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19:05 sabato 15 novembre 2025
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Arte o intrattenimento?

Il confronto tra Downton Abbey e Ritorno a Brideshead riapre l'antico dibattito, rilanciato dalle serie tv. Ma abbiamo ancora bisogno di gerarchie?

18 Marzo 2013

 
(L’articolo che segue è tratto dal nuovo numero di Studio, in edicola da oggi)

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Tutto torna. Anche i dibattiti. Magari risultano po’ eccentrici, rispetto al terreno in cui erano nati, comunque si riconoscono all’istante. «Arte o intrattenimento?» si chiedeva Ben W. Heinemann su The Atlantic qualche tempo fa, a proposito della serie Downton Abbey di Julian Fellowes. Show di culto per i britannici e pure per gli americani, che in tutta evidenza subiscono ancora il fascino dell’aristocrazia.

L’articolista ha un passato da funzionario governativo, da professore di diritto, da specialista di etica degli affari. Gli si potrebbe perdonare lo sconfinamento, dandogli tutte le attenuanti del caso. Ma nello stesso tempo era uscito in Francia un saggio di Charles Dantzig, scrittore e editore, sullo statuto dei capolavori letterari. Intitolato A propos de chef d’oeuvres e uscito da Grasset, dopo le consuete frecciate contro i contemporanei stila le sue condizioni e la sua lista di preferiti. Buttando giù dal podio dei magnifici il Don Chisciotte di Cervantes, che secondo Dantzig nessuno legge.

I settori sono diversi, il ragionamento unico. Ci sono cose che vanno considerate arte – o capolavori – e cose che invece vanno considerate divertimento. Heinemann si rifà a Graham Greene, che divideva i suoi romanzi tra le due categorie: una mania da scrittore che non siamo obbligati a rispettare, ampiamente superata dai decenni trascorsi. Tutto Greene, come tutto Simenon, era ai tempi della pubblicazione considerato letteratura da treno, buona per intrattenere ma non per entrare nel catalogo Adelphi (che nel frattempo ha accolto anche Ian Fleming e il suo James Bond).
La novità sta nel restringere il discorso alla televisione, paragonando l’intrattenimento di Downton Abbey all’arte di Ritorno a Brideshead: 11 puntate tratte dal romanzo di Evelyn Waugh uscito nel 1944. La serie nel 1981 lanciò il giovane Jeremy Irons nella parte di Charles Ryder, giovanotto middle class che negli anni Venti a Oxford conosce Sebastian, aristocratico rampollo della famiglia Marchmain (per segnalare la sua eccentricità Sebastian non si separa mai dall’orso di pezza Aloysius, che come lo sboccato Ted nel film diretto da Seth McFarlane ha ora il suo account su twitter: «Aristocratico. Marxista. Orso. Lavare a 30 gradi»).

Parlare di arte a proposito di una serie televisiva era impensabile ai tempi di Ritorno a Brideshead, che pure ebbe un ottimo successo di pubblico nonché di critica in Gran Bretagna e fu trasmessa anche in Italia. La Golden Age inaugurata dalla Hbo doveva ancora arrivare, e la parola capolavoro – non solo per programmi trasmessi sul piccolo schermo – era piuttosto in disgrazia. Come era in disgrazia la parola “romanzo”. Oggi accoppiata sempre più spesso a serie come I Soprano, The Wire, oppure Lost, che a guardar bene rappresentano rispettivamente la narrazione mimetica ottocentesca (almeno fino al black out nell’episodio finale), la narrazione che sperimenta in materia di scrittura, e la narrazione che costruisce un suo mondo peculiare. Tre modelli sempre più difficili da trova- re nei romanzi degli scrittori che sdegnano la tv.

L’Arte, o presunta tale, ha le sue ripetizioni e i suoi luoghi comuni

Secondo Heinemann, la superiorità di Ritorno a Brideshead starebbe nella ricchezza e nella complessità della voce fuori campo, nel fatto che i personaggi cambiano, nel ruolo della fede e della grazia divina. Mentre i personaggi di Downton Abbey sarebbero sempre uguali a se stessi, mossi da circostanze esterne. Non potrebbe essere altrimenti, visto che tecnicamente si tratta di una soap. La constatazione non vale come giudizio di valore, ma semplicemente come indicazione di un genere narrativo dotato di regole proprie.
Traspare molta nostalgia, dall’articolo di Heinemann. Siamo così ricondotti a un altro annoso dibattito, che ha per tema la capacità di riconoscere il nuovo quando è nuovo. Senza rimanere per sempre abbarbicati a quel che ci piacque (anche) perché lo abbiamo visto nell’età che Muriel Spark nel romanzo Gli anni in fiore della signorina Brodie – chiamava «l’età impressionabile», con riferimento alle sue studentesse. Nuovo vuol dire qui soprattutto “riuscito”: è difficile inventare davvero qualcosa, sia in materia di arte, sia in materia di intrattenimento (e del resto, prima del romanticismo di cui ancora subiamo le conseguenze, l’originalità non era affatto un valore). Si può sbagliare – la critica non è una scienza esatta. È una forma di artigianato che può fare a meno di certe categorie scritte con maiuscola. L’Arte, o presunta tale, ha le sue ripetizioni e i suoi luoghi comuni, non meno banali di quel che viene liquidato come Intrattenimento.

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