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Città selvatiche

Blatte, topi, piccioni, cinghiali e gabbiani dimostrano che lo spazio urbano è un ecosistema non riconosciuto e che la dicotomia città contro natura è da ripensare.

di Marco Granata

Un gabbiano all'Altare della Patria (Foto di Filippo Monteforte/Afp via Getty Images)

«All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici» scriveva Italo Calvino nelle Città invisibili «viene desiderio d’una città». In teoria le città sono casa nostra: le progettiamo, le costruiamo e le abitiamo perché siano fatte apposta per i nostri desideri e i nostri bisogni. Va da sé che in questo modo, da un punto di vista ecologico, le città sono da sempre un compendio delle minacce che la specie umana infligge alla biodiversità – la perdita di habitat, l’introduzione di specie invasive, i cambiamenti climatici e l’inquinamento. Così ci sentiamo costretti a cercare la natura altrove, nei fine settimana in montagna o nelle vacanze al mare, o più spesso nei documentari sulla foresta amazzonica o i deserti africani. Negli ultimi anni, però, in particolar modo dopo i lockdown, ci stiamo accorgendo di quanto sia fallace questa dicotomia città contro natura. Non siamo infatti gli unici abitanti delle nostre città, così come non siamo gli unici proprietari delle nostre case. Per quanto degradate e inquinate, le città sono ecosistemi, cioè l’insieme di una parte non vivente, come le strade, le piazze e gli edifici, e di una parte vivente, dai batteri alle piante, dai funghi all’uomo. In particolare, le nostre città sono popolate da tanti animali: della presenza di alcuni, come il piccione (Columba livia) e i ratti (Rattus spp.), ce ne accorgiamo troppo spesso, ma tanti altri li diamo per scontati o addirittura non li consideriamo; molte volte, neanche li conosciamo.

Da qualche giorno, per esempio, in casa mia sono tornate le formiche. Sono formiche dei faraoni (Monomorium pharaonis), grandi solo un paio di millimetri, col capo giallastro e il resto del corpo più scuro. Non sono particolarmente turbato dalla loro presenza: sono tra le specie più comuni nelle case delle nostre città – spesso basta spargere un po’ di talco sui presunti punti di ingresso per arginare l’invasione. In più, ora posso ammetterlo, l’anno scorso ho avuto un problema ben più preoccupante, un problema di blatte: nel giro di un paio di mesi ho assistito, impotente, all’invasione di ben tre delle quattro specie di blatte cittadine che vivono in Italia, specie che con le loro feci e le loro spoglie in decomposizione possono trasmettere gravi patologie anche agli esseri umani. Tutto è iniziato da uno scarafaggio nero (Blatta orientalis), una femmina grande e lucida, stecchita di fronte alla porta del bagno, ma ben presto l’hanno seguita un paio di blatte fuochiste (Blattella germanica), di colore bruno-rossiccio, sul pavimento della sala, e qualche blatta dei mobili (Supella longipalpa), più piccola e anonima, dietro il mobile della cucina. È stata una battaglia lunga e complessa, ma dopo qualche settimana – e qualche goccia di insetticida – abbiamo firmato un armistizio che ha messo tutti d’accordo: le blatte hanno lasciato perdere il mio appartamento e io non le ho disturbate mentre pascolavano serenamente nel cortile del condominio.

Mi basta aprire i social per imbattermi in tanti altri animali, ben più grandi, che pure popolano le nostre città. Da mesi, per esempio, su Instagram imperversa una canzone, presto diventata un meme, che parla di gabbiani: ogni giorno guardo sbalordito migliaia di foto e video di gabbiano reale mediterraneo (Larus michahellis), il più delle volte in città, sotto le note di Povero gabbiano del neomelodico Gianni Celeste. Ma i gabbiani reali sono tutt’altro che poveri: dominano le nostre città, non solo quelle di mare, ma anche le metropoli del Nord Italia, dove si sono insediati dopo aver risalito i grandi fiumi di pianura durante lo scorso secolo. Possono nutrirsi di qualsiasi cosa, compresi i nostri rifiuti, e nidificano sui nostri balconi, attaccandoci se osiamo avvicinarci ai loro piccoli. E che dire del cinghiale? Ungulato dall’aspetto inconfondibile, il cinghiale (Sus scrofa) è molto comune nelle campagne e nei boschi di provincia, ma sempre più di frequente si insinua nelle nostre città, abbagliato dalle infinite possibilità della vita metropolitana. Negli ultimi giorni si è parlato molto del focolaio di peste suina a pochi chilometri da Roma, tanto che in questo momento le autorità stanno predisponendo l’inizio degli abbattimenti. Al contrario, si è parlato molto poco dell’origine delle popolazioni di cinghiale in Italia: sono composte soprattutto da esemplari immessi per la caccia, il più delle volte originari del Nord Europa, o comunque loro discendenti. I gabbiani reali e i cinghiali ci danno notevoli grattacapi, ma la responsabilità è solamente nostra.

Le formiche, le blatte, i piccioni, i gabbiani e persino i cinghiali sono tra le pochissime specie che possono adattarsi alla vita con l’uomo. Costituiscono una vera e propria fauna urbana, una manciata di specie diffuse e comuni nelle città di tutta Italia, di tutta Europa e in alcuni casi di tutto il mondo. Da un certo punto di vista, queste specie hanno vinto la grande lotteria dell’evoluzione, azzeccando alcuni caratteri che li hanno resi adatti alla vita in città, milioni d’anni prima che le città venissero costruite. Le blatte, per esempio, si sono evolute nella lettiera, il primo strato del suolo, il cui microclima caldo-umido è molto simile a quello delle nostre cucine e dei nostri bagni, e un discorso simile si potrebbe fare anche per la formica dei faraoni; intrufolandosi poi nei nostri bagagli e sui nostri mezzi di trasporto, blatte e formiche hanno colonizzato il mondo intero. Allo stesso modo, i nostri palazzi sono simili alle falesie a picco sul Mediterraneo dove nidificano i gabbiani reali, e persino l’insospettabile piccione, che sembra vivere in città da sempre, si è evoluto in ambienti di questo tipo prima di venir catturato e allevato, fin dai tempi dei Romani, per la sua carne. Ci sembrano piombate dal cielo, eppure per ogni specie delle nostre città, anche quella più comune, c’è un’affascinante storia naturale che merita di essere studiata, fosse anche solamente per capire come arginare eventuali problemi legati alla sua presenza.

Ma nelle nostre città non vivono solo blatte e piccioni. Ci sono tante altre specie che non sono così adatte alla vita urbana, ma fanno del loro meglio per sopravviverle. Insetti e altri invertebrati, ma anche pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi: alcune specie sono molto rare, altre sono a rischio di estinzione e altre ancora sono protette da leggi nazionali o internazionali. Basta uscire di casa, magari muniti di una o due guide da campo, per riconoscere le specie più comuni. Qualche giorno fa, per esempio, si sono schiuse le quattro uova che una coppia di falco pellegrino (Falco peregrinus) aveva deposto in cima al Pirellone di Milano, sotto lo sguardo di una web-cam le cui riprese sono consultabili in tempo reale sul sito della Regione Lombardia. Il falco pellegrino è un rapace diurno che negli ultimi anni si è riconquistato un posto di rilievo nella fauna cittadina: lo si può osservare mentre volteggia nel cielo infiammato della sera, quando caccia storni o altri uccelli, raggiungendo velocità superiori ai trecentocinquanta chilometri orari. Nonostante sia meno celebrato del falco pellegrino, anche il tasso (Meles meles), mammifero appartenente alla famiglia dei mustelidi, sta inaspettatamente tornando in città, come tanti altri carnivori: per esempio, da qualche anno lo si avvista con regolarità all’Orto botanico di Torino, nel Parco del Valentino, a pochi passi dal centro. Si muove perlopiù col favore delle tenebre, tanto che lo si è potuto avvistare solo grazie all’uso di fototrappole, particolari videocamere che si attivano al passaggio dell’animale.

Mi sono convinto che di fianco alle serie di città che descrive Calvino, tra quelle sottili, quelle continue e quelle nascoste, se ne può aggiungere una nuova: la serie delle città selvatiche. È una serie che a differenza delle altre potrebbe tradursi in realtà, come l’insieme di quelle città che non tengono conto solamente dei desideri e dei bisogni della specie umana, ma anche di quelli delle altre specie animali, e pure degli altri organismi. Alcune città sono ancora molto indietro rispetto a questo ideale, in quanto riescono a garantire la sopravvivenza alla sola fauna urbana in senso stretto. Ma già oggi molte città europee sostengono popolazioni vitali di un sorprendente numero di specie, anche rare, minacciate o protette. Non dobbiamo allora accontentarci della capacità degli animali di sopravvivere nonostante la nostra presenza, e sorprenderci quando incontriamo qualche specie interessante. Al contrario, dobbiamo lavorare ogni giorno per favorire la coesistenza con i nostri concittadini animali. Dobbiamo implementare e gestire il verde urbano e le zone umide delle città, ma anche garantire rifugi agli animali, con cassette-nido per gli uccelli, bat-box per i pipistrelli e bug-hotel per gli insetti. Soprattutto, dobbiamo prestare più attenzione all’anima selvatica delle nostre città, e in fin dei conti anche di noi stessi: dobbiamo tornare ad apprendere il linguaggio della natura, o perlomeno di quella che ci sta più vicino. Solo così potremo comprendere quello che accade intorno a noi, e solo allora sapremo come comportarci di conseguenza.

L’autore di questo articolo, che ha esordito su Rivista Studio con un pezzo sulle guide da campo, ha appena pubblicato con IlSaggiatore Bestiario Invisibile.