolavano la sua fantasia di bambina c’erano le stelle marine e i granchi decoratori, capaci di trasformarsi e mimetizzarsi con l’ambiente circostante. Questi elementi tornano con forza nel suo lavoro, dove le creature marine si caricano di significati ulteriori: ironia, alienazione, pigrizia esistenziale. Il viaggio dall’Africa all’Europa, avvenuto in nave quando aveva sei anni, ha segnato profondamente la sua visione del mondo. Ha raccontato di essersi nascosta nei bagni della nave per giorni, sperando che la sua famiglia si dimenticasse di lei e la lasciasse tornare indietro. Questo senso di spostamento, di transizione forzata, è una chiave interpretativa ricorrente nella sua arte.

Cosima von Bonin, Anschauungsobjekt, 2001. Installation view, Cosima von Bonin, Ordet, Milan, 2025. Courtesy the artist and Galerie Neu, Berlin. Photo Nicola Gnesi.

Cosima von Bonin, Alpha Plus Mind, Gamma Minus Morals (Mae Day 10), 2024. Installation view, Cosima von Bonin, Ordet, Milan, 2025. Courtesy the artist and Galerie Neu, Berlin. Photo Nicola Gnesi.

La mostra da Ordet incarna perfettamente tale poetica. “Anschauungsobjekt” (2001) è una scultura bianca che ricorda una barca a vela, domina lo spazio e sembra suggerire un’idea di viaggio interrotto, di un’imbarcazione alla deriva. “25 Men’s Handkerchiefs (Ghost Version)” (2011), composta da fazzoletti cuciti insieme, assume la forma di una bandiera bianca, evocando la resa o il desiderio di lasciarsi trasportare dalle correnti. Salendo la rampa che conduce al mezzanino, troviamo “How to Decorate Without Going Broke 2” (2024), un lavoro su tela che riprende la decorazione di un posacenere ricevuto in dono dall’ex proprietario del Paris Bar di Berlino: un esempio della sua pratica di campionatura e reinvenzione di oggetti e memorie. Infine, “Alpha Plus Mind, Gamma Minus Morals (Mae Day 10)” del 2024 è un’installazione composta da sei sedie provenienti da una caserma tedesca, di cui una occupata da una balenottera arancione-Hermès in peluche, una presenza surreale e al tempo stesso familiare.

L’arte di Cosima von Bonin ha sempre evaso ogni etichetta, eppure concetti oggi comuni nell’arte come nella moda (l’upcycling, ad esempio) fanno parte da sempre del suo approccio. Lavora spesso dal letto, come ha raccontato in un’intervista, dirigendo i suoi collaboratori attraverso email e telefonate. Il suo processo creativo si nutre di citazioni e appropriazioni, spaziando dal cinema alla musica elettronica. Non a caso, ha avuto un rapporto strettissimo con il mondo musicale: ha collaborato con artisti come Justus Köhncke, David Grubbs e Phantom Ghost, ha curato playlist per festival e ha persino trasformato un negozio di dischi in un progetto curatoriale. Questa tendenza al riutilizzo e alla continua rielaborazione si inserisce in una riflessione più ampia sulla ripetizione come pratica artistica. La mostra diventa un dispositivo narrativo in cui il mare, la deriva e il fallimento produttivo si intrecciano in un racconto visivo sintetico eppure denso. Il viaggio di Cosima von Bonin continua, senza una rotta prestabilita, tra le onde di un mare fatto di oggetti, simboli e rimandi culturali. La sua arte è un naufragio controllato, un’evocazione ironica e malinconica dell’assurdità del nostro tempo. Gironzolando nella nuova casa di Ordet, viene proprio voglia di sedersi in fondo alla fila di sedie, accanto alla balenottera, aspettando con lei di capire dove andare. Con calma, però.

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