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22:02 mercoledì 19 novembre 2025
Il guasto di Cloudflare è stato così grave che ha causato anche il guasto di Downdetector, il sito che si occupa di monitorare i guasti su internet Oltre a X, ChatGPT, Spotify e tanti altri, nel down di Cloudflare è andato di mezzo anche il sito a cui si accede quando tutti gli altri sono inaccessibili.
Il nuovo film di Sydney Sweeney sta andando così male che il distributore si rifiuta di rivelarne gli incassi Christy sembra destinato a diventare il peggior flop dell'anno, il quarto consecutivo nel 2025 dell'attrice.
Diversi grandi hotel sono stati accusati di fare offerte ingannevoli e fuorvianti su Booking L’authority inglese che si occupa di pubblicità ha scoperto che quelle convenientissime offerte non sono mai davvero così convenienti.
Gli scienziati hanno scoperto che il primo bacio sulla bocca è stato dato 21 milioni di anni fa E quindi non se l'è inventato l'homo sapiens ma un ominide, un antenato comune di uomini, scimpanzé, gorilla e orango, animali che infatti si baciano.
Non si capisce bene perché ma Nicki Minaj è andata alle Nazioni Unite a parlare dei cristiani perseguitati in Nigeria Sembra che a volerla lì sia stato Trump in persona, dopo che in più occasioni Minaj gli ha espresso pubblico supporto sui social.
La nuova tendenza nell’industria del beauty è vendere prodotti di bellezza anche a bambine di 3 anni Da anni si parla di Sephora Kids, ma adesso ci sono storie che riguardano bambine addirittura più piccole.
Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.

L’inizio di un mondo nuovo alla Biennale d’architettura

Crisi climatica, razzismo, inclusività e guerra: l'edizione di quest'anno si propone come un "laboratorio per il futuro" in cui discutere i temi inevitabili del dibattito contemporaneo.

22 Maggio 2023

In questi giorni, a Venezia, sono rimasti solo gli addetti alla sicurezza a segnare il confine tra la realtà progettata e la realtà reale, tra le esposizioni e il mondo che sta fuori dai padiglioni della diciottesima Biennale di Architettura appena inaugurata (e aperta al pubblico fino al 26 novembre 2023). Tutto il resto sono cumuli di sabbia, polvere e altri materiali distribuiti con criterio tra gli spazi espositivi delle diverse nazioni, cumuli di sabbia e polvere più spontanei, grazie al vento e alla pioggia, sui piazzali dell’Arsenale. E allora, è da qui che ricostruiremo tutto? Viene da chiedersi, e con tutto intendiamo il pianeta, le relazioni sociali, gli equilibri. Gli schermi installati nella maggior parte dei padiglioni sparano dati, certificano con i numeri tutto il disastro che abbiamo combinato fino ad oggi, il drammatico stato delle cose, sotto di loro ci sono polvere e detriti, scenari ballardiani. Ecco il “Laboratory of the Future”, questo il titolo della Biennale curata da Lesly Lokko, con tutta la sua serie infinita di domande, come quelle esposte al Padiglione di Singapore: «Quando abbastanza è abbastanza?», «Come possiamo rendere la parola inclusione obsoleta?». Anche le domande si accumulano.

Siamo in pieno brainstorming, il Laboratorio del Futuro non può fornire risposte, per lo meno non può farlo oggi, e per questo suonano sterili le critiche che rimbalzano sotto #biennalevenezia sul fatto che all’ennesimo progetto sulla sostenibilità ci scappa lo sbadiglio. Qualcuno, oggi, potrebbe davvero parlare d’altro? Una generazione cresciuta in “permacrisi”, come scrivono i Fosbury Architecture, collettivo di architetti sotto i quarant’anni curatori del Padiglione Italia, davvero potrebbe non parlare di aree urbane da riconvertire, di emissioni di CO2, di progetti che nascono sul territorio anziché essere calati dall’alto? La cura del Padiglione Italia, appunto, è stata affidata a un collettivo di architetti multi-disciplinari, l’esatto opposto della firma, dell’archistar con il curriculum pieno di insostenibili edifici in vetro, e i nove progetti che questo gruppo ha scelto per Venezia riguardano altrettanti spazi pubblici da “allargare”, da curare e ripristinare.

«E se ascoltassimo e comprendessimo le storie di edifici abbandonati, invece di concentrarci su esempi più eroici e di successo?» ancora domande, questa volta dal Padiglione della Turchia, curato da Sevince Bayrak e Oral Göktaş, dove è stata applicata all’architettura la Teoria del Sacchetto, la Carrier Bag Theory, anziché crescere, sviluppare e investire (lo dicono gli architetti, sono tutta finanza questi quartieri di vetro e acciaio) in modo lineare, possiamo tornare su ciò che è stato costruito, all’eterogeneità degli edifici in stato di abbandono, aprire questi “sacchetti” di storie e lasciarsi sorprendere.

Al di là delle singole proposte nazionali, è l’Africa il continente protagonista di questa Biennale. Lesley Lokko, curatrice multidisciplinare, architetta e romanziera, ghanese nata in Scozia, che già durante la preview ha assaggiato il clima: tre collaboratori bloccati in Ghana, visto negato, polemica aperta con governo e ambasciata italiana. Lokko ha voluto portare a Venezia la diaspora africana, le persone e le proposte che nascono dal continente più giovane del mondo (l’età media in Africa è la metà di quella europea) e che possono affrontare le sfide globali. Idea come sempre sottoscritta da Francis Kéré – Premio Pritzker nel 2022 e già protagonista della Triennale di Milano lo scorso anno – che ha portato a Venezia i materiali locali e l’entropia del Burkina Faso, suo Paese d’origine, come fossero una possibilità per questo laboratorio per il futuro.

Chi costruirà, o ricostruirà, da oggi dovrà sapere che nulla è stabile, che le situazioni ambientali che incontrerà non hanno standard e cambieranno rapidamente, un approccio che sembra mettere la parola fine sui modelli internazionali replicabili ovunque. Sarà una noia tornare ancora sul clima, ma è inevitabile, d’altra parte era un problema sollevato già nel 1954 dagli studenti di architettura nigeriani a Londra, quando si lamentavano del fatto che la preparazione universitaria fornita in Inghilterra fosse inadeguata per l’Africa. La Biennale, infatti, dedica uno spazio all’esperienza in Ghana del “Department of Tropical Architecture”, con la storia della nascita di questo gruppo di lavoro modernista-tropicale e della sua caduta in seguito a crisi economiche e politiche dello stato africano. Chi, ancora dopo quattrocento giorni di bombe, crede sorprendentemente nel futuro è l’Ucraina, e lo fa attraverso le storie condivise durante l’emergenza: il padiglione “Before the Future” è uno spazio nero, come quei rifugi antiaerei dove in questi mesi la popolazione si è ritrovata e ha condiviso storie e dove, nella polvere, qualcuno ha discusso di come ricostruire il futuro.

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