Cultura | Animali
L’importanza delle guide da campo
Un'ossessione condivisa dai migliori nature-writer, ma non solo: come appassionarsi ai libri illustrati che aiutano a riconoscere le specie.
Charles Collins (c.1680-1744) – British Birds
Nel luglio del 2018, mentre ero stagista per un progetto di monitoraggio faunistico nel Parco Fluviale del Po e dell’Orba, tra le province di Alessandria e Vercelli, ho avuto la deprimente rivelazione che dopo quattro anni di studi naturalistici avevo idee quantomeno confuse sulla fauna selvatica che tanto mi appassionava. Il mio compito era controllare quotidianamente eventuali segni di presenza della nutria (Myocastor coypus), roditore invasivo di origine sudamericana, su una trentina di pedane di legno spolverate di sabbia e distribuite in diversi habitat lungo il Po, e dopo i pochi giorni che mi ci vollero per imparare a riconoscerli mi resi conto dell’enorme quantità di altri segni – impronte ed escrementi di ogni forma e dimensione – in cui mi imbattevo e che non ero in grado di assegnare a una specie.
Allora, nei limiti di uno studente universitario, conoscevo bene le basi della vita. Se non fosse che, in mezzo al bosco o anche solo in mezzo a un prato, mi sembrava di aver studiato l’intera grammatica del greco antico senza averne mai tradotto una frase e di essermi trovato d’un tratto a dover decifrare una pagina di Aristotele senza l’utilizzo di un dizionario. Ebbi un importante aiuto da una piccola guida da campo dal titolo Tracks and Signs of the Animals and Birds of Britain and Europe, dello scrittore e zoologo danese Lars-Henrik Olsen (2013), acquistata in fretta e furia per provare a decifrare quegli sconosciuti segni di presenza che mi facevano sentire tanto inadeguato. Così, tra le punture delle zanzare e dei tafani, ho passato buona parte dell’estate del 2018 a chinarmi sul fango per esaminare impronte di ungulati selvatici, soprattutto cinghiali e caprioli, a prelevare e sfaldare voluminosi escrementi di volpi, e nei giorni più fortunati a raccogliere toporagni morti, penne colorate, pigne distrutte da uccelli e nocciole sgranocchiate da topi selvatici e arvicole. Ancora oggi, nonostante conosca quasi a memoria diversi passaggi della guida, raramente non è nel mio zaino durante le lunghe camminate in montagna.
In breve tempo la situazione mi è sfuggita di mano: a poco più di due anni dopo quel primo acquisto possiedo una decina di guide che coprono buona parte della fauna piemontese, dai mammiferi, mio gruppo animale d’elezione, agli uccelli, dagli anfibi ai rettili ai pesci, dai coleotteri ai lepidotteri, ovvero farfalle e falene, fino agli ortotteri, ovvero grilli e cavallette, il mio acquisto più recente. Chi mi accompagna in montagna sa che nel mio zaino porto sempre un libro di narrativa e almeno una guida da campo; all’inizio faticavo addirittura a scegliere quale guida portare, così spesso prendevo la mia decisione sulla base della destinazione; ad esempio, per una gita alpinistica in alta quota mi porterei la guida agli ortotteri, mentre per una camminata nei boschi mi porterei la guida agli uccelli. Solo più recentemente ho iniziato a portare una sola guida per un buon periodo di tempo, in modo da dedicarmi intensivamente a un solo gruppo per volta.
Mi rendo conto di aver investito una discreta quantità di soldi e tempo nell’acquisto e nella consultazione delle guide di campo, tanto che a volte mi sono anche vergognato nel mostrare a qualche amico così tante guide collezionate in un così breve lasso di tempo. Solo recentemente ho scoperto di non essere il solo a soffrire di questa piccola ossessione: qualche mese fa, Matt Miller, nature-writer americano, ha pubblicato un breve articolo dal titolo A Lifelong Love of Field Guides, in cui ha riassunto la storia del genere, la sua personale relazione con le guide di campo e i consigli per chi vorrebbe iniziare. Matt Miller non ha dubbi sulla prima guida che un neofita dovrebbe acquistare: «Iniziate con gli uccelli». Le ragioni sono note: gli uccelli, rispetto agli altri gruppi animali, sono facilmente visibili in natura e relativamente abbondanti; inoltre, molti sono diurni, talvolta appariscenti e spesso rumorosi. Poi, rassicura lo stesso Miller, la prima guida è solo l’inizio di un lungo viaggio.
Molti amici, che pure amano trascorrere il loro tempo nella natura, non sono interessati a riconoscere le specie che incontrano, ma al contrario desiderano soprattutto raggiungere un certo traguardo o godere di un bel panorama. Nel mese di luglio dell’anno scorso ho portato un amico nel bosco dell’Alevè, ai piedi del Monviso, per fare una camminata in montagna e nel frattempo raccogliere dati per la mia tesi, in particolare gli escrementi di due piccoli carnivori che abitano i boschi alpini, la martora (Martes martes) e la faina (Martes foina). Avevo con me la guida agli uccelli Collins Bird Guide, più comunemente chiamato «Lo Svensson», indubbiamente la bibbia dell’ornitologo. Mi sono sorpreso dell’indifferenza con cui il mio amico osservava gli alti pini cembri (Pinus cembra) e le nocciolaie (Nucifraga caryocatactes) che volavano sopra le nostre teste, mentre rimaneva a bocca aperta a ogni veduta della val Varaita che si apriva ai nostri piedi.
Nessun tipo di fruizione della natura, purché nel rispetto della stessa, è sbagliata, ma personalmente, dal momento in cui per la prima volta ho percepito che ci sono altri livelli di lettura dietro alla semplice visione, non mi è stato più possibile fermarmi all’immagine che si stampava sulla mia retina. Lo stesso Fredrik Sjöberg, autore di L’arte di collezionare le mosche, paragona il paesaggio a un’esperienza letteraria e conclude che per goderne pienamente “prima di tutto bisogna conoscere la lingua”, una lingua fatta di insetti, uccelli, alberi, rocce, pH acidi e basici, pressioni parziali e temperature.
Una delle mie pagine preferite di tutte le guide di campo che possiedo si trova nella Collins Butterfly Guide ed è la pagina dedicata a un piccolo gruppo di farfalle mirmecofile, vale a dire farfalle che parassitano obbligatoriamente nidi di formiche appartenenti a uno specifico genere; inoltre, come molte altre farfalle, sono oligofaghe o addirittura monofaghe, cioè le loro larve si nutrono di poche o di una sola pianta nutrice. Di conseguenza, se in un prato umido osservo una Maculinea teleius, so che in quel prato ci sono le formiche parassitate appartenenti al genere Myrmica e la pianta nutrice Sanguisorba officinalis, che a loro volta hanno precise necessità ecologiche che devono essere soddisfatte per garantirne lo sviluppo. Ce ne sono molti di esempi simili, forse anche più calzanti, ma questo mi riguarda da vicino: per anni ho portato il cane in un prato umido vicino a casa mia, ma solo quando ci ho campionato le farfalle per uno stage universitario nel 2016, con il retino da farfalle in una mano e la pagina fotocopiata della guida da campo nell’altra, ho scoperto di queste relazioni antiche millenni. Mi ha cambiato la vita sapere che non era un semplice prato in cui portare il cane o per giocare a calcio? Forse no, ma dato che si tende ad assumere la forma del posto in cui si nasce e si cresce, ad assumerne quasi la consistenza e l’odore, quel posto che inevitabilmente si ama o si odia, ha un significato leggere e conoscere anche quella parte di sé: io sono fatto di un prato che ospita la Maculinea.
Oggi, leggere e comprendere l’ecologia di una specie mette inevitabilmente di fronte alle numerose minacce alla sua sopravvivenza: non si può più camminare in un habitat naturale senza vedere le ferite causate dall’uomo e percepirne i potenziali effetti futuri. Cosa succede se il prato con Sanguisorba officinalis viene falciato nel momento sbagliato o brucia in un incendio? Cosa succede se le formiche del genere Myrmica si spostano più in quota per effetto dei cambiamenti climatici? Il riconoscimento di una specie su una guida costringe l’identificatore ad affacciarsi alle più attuali tematiche ambientali e quindi a responsabilizzarsi alla conservazione della natura. Inoltre, le nuove tecnologie hanno permesso lo sviluppo di un importante sostegno alla pratica della conservazione, ovvero la Citizen Science, o scienza dei cittadini: un appassionato della natura, armato di una guida e di un cellulare, può riconoscere e fotografare una specie, caricare il dato di presenza georeferenziato in una banca dati open source come iNaturalist o GBIF, e rendere così il suo dato disponibile a esperti che lo analizzeranno a fini conservazionistici.
Il riconoscimento di una specie, così come la conservazione della natura in generale, non ha rilevanza solo per le foreste equatoriali, l’Artico o la savana, né tantomeno solo per le Alpi o le spiagge rosa del nostro Paese. Anche gli habitat altamente antropizzati sono popolati di specie da scoprire e riconoscere. Un amico ornitologo ha organizzato recentemente un’escursione fotografica al Parco del Valentino, nel centro di Torino, e in mezza giornata ha osservato oltre trenta specie di uccelli. Io stesso, durante il lockdown, ho passato diverse ore a osservare un affollato nido di balestrucci (Delichon urbicum) di fronte a casa mia, a pochi chilometri da Torino. Di nuovo, mi ha cambiato la vita scoprire in una guida che gli uccelli davanti a casa mia sono balestrucci? La risposta, in questo caso, è più complicata. Robert Dunn, ecologo statunitense, ha coniato nel 2006 la teoria del Pigeon Paradox, il paradosso del piccione: il piccione, simbolo della fauna cittadina, è una specie estremamente generalista di bassissimo valore naturalistico e conservazionistico; ciononostante, è l’unica forma di natura di cui gli abitanti delle grandi città possano godere quotidianamente, aumentando così la loro consapevolezza relativa alla natura e alla sua conservazione.
Purtroppo, il mercato editoriale italiano non abbonda di guide di campo e i pochi titoli in commercio, sebbene quasi tutti di ottima qualità, sono pubblicati solamente da Ricca Editore. La maggior parte delle migliori guide si trova solo in lingua inglese, e la speranza è che grazie alla crescente attenzione dell’opinione pubblica alle tematiche ambientali e conservazionistiche possano trovare fortuna anche qui, per il semplice divertimento di riconoscere le specie che si incontrano, ma anche per la necessità di approfondire la lettura della natura che ci circonda, per la volontà di partecipare attivamente alla sua conservazione, o anche solo per sentirsi parte di un qualcosa di più grande, uno spazio dell’immaginazione che si traduce in una complessa realtà fatta di coleotteri dal nome impronunciabile, uccelli dalle zampe raccapriccianti e tracce di ogni forma e dimensione, un mondo che non necessita della nostra validazione ma che ora più che mai richiede la nostra attenzione.