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La vendetta di Vanessa Springora

È arrivato in Italia Il consenso, il libro che racconta l'incredibile relazione dell'autrice con lo scrittore Gabriel Matzneff quando lei aveva quattordici anni e lui più di cinquanta, sotto lo sguardo tollerante dell'élite culturale francese.

di Francesco Gerardi

(Photo by MARTIN BUREAU/AFP via Getty Images)

Il #MeToo francese è diverso da quello che abbiamo visto stravolgere il resto del mondo, ovvero gli Stati Uniti d’America (alla fine è successo davvero solo lì, tra lettere di licenziamento e sentenze dei giudici). La traduzione dall’inglese #MeToo al francese #BalanceTonPorc ha reso il movimento, e la discussione attorno, brutale, scandalosa, sconvolgente. Forse non poteva che andare com’è andata, nel Paese in cui prima di tutti si è cominciato a parlare di dittatura della morale e di neo-puritanesimo: nella solita lettera a Le Monde, questa volta firmata da cento artiste e intellettuali, già nel 2018 si parlava della necessità di riconoscere agli uomini il diritto di provarci e del dovere di proteggerli dall’odio montante. Forse non poteva che andare com’è andata: nel Paese in cui gli abusi e le aggressioni di tutti i giorni sono stati risolti in diritti e necessità del seduttore, il dibattito inevitabile della nostra epoca è diventato in Francia una storiografia delle violenze più inaccettabili, quella del genitore sul figlio, dell’adulto sul bambino, dell’incesto e della pedofilia.

Nel 1977 lo scrittore e saggista Gabriel Matzneff scrive una lettera aperta a Le Monde e Libération in difesa di tre uomini accusati di abusi sessuali nei confronti di due ragazzini, fratello e sorella, lui di 12 e lei di 13 anni. In calce alla lettera ci sono 67 firme, grandissima parte della élite culturale e artistica di Francia: Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre e Roland Barthes, tra i tanti altri. Matzneff è in quegli anni uno degli scrittori più letti e discussi del Paese: nel 1974 scrive I minori di sedici anni e racconta che ad attrarlo «non è tanto un sesso in particolare, quanto la giovinezza estrema, quella che va dai dieci ai sedici anni e che mi sembra essere, ben oltre ciò che si indica di solito con quella formula, il vero terzo sesso». La bibliografia di Matzneff è una sala dei trofei, appesi al muro i «culi giovani» per i quali si recava periodicamente nelle Filippine e le lettere delle «adorate scolarette» che aspettava nei cortili delle scuole di Francia.

Gabriel Matzneff è G.M. nel libro Il consenso di Vanessa Springora (La Nave di Teseo), editrice, regista, scrittrice. In un altro tempo, in un altro luogo, Vanessa Springora è stata V., quattordicenne che passava le giornate a letto con l’allora cinquantatreenne G.M. La lettera, i giornali, i firmatari di cui sopra sono importanti perché sono il contesto e Il consenso è un libro su ciò che sta attorno. Il padre di V. sparisce subito, distrutto da quell’inspiegabile, incontrollabile alternarsi di gelosia e indifferenza nei confronti della famiglia. La madre si smarrisce presto, più preoccupata di apparire la migliore rappresentante possibile delle rivendicazioni socio-culturali della generazione che ha fatto il ’68 e poco altro: una soixante-huitard imbarazzata all’idea che gli amici artisti la considerino una borghesuccia, terrorizzata però al pensiero che i suoi genitori scoprano che la nipotina tredicenne frequenta un cinquantatreenne noto alla cronache e alle autorità. Non dirlo ai nonni perché loro non capirebbero, l’unico ordine che impartisce alla figlia. Nel libro tutto il mondo a parte la famiglia è riassunto in un medico: ricoverata per un’infezione da streptococco di cui nessuno si disturba di chiarire le cause, V. incontra un dottore che si premura di rimuovere l’ostacolo che fino a quel momento aveva impedito alla ragazzina di avere un rapporto vaginale con G.M. (lui troverà comunque la via per aggirare quelle gambe che si serrano involontariamente a proteggere la verginità di V.): una piccola incisione in anestesia locale e V. può finalmente godere come una donna, e non limitarsi al sesso fatto «come un ragazzino», frase sussurratale all’orecchio da G.M. nel loro primo amplesso.

Pur avendo riacceso una discussione che ormai ristagnava nella contrapposizione idiota tra puritanesimo filo-americano e tradizionale libertinismo francese, Springora ci ha tenuto a precisare che il suo non è un libro-denuncia ma un récit magnifique: «Anche se so che il mio libro è diventato parte del movimento #MeToo, cerco di ricordare alla gente che questa è innanzitutto un’opera letteraria». Non è l’affettazione della scrittrice a portarla a questa precisazione, è la determinazione della cacciatrice: la fine di una vita di tormenti sta «nel far cadere il cacciatore nella sua stessa trappola, rinchiuderlo in un libro». G.M l’aveva intrappolata in una spirale perfetta e infinita: con l’ossessione per i libri di una ragazzina aveva costruito in lei l’illusione del consenso (e del controllo e della consapevolezza), con quel consenso lui aveva nutrito le sue perversioni sessuali, di quelle perversioni sessuali lui aveva fatto la materia del suo successo letterario, con quel successo letterario lui convinceva lei di essere «la sua bambina adorata», l’amore speciale di un uomo speciale, lo scrittore che nel suo primo libro si dichiarava «Athos, il grande signore misantropo, segreto, diverso», e che però cercava lei, voleva lei. G.M. e V. ora sono solo le macchie lasciate da due persone che non esistono più, ma all’epoca erano il romanticismo: con un intuito la cui precisione terrorizza, Matzneff conoscerà Vanessa attraverso le lettere, la conquisterà approfittando dell’ingenuità di una ragazzina che ama leggere, vuole essere ciò che legge, vuole vivere l’amore come nella Relazioni pericolose di Laclos. Altra concessione di Springora alla necessaria prevenzione data dai tempi: non paragonare Matzneff a Nabokov, G.M. a Humbert Humbert. Il perché di questo divieto lo si capisce leggendo Lolita.

L’edizione italiana de Il consenso

La parte dolorosa de Il consenso sta nell’assistere a V. che rinuncia ai libri, per lei oggetti venerati anche oltre la funzione e il contenuto. Il suo amore per G.M. marcisce nel momento in cui V. scopre la verità dentro i libri che fino a quel momento le erano stati proibiti, dentro i taccuini che fino a quel momento aveva ignorato: è capace di amare un uomo disposto a volare sopra mezzo mondo per un mese di orge con undicenni pagati con tappi di bottiglia? Può essere speciale l’amore di un uomo che prima di lei ha avuto ragazzine quante ne servono per essere presentato come cultore della minore età da Bernard Pivot di Apostrophes (un famoso talk show francese), che va in tv a spiegare che gli anni sono muffa che si accumula sul corpo e sull’anima delle donne, rendendole inguardabili, intoccabili dal sedicesimo compleanno in poi?

Nei libri c’è la verità, la libertà. Ma G.M. le aveva spiegato e dimostrato che «i libri sono menzogne»: spezzato l’incantesimo che per un anno l’aveva legata a lui, V. si ritroverà nei suoi libri descritta come una ragazzina isterica e gelosa, impegnata a impedire il pentimento e la redenzione di un peccatore consapevole ma sincero. Dentro un libro la verità e la menzogna possono dire la stessa cosa, con le stesse parole: le lettere d’amore che V. manda a G.M. sono in quei libri, sono vere eppure il libro mente, lui mente.

«Non mi sono ancora liberata dell’ambivalenza», scrive a un certo punto Springora, in un tentativo di risalire la spirale e arrivare «là dove si trova […] la nuda verità». Non riesce ad accettare la spiegazione secondo la quale lei è stata semplicemente la vittima di un predatore. Nel descrivere il suo primo rapporto sessuale con G.M. si sofferma sul maglione da lei indossato quel giorno: un attimo prima attaccato alla pelle dalla fermissima convinzione di rimanere vestita e un attimo dopo appallottolato sul pavimento, nel mezzo nemmeno una parola, a stento il tocco dell’altro, eppure la pienezza della manipolazione, l’impalpabilità del potere di un uomo che è uno scrittore, in una stanza piena di libri, sdraiato sopra una ragazzina le cui premesse sono «spiccata passione per la lettura. Una certa precocità sessuale. E, soprattutto, un immenso bisogno di essere guardata». L’ambivalenza si manifesta nell’osservazione: quando «nessuno si stupisce della mia situazione, mi rendo conto che le cose non sono normali», ma quando lo stupore si manifesta. è per lei e non per G.M. L’unica volta in cui la società interrompe il delirante monologo di G.M. essa prende la forma del disgusto estraneo e straniero della canadese Denise Bombardier, esploso nel mezzo dell’intervista a Apostrophes. Il giorno dopo lo scrittore Jacques Lanzmann dirà che la maleducazione di Bombardier avrebbe meritato un ceffone. Emil Cioran, accogliendo in casa sua una disperata V., le dirà che G.M. «le ha fatto un immenso onore scegliendola. Il suo ruolo è accompagnarlo sul cammino della creazione e piegarsi ai suoi capricci».

La storia è divisa in episodi, raccontati con la freddezza della raccolta di dati, nessuna traccia dell’autoanalisi dolente tipica del memoir contemporaneo. La prima persona sembra usata da un’autrice che non è anche la protagonista della storia, tale è la distanza tra Vanessa e V.. Forse è anche una conseguenza del suo mestiere di editrice, che lei descrive come il lavoro di una collezionista: «Penso, sì, questo potrebbe essere un pezzetto di me, tra quelle righe, dietro quelle parole. Allora raccolgo. Colleziono. Mi ricostruisco».

All’inizio del capitolo di Il consenso intitolato “Scrivere” si legge che «il linguaggio è sempre stato un terreno di caccia. Colui che possiede il linguaggio possiederà il potere». La parte gloriosa de Il consenso, quella che lo immerge nell’epica necessaria al récit magnifique, sta nelle pochissime pagine in cui nel finale Vanessa, dismessa V., si riappropria della sua ossessione per i libri e ne fa prima una passione, poi un mestiere. Per chi legge e finisce fuori dal libro ad approfondire la storia, c’è il piacere di assistere al compimento di una vendetta: viene da sorridere a immaginare G.M., uomo ossessionato dal corpo tanto da spendere ogni anno soldi che non aveva per costosissime cure ricostituenti tra le montagne svizzere, ora ridotto a un vecchio di nome Gabriel Matzneff, malato, abbandonato da amici, editori, colleghi e ammiratori, braccato dalla giustizia francese, fuggito a Bordighera, ridotto a scrivere lettere non più per ridicolizzare la morale o sedurre ragazzine, ma per dire che non è vero niente, che Springora mente, che i libri sono menzogne. Ma la trappola è già scattata e stavolta è Springora che assiste a Matzneff dimenarsi tra le pagine del suo libro, incapace di liberarsi dalla presa di G.M. proprio come fu per Vanessa con V.