Attualità

Il museo dei suoni scomparsi

Conserve the Sound, una galleria multimediale di rotelle, leve, manopole e suoni che non sentiremo mai più. L'estinzione dei gadget e la bizzarra nostalgia di un mondo più rumoroso.

di Pietro Minto

Fino a pochi anni fa per fare una telefonata, si doveva girare una rotellina per un tot di volte, ascoltandone il brusio meccanico. Poi, a conversazione finita, poggiare la cornetta al suo posto, e sentire un tin, creato dal meccanismo della suoneria. Era un mondo analogico fatto di rotelle, ingranaggi, levette e pulsanti. Era un mondo rumoroso. Oggi invece regna il silenzio. Una telefonata moderna inizia dalla tasca dei pantaloni e continua con delle impronte su uno schermo. Se il vostro telefono è in modalità silenzioso al momento della chiamata, l’unico suono che sentirete è la voce del vostro interlocutore.

Ogni giorno un rumore scompare nel nulla: può essere un cigolio o il canto di un ingranaggio. Un frullatore a manovella. La vecchia manopola di un’auto. O un tasto scattoso di una tastiera di computer. Conserve the Sound è un progetto nato per salvare dall’oblio questi suoni, trovargli una casa e lì tenerli per sempre, a perpetua memoria dei mille cigolii che hanno fatto il nostro tempo. Si tratta di una piccola teca online che i curatori riempiono di oggetti e suoni in via d’estinzione: c’è un meraviglioso rasoio elettrico della Braun, l’inevitabile macchina da scrivere Olivetti, un incredibile macina caffè a manovella della KYMuna mappa geografrica. Ognuno di questi oggetti viene qui messo a riposare insieme al suono che lo caratterizza (o caratterizzava?): Conserve the Sound è un’assordante soffitta piena di ricordi e stranezze d’antiquariato.

«L’idea iniziale per il progetto ci è venuta circa 4-5 anni fa, quando gli smartphone e i tablet con schermo touchscreen hanno invaso il mercato diventando accessibili a un largo pubblico» raccontano a Studio i creatori del progetto, Jan Derksen e Daniel Chun della Chun+Derksen, agenzia di produzione cinematografica e di design della comunicazione con base ad Amburgo. «Di solito si collezionano dipinti e scutlure […], in pochi curano il suono». Forse anche perché «il visivo domina le nostre vite e il suono sembra avere un ruolo secondario. Eravamo quindi affascinati dall’idea di creare un luogo multimediale o un museo online per suoni in pericolo di sopravvivenza». Così, dopo un finanziamento ricevuto dal German Film und Medienstiftung NRW, i due hanno potuto inaugurare il sito nel marzo del 2013, continuando da allora ad aumentare l’offerta.

Ma siamo sicuri che il nostro mondo sia così silenzioso? Certo, una ricerca su Google è impalpabile e discreta, ma non abbiamo modo di ascoltare il baccano dei server dell’azienda. E se ci fossimo limitati delocalizzare il nostro frastuono? Secondo Chun e Derksen, è difficile capire cosa ne sia stato di tutti i suoni che non sentiamo più: «È una questione soggettiva. Alcuni dicono che il mondo è sempre più silenzioso, altri che c’è sempre più inquinamento acustico. A nostro avviso è il rumore bianco a crescere di continuo. C’è più baccano a bassa definizione e meno suono di qualità.»

Nonostante tutto gli smartphone continuano a fare click quando scattiamo una foto – anche se non c’è nessun elemento fisico a creare quel suono, come fosse un’abitudine dura a morire – e alcune macchine elettriche sono talmente silenziose da dover diffondere il rumore di un motore ragioni di sicurezza. Sono rumori-fantasma che conserviamo per orientarci e comunicare meglio: sono funzionali ma non dovrebbero esistere. È perché «abbiamo bisogno di suoni, che siano veri o falsi. Riducendo il numero di parti e oggetti meccaniche e aumentando le componenti digitali, il nostro mondo si fa più artificiale. Ci saranno sempre più “suoni finti” nel futuro», spiegano Chun e Derksen. «Per esempio, i bambini che non ricordano il click originale delle macchine fotografiche, continueranno ad accettarlo. Se un giorno quel suono venisse sostituito con un altro, nessuno ne sarebbe sorpreso, alla lunga. Per questo motivo il sound design e il sound branding diventeranno sempre più importanti e avranno un impatto maggiore nella nostra società».

 

I due creatori del museo sono designer, e si vede: ogni oggetto della loro collezione è in realtà un piccolo capolavoro dell’elettronica di consumo del Novecento. Con lo sguardo rivolto a un passato analogico e di legno, ci si aspetta di vedere solo prodotti di un’altra era – quella pre-internet, diciamo. E invece ti ritrovi ad ascoltare il bofonchiare di un iBook arancione della Apple, prodotto che ingenuamente consideriamo ancora “contemporaneo”: ti ricordi di averlo visto tanti anni fa, rimanendo a bocca aperta, ammaliato da tanto progresso tecnologico. Ora fa compagnia ai macina pepe. Parliamo di un laptop uscito solo nel 1996. Com’è potuto succedere? Sembra che il concetto di vintage tecnologico abbia messo l’acceleratore, divorando materiale fino a lambire il presente. «La vita di molti oggetti, specialmente nel mondo digitale, si accorcia sempre di più. D’altro canto, il numero di oggetti che usiamo nel corso di una vita è aumentato». A un consumo sfrenato di gadget usa-e-getta corrisponde quindi un aumento del vintage: tutto è modernariato, anche le cose successe un attimo fa.

Superando gli aggeggi di cui ci riempiamo le case, ci sono altri suoni da salvare? Ci stiamo forse dimenticando qualcosa? «Vorremmo registrare suoni naturali, per esempio quello degli uccelli in via d’estinzione» concludono i creatori del museo. «Inoltre siamo molto interessati ai rumori dei luoghi storici, come quello dei palazzi che vengono demoliti».

 

Immagini: la homepage di Conserve the Sound; una parte della collezione del museo interattivo; la pagina dedicata a una mappa cartacea di una città (Courtesy of Conserve the Sound)