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Ciro, di nuovo il grande

Dopo una stagione forse non all'altezza delle precedenti al Pescara, Immobile ha convinto anche i detrattori con i goal in maglia granata. In effetti, dal Sorrento alla Juventus a Zeman, lui i goal li ha sempre fatti.

di Giuseppe De Bellis

A ogni gol che fa, Ciro Immobile  smentisce il più clamoroso luogo comune su di lui: quello che dice che segnasse solo con Zeman. Sedici, amici. Sedici gol, senza rigori. Il dettaglio non vale per le statistiche, ma pone sempre una bella questione. Irrisolvibile, forse pelosa, però affascinante. Perché non è che tutti li possano battere, e allora come fai? Quindi la storia torna sempre. Sedici gol sono gli stessi di Tevez, ma il giocatore della Juve ha segnato un rigore. Non vale, ma vale. Così come non vale, ma vale un altro dato: Ciro ha giocato nel Torino 2114 minuti in 26 presenze e quindi segna a un ritmo di un gol ogni 132,1 minuti. Tevez ha giocato nella Juve 2222 minuti in 28 partite cioè un gol di 138,8 minuti.

Gioca Immobile. Punta, salta, calcia, segna. Guarda l’azione del gol a San Siro, di qualche settimana fa. Bonera non è il miglior difensore italiano, arretra, caracolla, poi s’inclina. La finta è prevedibile, ma perfetta: corpo che tende a destra, piede che accompagna il pallone a sinistra. Ora Immobile è solo e qui fa la cosa migliore. Perché se cede all’idea di farla scivolare sul piede sinistro si chiude l’angolo: quel diagonale prevede un tiro perfetto e basta, se chiudi troppo rischi di mandare la palla alla bandierina. Ciro si sposta col corpo, per colpire di destro, così può dare quella rotazione sufficiente permette di aggirare il portiere. Ecco il gol. Come il terzo segnato sabato contro il Livorno, un gol tipicamente suo per come può essere tipicamente suo un gol segnato da uno che in è solo alla seconda stagione di serie A. Comunque per chi l’ha visto nelle giovanili e nel Pescara, il terzo gol col Livorno è una specie di archetipo dell’”Immobilismo” inteso come qualcosa figlia di Ciro. Fuoriarea, 22-23 metri dalla porta, nella zona di centrodestra, passaggio in orizzontale, lui stoppa con il sinistro, si sistema il pallone e calcia: teso, forte, di destro da destra verso sinistra, quindi in diagonale a 50 centimetri da terra. La palla non gira neanche, va dritta, precisa. Non si può prendere.

Immobile ricorda un po’ Ravanelli per il modo di aprire le braccia quando corre, ma ha molto più tocco e più sensibilità.

Perfetto il tiro e perfetto il gol, eppure non è la cosa migliore di questo Immobile. Perché quello è il mezzo per un risultato più grande: aver dimostrato che non è esiste solo perché Zdenek l’ha creato, non segna soltanto perché il gioco, l’organizzazione, gli schemi del suo allenatore ai tempi del Pescara lo mettevano in condizione di farlo. Questo era l’intercalare dell’anno scorso: “Senza Zeman non funziona”. Il che fa ridere, per più di una ragione. La prima è che con gli altri di quel Pescara nessuno lo diceva: soprattutto nessuno l’ha rinfacciato a Lorenzo Insigne, perché lui ha il tocco maradonesco e perché gode di ottima stampa proprio per questo. Poi è tecnico, mentre Immobile sembra non lo sia. È un toro, rapido, potente, furbo. Chi può dire che tutto questo non significhi classe? Eppure è così ed è la dannazione dei giocatori così, costretti a essere giudicati meno forti solo perché per qualcuno sono meno belli. Immobile ricorda un po’ Ravanelli per il modo di aprire le braccia quando corre, ma ha molto più tocco e più sensibilità.

La seconda ragione per cui fa ridere è che bisogna rispondere a una domanda: cinque gol alla prima stagione in serie A, non avendo ancora compiuto i 22 anni, nel Genoa, sono pochi? Forse conviene guardare un po’ indietro. Alla stessa età, Francesco Totti era già alla terza stagione di A: fece 5 gol, nella Roma. Alla stessa età, Del Piero era alla terza stagione di A: fece 6 gol, nella Juventus. Allora di che parliamo? Perché Immobile si è dovuto sentir dire l’anno scorso che non segnava, che non funzionava, che non valeva l’idea che il calcio italiano s’era fatto di lui?

La terza ragione per cui fa ridere è che Immobile i gol li ha sempre fatti. Anche molto prima di Zeman. Fino a 18 anni giocava nelle giovanili del Sorrento. Fece una doppietta al Torino e la Juventus lo prese. No, non è che vi spacciamo la storia del predestinato, dell’incrocio bizzarro che cambia la vita: segni al Toro i gol che ti portano alla Juve, poi dopo qualche anno la Juve ti cede al Toro. È una coincidenza, ma conta per la storia dei gol: in quella stagione in cui fu scoperto, quella del 2008, segnò 30 gol. Trenta sono tanti anche tra i ragazzi. Come tanti sono i 10 fatti nel Torneo di Viareggio 2010: fece tripletta nella finale, replicando la doppietta dell’anno precedente con cui permise alla Juventus Primavera di vincere (ovviamente vinse anche l’anno dopo). Ora si dirà che il Torneo di Viareggio è robetta. Però è il posto dove sono nati tutti quelli che abbiamo trasformato in eroi. Allora bisogna decidere: se lo snobbi per Ciro, lo snobbi per tutti. Altrimenti lo tieni. Vale la pena tenerlo, perché segnare è uno stato mentale: Immobile ce l’ha e non gliel’ha insegnato Zeman ai tempi di Pescara, dove ne fece 28 diventando il capocannoniere di B.

A Genova, a un certo punto, Ciro s’era dovuto addirittura scusare via Twitter dopo la partita contro il Parma: «Mi dispiace aver fallito tanti gol. Continuerò a lavorare duramente per le prossime partite».

Avrebbe potuto essere una fregatura, quella stagione. Perché per tre quarti dell’anno scorso la critica gliel’ha rinfacciata come si fa con quelli che tradiscono le aspettative. Già tutti pronti a parlare di Ciro come il prosecutore della specie di Roy-Cappellini-Bresciani. Insieme formavano il tridente del secondo Foggia di Zeman, quello post Rambaudi-Baiano-Signori. Fecero 23 gol in tre e poi si persero. Il primo emigrò al Nottingham Forest, il secondo andò prima a Piacenza poi a Empoli, il terzo passò per Bologna prima di sprofondare in B e poi in C. Forse è lì, allora, che è nata la leggenda di Zeman che fa fare gol più di quanto i giocatori possano fare da soli. Effettivamente con quei tre fu così. Ma gli altri no. E non succede adesso a Immobile che ha scavallato la scorsa stagione. Siccome le mitologie sui giocatori si rincorrono oltre ogni ragionevole appiglio alla realtà, a Genova l’avevano marchiato a fuoco. Tanto che a un certo punto, Ciro s’era dovuto addirittura scusare via Twitter dopo la partita contro il Parma: «Mi dispiace aver fallito tanti gol. Continuerò a lavorare duramente per le prossime partite». Che poi il Genoa l’aveva cercato e voluto: quando era a Pescara in prestito dalla Juventus, Preziosi aveva fatto di tutto per prendere la metà del cartellino e ottenere che a giugno arrivasse a Genova. Poi cominciarono le storie: che ruolo ha? Ma deve giocare da solo o accanto a un altro attaccante? È prima o seconda punta? Un campionario di luoghi comuni per mascherare una sola e semplice verità: Immobile non piaceva, né faceva parte dei piani tecnici dell’allenatore. Succede, però nessuno dica che alla prima stagione di A da titolare abbia deluso, perché non è così. Pretendevano che facesse 28 gol come in B? L’estate scorsa è finito al Toro con un carico di scetticismo che oggi nessuno vuole ammettere.

Non avrebbe dovuto neanche essere titolare, Immobile. Giampiero Ventura è il principale teorico dell’uso di calciatori già conosciuti e sperimentati. A Torino s’è portato mezza squadra del suo Bari di qualche anno fa, quello con cui tornò ad allenare in serie A dopo molto tempo: Gillet, Glik, Gazzi, Masiello, Barreto, Meggiorini. Anche Cerci appartiene alla categoria: giocò con lui a Pisa, in B, e da allora ha sempre cercato di riprenderselo. Tentò di portarlo per due anni di seguito proprio a Bari, senza riuscirci. Ce l’ha fatta a Torino, aiutandolo a diventare uno dei migliori giocatori di questo campionato. Tutto questo serve a spiegare perché Immobile, nei piani dell’allenatore, avrebbe potuto tranquillamente essere una seconda scelta. La prima probabilmente sarebbe stata Barreto, il quale però è rimasto fermo per una squalifica per omessa denuncia nel caso calcioscommesse. E poi non s’è più ripreso. Così Ciro è diventato la scelta imposta dal fato più che dalla logica. Solo che siccome Ventura è intelligente non ha fatto quello che molti avrebbero fatto al suo posto: non l’ha messo in discussione quando Barreto è tornato disponibile. Non ha ceduto al conservatorismo del “pupillo”. L’utilitarismo prima di tutto. L’utilitarismo come strumento per raggiungere i risultati. Immobile funziona e Immobile resta. Basta. Poche storie e niente discussioni. L’ha messo in condizioni di giocare senza doversi preoccupare degli errori. Immobile punta, si sposta il pallone, tira. Destro e sinistro. Potente, preciso, convinto. Così convinto che ora entra pure se la tocca sporca, se non colpisce bene: come nel secondo dei tre gol al Livorno. L’azione è esemplare: Cerci da destra si accentra, tocca al limite dell’area dove c’è El Kaddouri, Ciro ha già fatto il movimento ad aggirare la difesa, El Kaddouri gli mette la palla sulla corsa, lui tira con mezzo interno e mezzo collo, male, la palla rimbalza sull’erba e va dentro.

Tutto ciò che non c’era l’anno scorso c’è quest’anno e viceversa. Nel senso che quel tweet oggi non lo scriverebbe neanche se sbagliasse a porta vuota due gol in una partita. Il che succede. I numeri aiutano sempre. I numeri spiegano ancora. Dopo la partita con il Milan, la prima in cui era di fatto diventato capocannoniere senza rigori, Immobile aveva fatto 44 tiri e 11 gol: il 25 per cento. Dentro un tiro ogni quattro e uno ogni 130 minuti. Le proporzioni sono rimaste le stesse con l’aggiunta che però è aumentato il valore dei suoi gol in relazione alla classifica: nel girone d’andata in 19 giornate i suoi gol sono valsi 12 punti. Nel girone di ritorno siamo a 10 punti in 10 giornate.  Fondamentale per il Toro, adesso anche per lui comincia la storia del Mondiale sì, Mondiale no. Per i detrattori è troppo inesperto, per i fan è pronto da sempre. Dipende sempre da quello che vuoi e da quello che hai. Ciro non è puro nel tocco, ma ha tutto: il tiro, il senso della posizione, l’intelligenza di muoversi con il compagno d’attacco. Oggi è il giocatore che ti garantisce il miglior risultato nel minor tempo possibile. Ora puoi anche rimettere i rigori a tutti gli altri e smettere di pensare se valgono o no per la classifica dei marcatori, se è giusto o meno. Immobile è la teoria della relatività del pallone: la trasformazione matematica applicata alla modifica del sistema di gioco e del suo risultato finale. È il fattore determinante, l’agente che cambia lo stato delle cose, utilizzando tutte le variabili. Funziona su tutto, contraddice soltanto il cognome.