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Breve storia dell’irrilevanza dei Cinquestelle in Europa
Perché, a poche ore dalla prima seduta del nuovo Parlamento Europeo, i grillini rischiano di restare fuori da tutto.
Luigi Di Maio si rivolge alla folla durante un raduno dei Movimento 5 Stelle nel centro di Roma il 24 maggio 2019 (Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)
Nel noto e controverso saggio La fine della storia e l’ultimo uomo il politologo Francis Fukuyama descriveva l’Unione europea come un’istituzione tecnocratica, post-ideologica e del tutto indifferente agli scontri di idee e a dicotomie politiche come destra e sinistra o liberali e conservatori. Le difficoltà del Movimento Cinque Stelle a trovare una casa politica all’interno del Parlamento europeo ci dicono che forse Fukuyama aveva torto. Sulla promessa di essere post-ideologico, il M5S ha costruito le proprie fortune politiche. Sin dall’inizio, la creatura di Grillo e Casaleggio si è definita “né di destra né di sinistra”. A favore dell’ambiente e per il reddito di cittadinanza (e quindi, a spanne, di sinistra) ma anche per il “mandiamoli a casa loro” in senso buono alla Di Battista. Di fatto non schierato sui diritti civili, quando ai timidi progressi proposti dai governi di centrosinistra di solito rispondeva con l’astensione dei suoi parlamentari. In Italia, questa formula gli ha consentito di pescare elettori un po’ a destra e un po’ a sinistra, fino a diventare il partito più votato alle elezioni politiche del 2018.
In Europa, invece, questo estremismo post-ideologico rischia di condannarli all’irrilevanza. «Il Movimento Cinque Stelle – spiega Gilles Gressani, direttore del Groupe d’études géopolitique, un think thank che analizza l’attualità geopolitica da una prospettiva europea – non è un partito che funziona in modo classico, con una linea politica di lungo periodo. È un partito che segue delle opportunità anche di mercato, si può leggere la sua azione come quella di un’azienda di digital marketing, che si è accreditata come fornitrice di soluzioni per la disintermediazione della democrazia. Quello che si vede è un interesse poco articolato per la scala europea». La difficoltà dei Cinquestelle a trovare alleati è stata una costante nella sua breve storia di politica europea. Nel 2014, Beppe Grillo fece campagna elettorale senza indicare dove i suoi europarlamentari si sarebbero andati a schierare. Solo dopo le elezioni, si accordò con lo Ukip di Nigel Farage e altri partiti minori per formare il gruppo “Europa della Libertà e della Democrazia Diretta”, nonostante alcuni parlamentari avessero detto più o meno apertamente che avrebbero preferito allearsi con i Verdi, con cui ritenevano di avere più punti in comune. Non sappiamo se i vertici del Movimento in quell’occasione cercarono effettivamente un contatto con il gruppo dei Verdi o se avessero in testa sin dall’inizio l’alleanza con Farage. Sappiamo solo che, al momento del referendum online in cui si chiedeva agli iscritti quale alleanza europea preferissero, l’opzione Verdi nemmeno c’era. E che gli stessi Verdi, per bocca dell’europarlamentare Jan Philipp Albrecht, avevano chiuso preventivamente la porta a ogni possibile alleanza, perché tra le due parti c’erano troppe differenze.
Tra le europee del 2014 e quelle del 2019, a gennaio del 2017 c’è stato il mancato ingresso del Movimento Cinque Stelle nell’Alde, l’Alleanza dei Liberali e Democratici Europei. Questa volta era stato Guy Verhofstadt a proporre al partito italiano di entrare nel suo gruppo, probabilmente nella speranza di aggiudicarsi i voti degli europarlamentari grillini per diventare presidente del Parlamento europeo. Gli iscritti al blog approvarono il cambio di gruppo con la solita votazione online, ma a quel punto furono gli altri leader dell’Alde a opporsi a Verhofstadt e a far saltare la nuova intesa. «Quello fu un passaggio molto interessante – sottolinea Gressani – che indicò come ci fosse un’anima importante della socialdemocrazia e del liberalismo europeo che pensava fosse possibile normalizzare il Movimento Cinque Stelle, che rimase molto scottato dalla mancata alleanza con l’Alde, proprio perché comprese come non ci sarebbero più stati molti spazi per una sua normalizzazione nel sistema europeo». Che il M5S avesse compreso l’importanza di posizionarsi in Europa lo testimonia anche il post sul blog delle stelle con cui Beppe Grillo aveva spiegato agli iscritti la scelta di tentare un dialogo con l’Alde. C’era stata la Brexit, quindi gli alleati dello Ukip sarebbero (si pensava allora) presto stati fuori dal Parlamento europeo e il Movimento, rimasto senza alleati, sarebbe diventato irrilevante, per questo serviva trovare un nuovo gruppo. Aveva ragione. I partiti che, nel Parlamento europeo, non fanno parte di nessun gruppo perdono i finanziamenti che consentono loro di pagare gli uffici o i collaboratori per scrivere le proposte di legge, oltre che la possibilità di accedere ad alcune cariche.
Nemmeno dopo il fallimento dell’alleanza con l’Alde nel 2017 il Movimento rinunciò del tutto all’idea di una sua normalizzazione. «Durante la campagna elettorale per le legislative italiane del 2018 – sottolinea infatti Gressani – il Movimento Cinque Stelle eliminò del tutto il referendum sull’euro dal programma e fece diverse dichiarazioni europeiste, che molti lessero come un tentativo di apertura verso una famiglia liberale europea. Si vedeva sempre più un elemento quasi macroniano. Dopo le elezioni, molti di quelli che avevano lavorato a un ingresso dei 5 Stelle nell’Alde spinsero anche per un’alleanza tra il Movimento e il Partito democratico, che avrebbe potuto cambiare lo scenario». Poi, però, è arrivato il contratto di governo con Matteo Salvini. «Una scelta catastrofica – la definisce Gressani – probabilmente dettata dal fatto che gli esponenti dei Cinquestelle avessero voglia di arrivare al governo il prima possibile, anche a causa della regola dei due mandati. Una scelta politicamente suicida non solo dal punto di vista elettorale, ma anche da quello del posizionamento europeo. Oggi, in Europa, il Movimento è percepito come allineato alle posizioni di Salvini, quindi nessun gruppo che non sia sovranista può accollarsi un’alleanza con loro. È la ragione principale per cui non ha funzionato il tentativo di avvicinamento con Gue, la sinistra europea di Tsipras».
Il premier greco ha avuto una parabola politica molto diversa da quella del Movimento, motivo per cui è riuscito a integrarsi meglio nel sistema politico di Bruxelles. Partito in forte opposizione ai trattati e alle regole dell’Unione, si è col tempo normalizzato, e oggi comprometterebbe la sua immagine alleandosi con una forza politica che governa insieme a Salvini, in questo momento il vero uomo nero dell’Europa. E lo stesso vale per tutti gli altri. «Dal punto di vista del posizionamento tra i vari gruppi europei – conclude Gressani – secondo me è abbastanza chiaro che il Movimento Cinquestelle non avrebbe molte alternative se non entrare in Renew Europe (il nuovo gruppo che include l’Alde e di cui fanno parte anche i parlamentari di Macron, ndr), una forza né di destra né di sinistra, ideologicamente ambigua ma con elementi di innovazione. Il problema è che non è possibile a causa del posizionamento italiano del partito al fianco di Salvini, che impedisce il ritorno di un dialogo con i liberali come quello di due anni fa tra Grillo e Verhofstadt».
Tutte le difficoltà del M5S a trovare alleati in Europa sono emerse con chiarezza durante la campagna elettorale del 2019, quando Luigi Di Maio è riuscito a trovare un’intesa solo con altri quattro e piccolissimi partiti europei. Di questi solo il croato Zivi Zid (che significa “Barriera Umana” dal nome delle catene che i suoi attivisti formavano per ostacolare gli sfratti) è riuscito a eleggere un europarlamentare. Poco per formare un gruppo, per cui sono necessari almeno 25 parlamentari provenienti da almeno sette Paesi. Probabilmente è per questo che i Cinquestelle hanno cercato, prima e dopo le elezioni, di accasarsi in altre famiglie politiche già formate, ricevendo in cambio solo rifiuti: ad aprile, secondo La Stampa, dal Ppe e poco dopo le elezioni, secondo Il Foglio, dal gruppo dei Conservatori e Riformisti, di cui fa parte Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. L’ultimo tentativo andato a vuoto è stato quello con la sinistra del Gue. Nemmeno la possibile riedizione della vecchia alleanza con Farage potrebbe bastare per formare un gruppo. E il problema della Brexit incombente di cui parlava Beppe Grillo nel 2017 si ripeterebbe senza che il Movimento abbia fatto nessun passo avanti nella definizione della propria appartenenza politica europea.