Cultura | Architettura

L’uomo che costruì la Costa Azzurra

Storia di Barry Dierks, l'architetto americano che ha dato alla riviera francese l'aspetto che l'ha fatta entrare nel mito.

di Enrico Ratto

Villa Le Trident

C’è un metodo infallibile per capire la Costa Azzurra: in piena estate, su un aereo in atterraggio all’aeroporto di Nizza, cento turisti nord-europei – inglesi, irlandesi, svedesi – si sporgono verso i finestrini per guardare in estasi quell’immenso parco giochi che si estende per duecento chilometri sotto di loro. Era questa «la bella costa della riviera francese, a mezza strada tra Marsiglia e il confine italiano» raccontata da Francis Scott Fitzgerald in Tenera è la notte nel 1933, ed è esattamente così oggi, cento anni dopo. Sono molti gli architetti che hanno contribuito a definire questo – più che paesaggio – ambiente, forse stato d’animo. Ma nessuno di loro è nato o è cresciuto qui, la maggior parte ci è arrivata secondo il vecchio, infallibile approccio, del seguire i soldi. Barry Dierks è uno di loro: americano, architetto, formazione artistica a Parigi, tra il 1930 ed il 1960 costruisce più di settanta ville nel sud della Francia. Come ci è riuscito? Grazie al più ovvio dei biglietti da visita per un architetto: casa sua.

Nel 1925 lascia gli Stati Uniti e scopre il Massiccio dell’Estérel, un tratto di scogliere rosse a pochi chilometri da Cannes, lo stesso posto dove negli anni ‘70 sarebbe arrivato anche Pierre Cardin con il suo Palais Bulles. Acquista una penisola privata, un terreno di 6000 metri quadrati inaccessibili, incastonati tra la ferrovia e il Mar Mediterraneo e, insieme al compagno, il colonnello Eric Sawyer, costruiscono Le Trident. Addio guglie, decorazioni e annessi rinascimentali, sono arrivati i parallelepipedi in cemento armato, colore bianco, stile moderno, nessun fronzolo. Le Trident diventa subito centro di feste ad inviti mirati, ed entrerà a far parte delle operazioni pianificate per trasferire una buona parte dell’America che conta e che spende nel Sud della Francia (la madre di queste operazioni sarà poi il matrimonio tra il Principe Ranieri e Grace Kelly, ma la cronaca rosa è sempre intrecciata con la storia dell’architettura, d’altra parte per chi vengono costruite le case?).

Chateau de L’Horizon

Dopo l’investimento iniziale, il volano si attiva e per Barry Dierks arrivano le prime commesse: Willie Somerset Maugham deve rinnovare la sua Villa La Maresque a Cap Ferrat e incarica Barry Dierks. Lo scrittore inglese è stanco di decorazioni fine a se stesse, di giardini mediterranei popolati da piante che con il Mediterraneo nulla hanno a che vedere, alberi tropicali importati da armatori ed esploratori. La Maresque diventa a sua volta centro di serate con inviti selezionati. Non sono case, sono biglietti da visita. Così, quando l’attrice americana Maxine Elliot, nel 1932, individua un posto inaccessibile tra la ferrovia e il mare – il fatto che ci sia sempre una ferrovia da attraversare per accedere a casa è una costante lungo la Costa Azzurra – a Golfe Juan, ingaggia Barry Dierks per costruire lo Chateau de l’Horizon. Alla vicenda dello Chateau de l’Horizon è dedicato il libro Côte d’Azur – Gli anni d’oro della Riviera Francese di Mary S. Lovell (Neri Pozza), cronache leggere, un po’ come lo stato d’animo del luogo. Una dei passaggi riguarda – ancora – quei binari del treno che segnano la linea di confine tra il mondo e il mar Mediterraneo. Pare che ancora oggi, in tutto il golfo, l’unico cavalcavia carrabile che attraversa la ferrovia per accedere ad una casa privata sia quello dello Chateau de l’Horizon e in molti già all’epoca (anni ’30) si chiedevano come architetto e committente avessero ottenuto il permesso per costruirlo. Ma oltre al cavalcavia, c’è l’enorme scivolo in cemento armato che dal giardino entra direttamente in mare, icona di tutto l’edificio, e anche questa volta in molti si domandano come sia potuto succedere. Insomma, sono anni in cui gli insediamenti procedono e, grazie alla capacità del progettista e alla potenza di fuoco della moneta americana, superano ogni tipo di ostacolo, fino a fare della Costa Azzurra, oggi, l’area a più alta densità di edifici Art Deco dopo Miami Beach. 

«Vous êtes tous une génération perdue» aveva detto il meccanico di Gertrude Stein, etichetta che Stein ha immediatamente girato a Hemingway e al suo gruppo di reduci belli, dannati e in perenne attesa che qualcosa accadesse. Sono loro che, tra le due guerre, in questa continua altalena tra buon vivere e debiti, ma sempre in piedi grazie alla capacità di tessere relazioni, si consolano popolando gli edifici in cemento bianco commissionati a Barry Dierks nel sud della Francia. Fu Somerset Maugham a definire quel tratto di costa «un posto soleggiato per gente losca». Forse non tutti loschi, ma senz’altro pieni di contraddizioni. Scappavano dalla crisi americana, o da un nord-Europa stagnante, come Winston Churchill, che abitò a lungo nelle case di Dierks per superare la crisi politica ed economica personale (aveva perso molto durante la crisi del ’29). Ma anche Picasso, che costruendo La Californie contribuisce al rilancio di Cannes, quell’area che diventerà poi la Super Cannes ipertecnologica, e forse piuttosto losca, raccontata negli anni ’90 da Ballard. 

Le costruzioni bianche di Barry Dierks sono ancora lì, insediamenti tra le rocce, hanno un secolo di vita ed oggi se ne parla più che altro nelle pagine degli annunci del Financial Times, al centro di transazioni firmate da russi e qatarioti. Macinano record a sei zeri, tengono in vita agenzie immobiliari e arredatori di interni, spesso vengono stravolte con arredamenti che nulla hanno a che fare con le rigorose intenzioni di chi le ha progettate. I nuovi proprietari sono tornati a prediligere guglie, bronzi e giardini tropicali, rispetto alle pareti bianche in cemento armato. Ma questi dettagli, dall’aereo low cost che sorvola la costa, forse non si vedono.