Attualità

Dichiarazione d’interdipendenza

Un romanzo di Saramago sulla penisola iberica costretta a "diventare isola" rivela perché l'Europa ha bisogno di più unione e dipendenza reciproca.

di Gianluigi Ricuperati

Nel 2000  – quindici anni fa, o forse prima – un gruppo di creature di buona volontà provò a tracciare una magna charta delle «radici culturali dell’Europa». Cristiane, greche, illuministe, marxiste, protestanti. Diverse stagioni dopo, alla vigilia del fatale referendum inglese – stagioni immerse nel denaro, «il primo orologio digitale della Storia», stagioni di abisso e realismo profondo – comprendiamo che le radici non hanno solo caratteristiche relative, ma anche assolute. Oggi, a un giorno di distanza dai risultati di una consultazione popolare che potrebbe allontanare la città più vibrante del mondo dal continente più ricco e pacifico del mondo, sappiamo che le radici sono quella cosa che si può tagliare. Le radici sono geologia, bulloni della terra: la geopolitica è una questione di terra e mare, come insegna Carl Schmitt, e per questa ragione credo sia giusto, per capire cosa sta succedendo all’Europa, guardare ciò che ha sempre tenuto insieme terra e mare: la letteratura.

cover (3)Nel 1986, trent’anni fa esatti, il grande scrittore portoghese Josè Saramago, poi insignito del Premio Nobel, pubblicò un romanzo che ci può aiutare a capire lo stato delle cose. S’intitola La zattera di pietra e appartiene grosso modo al genere fantastico, anche se poi gran parte della narrazione attinge a registri di sospeso realismo, con inserti saggistici e un tenue guinzaglio allegorico che è presente in molte altre opere dell’autore, ma qui è tenuto corto, fermo, stretto alla necessità. La zattera di pietra racconta di una lacerazione tellurica che colpisce il confine tra Francia e Spagna, consegnando la penisola iberica a un terrificante destino di deriva, distacco, fuga in balìa delle onde atlantiche. In pratica Portogallo e Spagna diventano un’immensa isola che vaga per l’Oceano, troncando di netto il legame fisico con gli altri Paesi, lambendo poi le coste dell’Africa, del Sudamerica, e il nulla permanente del grande vuoto marino. Non c’è niente di più trito che strumentalizzare un’opera letteraria per dimostrare una tesi, e difatti me ne terrò ben lontano, tanto più che rispetto alla Brexit non conosco nessuna persona di buona volontà – cioè non razzista, non regressiva, non intensamente egoista oltre ogni limite umano – che sia a favore della Brexit.

Il punto non è appoggiare o detestare una tesi. E neppure usare un capolavoro – perché è davvero uno dei migliori Saramago che possiate leggere – per corroborare la propria posizione. Ma noi non dobbiamo votare. Noi, da questa parte della Manica, e da questa parte delle Alpi specialmente, dovremmo pensare. E istruirci senza fine alla pratica di libertà suprema che conosco, ovvero identificare il valore positivo più importante che razionalmente riusciamo a cogliere, e muoverci verso di esso nel modo più ampio e circostanziato possibile. Perché non è razionale distruggere il sogno europeo, l’ambizione di una federazione di piccoli Stati molto avanzati in un grande mondo fatto di superpotenze militari e industriali? Perché l’Europa deve e può essere la lavagna in cui si dimostrerà con efficacia la validità di un teorema politico: l’interdipendenza. Non la dichiarazione d’indipendenza, che appartiene a un’altra fase storica: ma, come scrive l’architetto olandese Rem Koolhaas, la dichiarazione d’interdipendenza. Siamo legati finanziariamente, simbolicamente, burocraticamente, spazialmente, commercialmente, linguisticamente. Dobbiamo essere ancora più interdipendenti: nessuna sacca di esclusione dovrà far felice alcuna sacca di salvezza.

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Il romanzo di Saramago è a tutti gli effetti una brutale e bellissima profezia sul destino di disgregazione di un progetto appena accennato, ma assai desiderato: per rendersi conto di quanto ancora ci stia parlando, basta leggere questo paragrafo:

È tempo di spiegare che quanto qui si racconta o si racconterà è la pura verità e può essere verificato su qualsiasi carta geografica, purché abbastanza minuziosa da contenere informazioni apparentemente tanto insignificanti, dato che la virtù delle mappe è proprio questa, di mostrare la riduttibile disponibilità dello spazio, di pronosticare che tutto vi può succedere. E vi succede.

Il romanzo, naturalmente, essendo un grande romanzo, non dipinge uno scenario favorevole e uno sfavorevole rispetto al distacco del subcontinente iberico dalla «madre amorosa»: alla defezione geologica dell’Hispania seguono turbolenze diplomatiche e mediatiche, dopodiché il focus passa dall’idea (è uno di quei libri basati su un’idea, come le opere concettuali-narrative: un filone molto fecondo, a mio parere, ma questa è un’altra storia) ai personaggi, uomini e donne segnati da un insolito destino di naufragio in scala magnum.

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Non è questo il luogo per disaminare la complessa struttura del tema del “diventare isola” presenti nel testo: il mio, a poche ore da una data storica, è un invito alla lettura-sottolineante, una lettura con lapis (una parola latina che condivide il proprio corredo genetico-verbale con la parola “limes”, e va segnalato che il primissimo “segno” dell’incombente strappo: nel romanzo di Saramago è proprio un bastone di legno d’olmo che un contadino disegna sulla pelle della terra, come a tracciare un confine con una rudimentale penna-albero). Vorrei invitare tutti a leggere matita in mano il romanzo: cittadini, amministratori, lettori impegnati o individui preoccupati dal destino della sola area geo-temporale in cui homo homini lupus sia stato messo alla porta per decenni in modo risoluto e continuativo (gli ultimi settant’anni, grosso modo). Leggetelo, annotatelo: quasi sempre, nella tessitura della trama, troverete formule capaci di illuminare la tenebra del meridiano di Greenwich in cui siamo accampati:

Madre amorosa, l’Europa fu addolorata per la sorte delle sue terre estreme, a occidente. Lungo tutta la cordigliera pirenaica i graniti scoppiavano, le fenditure si moltiplicavano, altre strade apparvero tagliate, altri fiumi, altri ruscelli e torrenti sprofondarono nell’invisibile. Sulle cime coperte di neve, viste dall’alto, si apriva una linea nera e rapida come una miccia di polvere, entro cui la neve scivolava e poi scompariva, con un rumore bianco di piccola valanga.

L’Europa è già sul punto di diventare una enorme zattera di pietra, sconvolta da correnti di incalcolabile potenziale destabilizzante. I cittadini britannici, cullati nel dondolio regressivo dello Splendido Isolamento, hanno la chance di trasformare una presa di coscienza in una crocetta (la democrazia è una questione di croci). Ma siamo noi, tutti, dichiarandoci interdipendenti, a forgiare le radici che trasformano una zattera in un pianeta.