Cultura | Editoria

Andy Hunter, l’uomo che vuole salvare l’editoria contro Amazon

Intervista al fondatore di bookshop.org (oltre che di LitHub e di ElectricLit), un sito nato per proteggere i librai e intaccare lo strapotere di Bezos.

di Leonardo G. Luccone

Andy Hunter

Andy Hunter è un capitano coraggioso che si è messo in testa di arginare Amazon. Nel 2009 ha lanciato Electric Literature dimostrando che si può leggere fiction e saggistica sul cellulare; in poco tempo è diventato editore con tre marchi di ricerca (Catapult, Counterpoint e Soft Skull), e più recentemente ha fondato LitHub, un portale che seleziona i migliori pezzi e le migliori idee del mondo letterario e che in breve tempo è diventata la risorsa più consultata al mondo. Ma la fissazione di Andy è la creazione di comunità di lettori che si sviluppino in orizzontale a livello locale e in verticale attraverso i media; è convinto che il motore dell’editoria libraria siano i librai indipendenti, che in pochi anni ha conquistato il 50 per cento del mercato librario e ha cambiato il nostro modo di fare acquisti. A marzo del 2020, quando la pandemia era ormai acclarata e Amazon si preparava alla Grande Libagione, bookshop.org muoveva i primi passi. Il Covid-19 – almeno questo – ha messo in evidenzia che l’alleanza dei piccoli può muovere una ribellione audace, ed ecco bookshop.org raddoppiare di settimana in settimana il proprio fatturato e dimostrarsi la soluzione ideale per chi vuole acquistare libri in modo responsabile e distribuire i benefici lungo tutta la catena.

I numeri sono impressionanti: in pochi mesi bookshop.org ha conquistato il 5 per cento del mercato americano, è sbarcato nel Regno Unito, e arriverà presto in Spagna e Portogallo; mentre scrivo queste note bookshop.org ha messo da parte oltre 11,5 milioni di dollari e quasi novecentomila sterline per le librerie indipendenti. È un successo imponderabile e travolgente, e dà speranza: lo status quo può essere sovvertito. Il meccanismo è semplicissimo: se una libreria si affilia a bookshop.org – ed è gratuito – può creare sul loro portale una pagina in cui esporre i propri libri disponendoli come vuole, costruendo liste per argomento, per autore; il libraio può arricchire ogni volume con i suoi consigli di lettura. I lettori possono acquistare su quella determinata pagina oppure sulla home di bookshop.org. Nel primo caso il libraio guadagna il 30 per cento del prezzo di copertina e nulla va a bookshop.org; nel secondo caso è bookshop.org a guadagnare, ma per ogni vendita viene accantonato il 10 per cento che va ad alimentare un fondo redistribuito ogni sei mesi a tutte le librerie che aderiscono. La cosa bella è che il libraio indipendente non deve fare assolutamente niente, non c’è nemmeno bisogno che abbia il libro. La logistica è affidata a Ingram (in Uk a Gardners), un colosso con un inventario enorme e capace di consegnare i libri in tre giorni. Nessun altro costo grava sulle librerie. È vero che se una libreria indipendente facesse tutto da sé potrebbe ricavare quasi il 50 per cento, ma ci sarebbero i costi della spedizione, il magazzino, la gestione del sito, il tempo e il personale dedicato. È per questo che solo un’esigua parte delle librerie ha un e-commerce efficiente. È grazie a bookshop.org che molte delle librerie chiuse per la pandemia sono sopravvissute – altrimenti sarebbe stata un’ecatombe. Di tutto questo ho parlato via Zoom con Andy Hunter, che dalla sua casa di New York si mostra il tipo schivo e concreto che immaginavo. Qualcuno l’ha definito «un salvatore», una specie di Capitan Harlock dell’editoria, io preferisco pensarlo come un editore indipendente pazzo per il suo lavoro.

Come sei arrivato ad amare così tanto i libri?
Non so dire se da bambino mi piacesse leggere, ma di certo i libri mi hanno reso quello che sono. Ho avuto un’infanzia difficile: sono cresciuto con una madre single con problemi mentali; leggevo per vincere il senso di solitudine. Ho capito subito che i libri espandono il tuo orizzonte, ti mettono in connessione con gli altri, ti spingono a conoscere il mondo e a sperimentare contesti che non avresti mai modo di vivere. Uniscono le persone! Non c’è nient’altro così.

Quando hai iniziato a lavorare con i libri?
A ventitré anni, quando ho fondato una rivista, anche se c’è da dire che fino a trent’anni la mia occupazione principale era un’altra – lavoravo con i computer – ma intanto scrivevo sulla mia rivista. Dopo tanto tempo posso dire che le mie competenze tecnologiche si sono rivelate essenziali per tutto quello che ho fatto con i libri (specialmente l’architettura informatica dei siti e come le persone interagiscono con questi mezzi).

Ho letto da qualche parte che una vacanza in Maine con la tua famiglia è stata fondamentale per l’Andy lettore…
Sì! Nell’estate dei miei sedici anni abbiamo affittato una casetta di legno piena di libri anarchici e radicali (ricordo una biografia di Malcom X, parecchi libri femministi e cose tipo Il lupo nella steppa di Hesse). È stato il mio primo incontro con la letteratura europea. A quel tempo leggevo soprattutto fantascienza; avevo letto qualche romanzo letterario ma non ero entrato davvero in contatto con un certo tipo di idee. Quando stai chiuso per due settimane a divorare libri qualcosa dentro di te si trasforma.

Quando hai ideato bookshop.org quale era la parte di te più coinvolta: l’editore o il cittadino preoccupato per la crescita Amazon?
Penso l’editore. Essere editore mi ha reso consapevole dell’interconnessione del sistema culturale e della necessità di rendere l’editoria un posto sano. Ho capito l’importanza delle piccole librerie; da editore mi sono reso conto che se pubblichi un autore sconosciuto che ha scritto un bel libro l’unica cosa certa è che Amazon non farà nulla perché hanno milioni di libri e si concentrano sui blockbuster. Sono macchine da best seller e non fanno che propinarti best seller. Le piccole librerie, invece, danno una possibilità ai libri che meritano perché sono portate avanti da persone che amano leggere, scoprire nuovi scrittori e condividerli con i loro clienti. A mano a mano che passano gli anni Amazon paga sempre meno gli editori e si fa più aggressiva sfruttando le leggi del mercato; e poi Amazon non è esattamente un buon cittadino. Non paga le tasse, non paga come si deve i lavoratori, e non si può dire che li tratti bene. Di contro, le librerie sono una parte vitale della comunità, sono il posto perfetto per far circolare le idee, una roccaforte per i giovani. Da quando ho iniziato bookshop.org, nel 2019, Amazon è passata dal 37,5 per cento di tutti i libri venduti in America al 50 per cento ed è probabile che ora sia ancora più in alto.

Perché pensi che Amazon abbia sostanzialmente fallito quando ha provato a fare l’editore o a diventare una vera libreria?
Non c’è umanità nelle loro librerie. Anzi, non hai proprio la sensazione di trovarti in una libreria: è tutto così automatico, non senti l’amore per i libri. È solo commercio. Credo che sia parte di un disegno più grande: hanno aperto le librerie perché vogliono imparare i trucchi del mestiere. Come editori hanno fallito perché anziché cercare nuovi autori si sono messi a pubblicare gli stessi che pubblicano gli editori mainstream e le librerie indipendenti non ne hanno voluto sapere dei loro libri. È normale. Poi si sono messi a cercare gli autori di successo. È ovvio che questa politica dia dei risultati, ma annulla il ruolo dell’editore e dei librai.

Che ne pensi del self-publishing: è una manifestazione di libertà o solo un modo per immettere robaccia sul mercato?
C’è di tutto. Molte cose sono buone, specie nel settore delle arti visive. Nessuno è bravo all’inizio; gli esordienti hanno bisogno di mettersi alla prova per arrivare a qualcosa di buono. Non c’è niente di male a pubblicarsi da soli quando si vuole cercare lettori. Il 90 per cento dei libri in self-publishing non sono buoni perché questi autori non hanno avuto un editor, ma è sbagliato pensare che sia tutto da buttare.

Non ti spaventa l’abbondanza di contenuti, ora che tutti possono pubblicarsi da soli? Anche Google fatica a trovare i contenuti più particolari e i meccanismi della pubblicità falsificano tutto.
Non so dirti se la percentuale di cose che vale la pena leggere stia diminuendo o è rimasta più o meno la stessa; sì, è vero, con il fatto che ognuno è in grado di pubblicare è sempre più difficile leggere qualcosa di buono. Hai ragione: essere trovati dai motori di ricerca si fa sempre più arduo, proprio per questo diventa importante il parere libero di persone libere. Su bookshop.org non abbiamo bisogno di pagare qualcuno che suggerisca i libri; sono gli stessi librai a farlo: chi è più competente e attendibile di loro? Non credo che Google sarà mai in grado di capire se qualcosa è di qualità o meno, probabilmente non gli interessa neppure. Google si basa su parametri deterministici come il numero di persone che ha linkato o guardato un certo contenuto – un po’ povera come misura della qualità, no? In America certe idee folli come le teorie della cospirazione e simili montano facilmente su internet. Non è normale che chiunque possa mettere in circolazione bugie fortemente divisive, specialmente perché si diffondono in modo impetuoso presso certi strati sociali, e sappiamo bene a cosa possono portare.  LitHub è nato proprio per evitare la dispersione dei contenuti di qualità.

La cosa che fa più paura è che abbiamo cominciato a dare tutto per scontato, come se internet sia il paese della cuccagna. È troppo facile accedere a tutto, spesso in maniera legale, altre volte in modo illegale. Non hai paura di ritrovarti a inseguire il modello di Amazon? Una delle cose che la gente ama di più di Amazon (anche gli affezionati alle librerie indipendenti) è che puoi fare acquisti in qualsiasi momento e ti vengono portati a casa in un giorno o poco più. Non hai paura che bookshop.org diventi così?
Il mondo sta cambiando. La gente passa ormai molte al giorno sui dispositivi portatili; si può dire che viviamo con il telefono, ormai non si può tornare indietro. Internet sta cambiando tutto. Se lo si ignora, se si fa finta di niente, si lascia campo libero a Amazon. Non dialogare con questi consumatori è un errore, come lo è fossilizzarsi sul vendere i libri solo in libreria. Mi ritorna in mente quando ho creato Electric Literature, nel 2009: l’industria del publishing aveva paura di internet; e aveva paura perché avevano visto ciò che era successo nell’industria musicale; avevano paura che gli e-book facessero lo stesso; erano preoccupati per il fiorire dei social media, perché la gente passava sempre più tempo su queste piattaforme. La reazione dell’industria editoriale fu urlare che i social erano il male. Noi di Electric Literature ci siamo detti: prendiamo Facebook, Twitter e YouTube e usiamoli per parlare di buone letture, per coinvolgere i lettori in discussioni appassionanti. Pensa a chi legge in metropolitana; secoli fa le persone leggevano i libri, ma già in quegli anni stavano tutti incollati ai telefoni a guardare video o a leggere notizie o a chattare. Noi abbiamo provato a dargli qualcosa di buono. È un errore demonizzare e basta; dovevamo fare in modo che la cultura che amavamo fosse disponibile sui device e che i benefici del leggere buona letteratura fossero lì alla portata di tutti. Allo stesso tempo va constatato che nell’ultimo decennio le vendite nelle librerie sono passate da 18 miliardi di dollari a 10 miliardi di dollari all’anno; dove sono andati a finire quegli 8 miliardi? Sono diventati acquisti online, punto. La cosa buffa è che ora tutti usano i social media per promuovere i libri. Che ci piaccia o no le librerie devono confrontarsi con lo shopping online altrimenti Amazon si prenderà tutto il piatto e – visti i bassi margini del mercato – sarà sempre più difficile tirare avanti. L’e-commerce cresce ogni anno del 10 per cento, rubando margini alla vendita al dettaglio, se le librerie vogliono sopravvivere devono dotarsi di un efficace canale di vendita online. Non voglio dire che debbano snaturarsi: ci sono persone come me che comprano soprattutto nei negozi fisici, ma io ho creato bookshop.org proprio per permettere alle librerie indipendenti di avere un canale in più. È ovvio che i benefici del negozio fisico non sono replicabili online, per fortuna. Ogni negozio ha la sua atmosfera, puoi prendere a caso i libri dagli scaffali, chiedere consigli al libraio, è una gioia suprema irriproducibile online. Ma proprio per preservare questi posti, per assicurarci che ci saranno ancora tra dieci anni – voglio che i miei figli crescano in un mondo pieno di librerie – i librai hanno bisogno di raggiungere i lettori dovunque si trovino. Non devono contrapporsi al futuro ma affrontarlo. Ed è proprio questo che sta cercando di fare bookshop.org: dare la possibilità al milione e duecentomila amanti delle librerie di aiutare i loro pusher di libri di fiducia comprando anche online. Ci tengo a dire che diamo la possibilità a chiunque (lettori, influencer, autori) di creare e organizzare gratuitamente un proprio scaffale su bookshop.org e di guadagnare il 10% da ogni acquisto, e anche in questo caso un altro 10% va al fondo per le indipendenti. Tornando alla tua provocazione, non credo che faremo la fine di Amazon per un bel po’ di motivi: noi siamo una organizzazione no profit con una missione precisa: portare benefici concreti alla comunità. Ci siamo dotati di un board di sette direttori che votano tutte le decisioni importanti, e tre sono librai indipendenti. Non abbiamo mai avuto votazioni all’unanimità. I librai indipendenti sono la nostra garanzia; in aggiunta abbiamo il placet della American Booksellers Association (ABA). Nel nostro statuto c’è un articolo che sancisce che non venderemo mai a Amazon né a un’altra multinazionale. Ora stiamo usando Ingram come venditore all’ingrosso ma nel futuro speriamo di servirci di piccoli distributori locali e di lavorare direttamente con gli editori.

Come hai reagito alle critiche di James Daunt (su il manifesto del 29 gennaio 2021 si legge: «Bookshop.org è peggio di Amazon: è un espediente di marketing per far sentire al cliente della libreria indipendente che sta sostenendo una libreria indipendente, con il risultato di rubare il cliente alla libreria indipendente. […] bookshop.org dà ai librai una percentuale molto esigua»)? Perché pensi che un uomo in gamba come lui, un amante dei libri, abbia fatto tali affermazioni?
È una vergogna. Uno degli articoli è uscito proprio quando stavamo lanciando la piattaforma nel Regno Unito: era molto critico. Subito dopo, l’associazione dei librai del Regno Unito ha fatto un sondaggio tra i membri e hanno risposto in 148; 141 hanno espresso un’opinione positiva su bookshop.org, 7 negativa. L’articolo invece dava l’idea che fossero tutti scontenti. Voglio che quei 7 capiscano cosa stiamo facendo. Non voglio convincerli a cambiare il giudizio, ma mostrargli come lavoriamo. È chiaro che Daunt è intimorito dalla nostra iniziativa. Sono un ammiratore di Daunt e di ciò che ha fatto salvando Waterstones; penso che tutta l’editoria ne abbia tratto beneficio. Gli auguro di avere lo stesso successo con Barnes & Noble.

Lui stesso è proprietario di librerie indipendenti…
Già. Credo sia solo preoccupato che possiamo sottrargli vendite, ma non è questo il nostro obiettivo. Noi vogliamo rubare clienti a Amazon, non certo a Barnes & Noble. È Amazon a controllare il mercato. Abbiamo sempre dichiarato che avremmo supportato Barnes & Noble. È grave che James Daunt non riconosca che di fatto siamo alleati. Credo sia importante smetterla di accapigliarci per una fettina di torta; sono pochissimi per ora i lettori che evitano Amazon e comprano da altre fonti quando acquistano online (e per ognuno di questi clienti ce ne sono centinaia che comprano su Amazon). Non dobbiamo contenderci quel cliente ma concentrarci sugli altri. Dobbiamo aiutare le librerie indipendenti, dobbiamo fare in modo che si compri dalle librerie locali, e va benissimo che la libreria si chiami Barnes & Noble. Se ci si muove tutti insieme il messaggio è più forte e tutti ne avremo un beneficio. Spero che James Daunt cambi idea.

Allo stato attuale Amazon garantisce consegne velocissime, in alcuni casi uno o due giorni, mentre bookshop.org in media ha bisogno di tre giorni. Pensi che in futuro ci possa essere un cambio di mentalità che ci renda tutti meno smaniosi di avere tutto e subito e che ci restituisca il valore dell’attesa – penso all’uscita dei magazine negli anni Ottanta, o ai dischi?
Penso che tre giorni siano un tempo d’attesa ragionevole. Quando raccoglievo i fondi per dare vita a bookshop.org mi sono confrontato con tanti investitori e la maggior parte di loro ha detto no perché Amazon ci avrebbe sempre battuto sul prezzo e sulla velocità di consegna.

Pensate di aprire anche in Italia?
Abbiamo avuto vari contatti. Ci sono due gruppi che ci vorrebbero in Italia. Per ora non c’è niente di definitivo, ma vedremo.

Qual è il prossimo passo?
Voglio concentrarmi sugli aspetti social e di condivisione; voglio creare luoghi virtuali dove le persone possano parlare di libri, pubblicare recensioni, dove la lettura sia valorizzata, dove si possa entrare in contatto con gli autori, dove ognuno possa organizzare un proprio scaffale e confrontarsi con altri lettori. Non so come vada in Italia, ma negli Stati Uniti Goodreads ha iniziato bene, poi ha smesso di crescere e alla fine è stata comprata da Amazon. Penso che questo tipo di comunità debbano essere gestite dalle stesse comunità. Voglio creare un grande network che colleghi soggetti diversi – le piccole librerie locali, i bookclub, i singoli lettori – e voglio che non abbia confini. Voglio un posto al riparo da Amazon e Facebook, dove non si faccia altro che parlare di libri, ridandogli dignità e facendo in modo che tornino a essere una parte rilevante della nostra cultura. Non dimentichiamolo: la cultura sta andando online, e sarà online che le persone si imbatteranno in certi contenuti, sarà online che si faranno le discussioni. Vogliamo essere certi che i libri siano una parte vitale di questi scambi; se facciamo i superiori sarà la fine.