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Un anziano di New York ha pubblicato un annuncio in cui chiedeva di venire a fumare una sigaretta al parco con lui e si sono presentati in 1500 Lo smoke party improvvisato è stato lanciato dall’attore Bob Terry, che aveva anche promesso di offrire una sigaretta a chiunque si fosse presentato.
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I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.

L’inspiegabile trasformazione delle celebrity in guide turistiche

Russell Crowe, Giancarlo Esposito, Robert De Niro, Tom Morello, Magic Johnson, Michael Jordan: racconto del Paese che esiste solo nei contenuti social vacanzieri delle celebrity.

02 Agosto 2023

Mi sento come un pioniere della medicina che ha scoperto i sintomi di una malattia nuova ma non ha ancora trovato le parole giuste per descriverla. Ci proverò in ogni caso, nella speranza che questo mio tentativo sia un contributo alla ricerca di una cura. La malattia si manifesta come una sorta di saudade al contrario: persone che non sono mai state in un Paese ci vanno per la prima volta e scoprono di averne sentito la mancanza per tutta la vita, anche se fino a quel momento non se ne erano mai rese conto. La malattia presenta tre peculiarità che la rendono un caso pressoché unico nella storia delle patologie umane. Peculiarità una di tipo geografico, l’altra temporale, l’ultima, per così dire, demografico. Quella di tipo geografico: i sintomi si manifestano solo dentro i confini nazionali italiani. Quella temporale: la malattia si manifesta con la massima virulenza in un periodo di tempo compreso tra la prima settimana di luglio e la quarta d’agosto. Infine, la peculiarità demografica: i soggetti più sensibili e fragili sembrano essere le celebrity americane dai cinquant’anni in su.

Come sempre capita con le malattie nuove, individuare il paziente zero è impresa quasi impossibile. Il meglio che sono riuscito a fare è risalire al paziente uno: Russell Crowe. Uno dei suoi contenuti turistici sarà sicuramente capitato anche nel vostro feed social. Tra quest’estate e la scorsa, Crowe sembra aver sviluppato una vera e propria ossessione per l’Italia: scorrendo a ritroso il suo profilo Twitter, si perde il conto delle volte in cui l’attore chiede ai suoi follower «Where am I”. Al centesimo contenuto simile, si capisce che la domanda è retorica e la risposta scontata: Crowe è sempre in Italia, probabilmente il biopic su padre Amorth (L’esorcista del Papa) ha accettato di farlo solo per avere una scusa per passare tre mesi da noi in bassa stagione.

Molto spesso è a Roma, a fotografare cieli azzurri e silhouette di alberi nere a contrasto con lo sfondo arancione del tramonto. Certe volte si sposta, probabilmente per evitare l’accusa di romanocentrismo: va a Venezia a spiegare le origini della Festa del Redentore e a Messina a chiedere delucidazioni sul fenomeno della Fata Morgana. Con la sua band – gli Indoor Garden Party, forse fondata con il solo intento di venire a fare tour in Italia, allungare il periodo vacanziero, estendere l’itinerario – si ritrova al Magna Graecia Film Festival di Catanzaro o all’Orfeo Summer Festival di Taranto. Il risultato è sempre lo stesso: la Calabria è un posto «che il mondo dovrebbe conoscere» e la Villa Peripato di Taranto è «so fucking cool», ce lo si immagina onorato dal colloquio privato col sindaco catanzarese Gianvito Casadonte ed estasiato dal sapore della puccia con gli uccelletti di Bombolo, da gustare godendosi la vista sul Mar Piccolo. Ma lo ammette lui stesso che tutte le strade portano a Roma, alla fine.

Un amore per la capitale che ha costretto il sindaco Gualtieri a nominare Crowe ambasciatore di Roma nel mondo. Un incarico che l’attore ha festeggiato con quello che a oggi resta il suo contenuto più surreale: un video in cui sfreccia per Villa Borghese a bordo di un monopattino elettrico, si ferma una volta arrivato abbastanza vicino alla videocamera, dice «buongiorno buongiorno buongiorno» e inizia a spiegare cos’è Villa Borghese (prima informazione: l’ingresso è gratuito) con un accento, un piglio, una posa da guaglio’ italoamericano degli anni Cinquanta che contrasta in maniera straniante con la sua ormai completata trasformazione in Giuliano Ferrara. Hashtag: #AmbasciatorediRomanelMundo, forse per far sì che l’algoritmo lo spinga anche nei feed di lingua spagnola, ampli la sua copertura personale e quella turistica di Roma. Così fa un vero ambasciatore nel mundo.

Studiando i contenuti del neo-ambasciatore, mi sono reso conto che la nuova malattia sta producendo anche un’estetica nuova. Quantomeno, un’estetica nuova per le celebrity: niente orpelli produttivi né vanità narrative, ma foto e video da semplici turisti in vacanza in Italia come se davvero fossero dei semplici turisti in vacanza in Italia. Forse è l’ultima fase del processo di de-estetizzazione che sui social è cominciato con l’arrivo di TikTok e l’evoluzione della specie degli influencer in creator: la bruttezza come segno della sincerità. Di più: della verità. Forse è l’ultimo stadio della disintermediazione seguita alla caduta in disgrazia delle istituzioni mediatiche tradizionali: se davvero tra me e una celebrity non c’è nessun grado di separazione, se davvero Russell Crowe usa Twitter come lo uso io, perché stupirsi che il diario delle sue vacanze romane somigli così tanto al mio?

A scopi comparativi ho indagato due dei miei profili Instagram preferiti in tema di celebrity, vacanze e Italia: uno è ItalianVice e l’altro Celebs in Italy. Mi sono reso conto della diminuita presenza o rilevanza delle estetiche che in passato avevano dominato il racconto delle celebrità straniere in ferie da noi. Certo le paparazzate esistono ancora e conteranno sempre, ma quanto ci interessa davvero una foto di Justin e Hailey Bieber che prendono un gelato artigianale a Firenze circondati da gigantesche guardie del corpo in total black, quando possiamo vedere Robert De Niro che si taglia da solo la sua mozzarella da Mimì alla Ferrovia a Napoli? Quanto ci può attrarre oggi l’estetica yuppie, polo bianca, giacca scura, anello al dito e sigaro in bocca, con la quale Arnold Schwarzenegger si pavoneggiava per Roma nel 1988 in attesa di partecipare ai Telegatti, quando possiamo vedere Giancarlo Esposito che in T-shirt, pantaloncini, zainetto e cappello di paglia si fa una foto a caso, in un angolo a caso di Napoli, davanti a uno striscione in cui si ricorda che “essere napoletani è meraviglioso”?

Discutendo della questione in redazione, dicevamo che l’estetica del brutto ha sempre fatto parte dell’estetica vacanziera delle celebrity in Italia. Le testimonianze stanno appese sulle pareti di tutte le trattorie ristoranti pizzerie più attempate e vecchio stile, templi dedicati al culto pagano della celebrità le cui icone sono le foto incorniciate del cuoco con Ron Moss (c’è sempre una foto con Ron Moss, in questi posti) o del ristoratore con Brigitte Nielsen (stesso discorso di Moss). È vero, ma in parte: a quell’estetica le celebrity erano costrette, le loro migliori prestazioni nelle circostanze consistevano in un sorriso esagerato – quindi falso – o in un palese stizzimento. Su Celebs in Italy c’è una foto di Jennifer Lopez in una pizzeria di Capri che con raro ed evidente scoglionamento (ci immaginiamo quello di Ben Affleck, che dai tag si capisce fosse con lei, tenuto però opportunamente fuori campo) si presta a foto ricordo con pizza margherita e personale del locale. La rifacesse oggi, quella foto, probabilmente Lopez sarebbe lei ad andare a rompere i coglioni al personale per scattarne una in cui si veda bene il bordo brioscioso della pizza napoletana, così da poter spiegare ai follower come riconoscerla e distinguerla dalle imitazioni.

Ma la questione non è solo estetica. Come in tutte le cose di questa epoca, c’entra l’identità, reale o pretesa che sia. De Niro va a Napoli, mangia il puparuolo ‘mbuttunato da Mimì e la pizza da Concettina ai Tre Santi, bacia una statuetta di Maradona e accetta con entusiasmo un piccolo pulcinella del mastro presepaio Genny Di Virgilio, parla napoletano e annuncia che farà un film a Napoli perché song’ italian (poi torna nel suo yatch Benetti di 108 metri ormeggiato lì vicino, perché purtroppo tutte le vacanze prima o poi finiscono). Esposito racconta il San Carlo di Napoli come il luogo in cui è nato l’amore tra suo padre e sua madre, con caption melodrammatiche come «Tears in my eyes» e «This place is the home of my heart». Tom Morello dei Rage Against the Machine riceve la cittadinanza onoraria di Pratiglione, in provincia di Torino, paese natale del trisavolo, tra foto sfocate in cui espone magliette di squadre di calcio che non riesco a riconoscere, locandine che annunciano la sua venuta con lo stile con cui si annuncia l’imminente sagra estiva e sindaci in fascia tricolore che fanno le corna. Crowe è talmente desideroso di un attaccamento materiale all’Italia che dice che si sente italiano perché un membro della sua band ha comprato una villa a Tropea, dove lui tra l’altro nel 1992 era andato a girare un film con Jennifer Beals che poi però non si è fatto per loschi intrallazzi della produzione. Praticamente un local.

«Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità», si potrebbe dire, citando Whitman. Ma di che identità si tratta. Da questi contenuti prodotti dalla celebrity viene fuori il solito Paese cartolina, luogo esotico, palcoscenico folkloristico, neorealismo a colori che esiste davvero, però, soltanto nell’immaginazione, appunto, del turista americano, celebre e non. E non c’è niente di meno autentico, sincero, vero di questa identità, ma il turista che ne sa? Anche per colpa nostra, che ne sa: Magic Johnson – già estasiato dalla grandezza dei limoni di Positano, il cui profumo deve avergli fatto dimenticare lo spiacevole episodio dell’anno scorso, quando assieme a Samuel L. Jackson fu scambiato per un immigrato che gozzovigliava a Forte dei Marmi alla faccia del lavoratore italiano, questa sì esperienza dell’Italia vera – e Michael Jordan non possono sedersi al tavolo di un ristorante senza che arrivi un tizio in mandolino con la banda del paese appresso a costringerli a improvvisare “Nel blu, dipinto di blu” (al tavolo con loro c’era anche Samuel L. Jackson, che mi immagino abbia seguito la scena con fisso in volto il grugno del maggiore Marquis Warren di The Hateful Eight), una scena che ricorda quell’episodio dei Soprano in cui uncle Jun si mette a cantare “Core ‘ngrato”, però riscritta da Quentin Tarantino e rigirata da Robert Rodriguez.

«L’Italia è un dono degli dèi, da rispettare, da onorare» si potrebbe dire, citando Crowe (Russell). Però poi non stupiamoci se una studentessa americana viene a studiare un anno a Firenze e ci rimane male quando scopre che l’Italia non è quella che ha visto (anche) sui social delle celebrity. È colpa loro, certo. Ma pure nostra.

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