Attualità

Dentro gli archivi di Anna Dello Russo

Icona fashion, collezionista di vestiti, scarpe e immaginari: vi raccontiamo il suo straordinario archivio di magazine, ritagli e appunti.

di Luisa Fici

La porta dell’appartamento di Anna Dello Russo, eroina del fashion system contemporaneo, editor at large di Vogue Japan, stylist e consulente dell’industria moda da quasi tre decadi, è preceduta da un tappetino nero, con le doppie C incrociate di Chanel. La prima volta che l’ho calpestato su vertiginosi tacchi di Charlotte Olympia, Anna mi ha accolto sorridente esclamando, nonostante i miei sforzi: «Lula, dalle nostre email ti immaginavo più alta!».

Volevo raccontarle che già ci eravamo incontrate anni prima ma poi ho cambiato idea, perché già divagavamo e io mi presentavo per mostrarle il mio portfolio illustrato. Oggi, a distanza di sei anni, sono qui, in comodissime sneaker che non mi innalzano di un solo centimetro, perché Anna ha accettato di avverare un mio desiderio. Vedere le sue quattromila paia di scarpe? Viste. Viaggiare con lei? Fatto. Sbirciare nel suo monumentale guardaroba? Di nuovo sì. Lavorare fino a tarda sera con lei? Già successo. Sono qui per spulciare, come una fan nerd che colleziona gli sketch inediti dei suoi super eroi, un genere diverso di archivio: i diari, le agende, gli appunti, le cartelle di “ritagli d’ispirazione”, il portfolio e la rassegna stampa di Anna Dello Russo. L’intento è di studiare cosa annota una donna che per mestiere sceglie, cosa stimola una creativa il cui compito è indovinare le necessità prossime del suo ambiente, qual è l’iter di una figura che muta al ritmo dell’industria del mutamento per eccellenza.

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Mi attende in cima a una scala di ferro, aperta di fronte a una parte della libreria dove non si trovano tomi Phaidon, Assouline, Taschen e Rizzoli, gadget giapponesi, corni di corallo o biglietti d’auguri decorati, ma delle mensole solide, che reggono plichi numerati in ordine crescente e diari incuneati, ora verticali ora orizzontali, per ottimizzare gli spazi. Dall’alto sceglie cosa passarmi (lei sostiene che vada fatta una selezione, io propongo di prendere un più generico “tutto”). Le ho promesso che questa non sarà un’intervista. E così come lei mantiene sempre la sua parola, io manterrò la mia. Ma, stimolata da ricordi e reminiscenze suggerite dalle immagini conservate che rivede, ammirando o deridendo con ironia la sé passata, Anna dispiega i suoi pensieri senza avarizia.

Per prima cosa mi porge un plico argentato con un’etichetta dove si legge, in stampatello maiuscolo: «VOGUE 1989-91». Christy Turlington, Steven Meisel, Gianni Versace… È una collezione di immagini di cui Anna è stata creatrice, con équipe i cui nomi avanzavano verso la leggenda: «La creatività è una musa salvifica. Va ascoltata, va onorata, non è un caso che a scuola si inizi dai classici», dice porgendomi cataloghi nuovi, passando poi a tessere le lodi della mitologia, degli archetipi, delle tragedie che forgiano la sensibilità dello spirito.

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I cataloghi più recenti, ritagli degli ultimi tempi, gli editoriali di cui è ideatrice, ma soprattutto una valanga di articoli su Anna in tutte le lingue, centinaia di foto che le hanno scattato per strada e la ritraggono in innumerevoli outfit, fenomeno street style, di cui è stata eletta regina indiscussa. Durante le Fashion Week, da NY a Londra, da Milano a Parigi, Anna non può letteralmente fare un passo senza essere assediata da fotografi che vogliono immortalare i suoi look estrosi, studenti di moda che ambiscono a un selfie con lei, colleghe che la fermano complimentandosi con melodici «wow».

Guardando le immagini che si accumulano sulla scrivania, sul pavimento, sulle ginocchia, risulta evidente una trasformazione della persona e del personaggio. La carriera di Anna comincia dietro l’obiettivo: è la mente, le mani, le intuizioni, le idee, le amicizie e i sodalizi intessuti nei backstage, sul set, nelle private vie dell’industria che si stringe le mani, si scambia contatti personali, siede vicina e complice nella front row. Poi gradualmente, suggeriscono le immagini successive, qualcosa cambia. L’obbiettivo si gira, attirato da un forte magnetismo, verso Anna come persona. Cosa indossa Anna Dello Russo? Quali sono le “dieci regole” di Anna Dello Russo? Quante paia di scarpe possiede Anna Dello Russo? Chi è, cosa compra, cosa ama, cosa sceglie? Una febbre per Anna Dello Russo, che d’un tratto da segreta Miranda Presley diventa Lady Gaga. Anna ha lasciato un mondo per un altro? Ha abbandonato il privato per i fasti del pubblico? In sintesi: no. Anna gioca alle regole della moda: prestarsi a farsi fotografare tra uno show e un altro, non è vanità, è lavoro. È una nuova sfaccettatura del lavoro, ma è lavoro. E solo un occhio miope si fa ingannare dai lustrini che indossa: c’è serietà e consistenza in ogni sua mossa, in ogni piuma applicata, in ogni trama di tessuto, dal raso duchesse allo chi on che svolazza. Durante la settimana della moda di qualche stagione fa, imbottigliate nel traffico londinese tra Kings Cross e Holborn, strette nel retro della lucente Mercedes che ci accompagnava dallo show di Paul Smith a quello di Mary Katrantzou, Anna si cambiava d’abito. Perché? Per lavoro. Eccola scendere dalla vettura tutta nuova, sfavillante in un ensemble inedito, con gli stessi fotografi che l’avevano immortalata mezz’ora prima che le vanno incontro e la ringraziano per il materiale fresco da diffondere subito, alla velocità della luce.

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Come ha fatto Anna, da lavoratrice indipendente, a rispondere alle richieste del suo successo? Ha semplicemente ampliato il suo team. Motivo, del resto, per il quale mi trovo qui. Dalla raccolta del 2004 sbuca un’immagine di Anna intenta a oliare i muscoli tersi di Brad Pitt, nei panni del Pelide Achille, sul set di Troy. Era una copertina dell’Uomo Vogue – di cui Anna è stata direttore dal 2000 al 2006 – in concomitanza con l’uscita del blockbuster americano, uno scatto inedito dal backstage dell’editoriale. Mi viene da pensare, conoscendola un po’, che il vero eroe classico quel giorno non era il macho attore hollywoodiano (al suo glorioso meglio, va detto), ma Anna stessa: concentrata, scattante, furiosa come il celeberrimo guerriero acheo. Per continuare nei paragoni mitologici, direi che Anna è un’intuitiva Cassandra della moda a cui tutti però credono.

Continuo a sfogliare senza ordine cronologico. Diari segreti d’infanzia, quaderni decorati di ritagli scontornati da evidenziatori sgargianti. Sono gli appunti di Anna, le sue tabelle di marcia, le sue amatissime wish-list. Anna pianifica. Anna prepara. Anna scrive, ricorda, esegue. Anna ha metodo, disciplina. Orari, appuntamenti, note. Ecco perché poi, sul campo di battaglia (ovvero strade, passerelle, set, studio) può permettersi di fare ciò per cui è nota: scatenarsi. Ispirare. Giocare. Cantare “Fashion Shower”.

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Poi, lo ritrovo: il primo articolo che ho letto su Anna, e che iniziava così, secco: «Anna Dello Russo è simpaticissima». Dodici anni fa esatti: letto d’un fiato, perché l’avevo appena conosciuta e mi aveva chiamato “ragazza” per tutto il giorno. Lei era consulente per Roberto Cavalli e la parte più bella era stata la notte in studio, l’aria piena dell’effervescenza che precede il giorno della sfilata: le passavo — quello era il mio compito di stagista— rettangoli di nastro bi-adesivo ben tagliato, con i quali lei incollava le polaroid dei look a un cartonato bianco. «Ragazza, com’è che ti chiami?», chiese infine. Dissi: «Luisa». «Domani mattina ti voglio qui di nuovo, prestissimo. Buonanotte Lucia». Mi accontentai. Che differenza fanno tre lettere? Anna, pensavo, aveva detto per ore solo cose giuste. Aveva mantenuto l’atteggiamento della leader in maniera impeccabile. Aveva dettato ordini secchi, ma vestito lei ogni singola modella. Per alcuni accostamenti, aveva usato il sostantivo schifo, ma aveva poi suggerito meraviglie. «Questa collezione è come un appartamento di lusso, pieno di oggetti preziosi», aveva detto al team esausto. «Manca un vaso di porcellana cinese». Detto fatto: lo spettacolo lo rubò Daria Werbowy in un tubino con strascico a sirena con ghirigori orientali blu, su bianco. La lezione imparata allora fu ovvia quanto fondamentale: i fitting che decidono l’ordine di uscita sulla passerella fanno la differenza, sandali o décolleté fanno la differenza, una ciocca sul viso o portata dietro l’orecchio fa la differenza, perché non c’è il diavolo nei dettagli, bensì il desiderio. E questo è il compito di personaggi che, come Anna, muovono l’industria: stimolarlo.

A distanza di anni, Anna continua a non chiamarmi Luisa, ma adesso per vezzo. Anna possiede quattromila paia di scarpe, giuro. Un appartamento, adiacente a quello in cui abita, che ospita solo il suo guardaroba. Un team di creativi che l’assistono nelle sue peripezie che lei chiama l’ADR Factory, di cui sono stata invitata a far parte. Anna pratica Ashtanga Yoga. Viaggia di continuo, con una predilezione per l’India. Ama l’oro, l’acqua leggermente gasata. Trascorre l’estate in Puglia, l’Italia del sud che le ha dato i natali. Quando facciamo programmi, sgranocchiamo anacardi. Nei suoi diari d’adolescente, già catalogava acquisti, progettava di trasformare foulard in gonne e metteva in budget grammi di perline per farne collane estive. Ha lavorato con icone globali (cito solo Helmut Newton e Kanye West) e poi, inevitabilmente, è diventata una Fashion Icon (F maiuscola, I maiuscola) a sua volta. Anna ha dispensato tante di quelle interviste, raccontato la sua storia così tante volte che mentre continuo a far finta che questa non sia l’ennesima, mi chiede: «Lula, che cos’altro vogliono che dica?». Sorge in me, genuina, una risata: è vero, Anna Dello Russo è, effettivamente, simpaticissima. Ma che vuol dire simpatica, per giunta nella sua forma superlativa? Simpatia nel senso di humour? Goliardia? Alla mano? A proposito di classici, dal greco antico, sym- patheia è “partire insieme”, è “provare emozione con…”. Insomma è provare emozioni simili agli altri. E cos’è il mondo della moda se non un continuo scambiarsi (prevedere, contraddire, indovinare) emozioni? «Lula non ti perdere», mi riporta all’attenzione, «devi restare concentrata. Se inizi a saltare di palo in frasca perdi il filo, ti allontani dall’idea centrale. E non bisogna mai allontanarsi dal nucleo di ciò che si cerca. Cioè: ti devi allontanare, ma ogni due passi avanti, ne devi fare uno indietro alla fonte. È così che l’idea resta chiara, che il pubblico ti segue, che il prodotto prende una forma meravigliosa, che l’idea è forte, capisci?».

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L’adagio che dice che ciò su cui concentri l’attenzione si dilata (What you focus on, expands), applicato ad Anna, è più vero che mai. Anna gestisce le sue incombenze con un’attenzione cristallina, così precisa da far sembrare maldestro ogni gesto altrui. «Per la distrazione non ho pazienza», ripete, quando è costretta a usare toni bruschi. «Lavorare nell’ambiente creativo è un privilegio talmente grande che chi non lo comprende non lo merita. Non c’è scusa per chi trova sempre scuse», ripete spesso, in formule diverse ma simili.

Con quasi trent’anni d’esperienza Anna continua a ravvivare l’entusiasmo dei beginner, l’attitude di chi ha tutto da imparare, la modestia di chi il viaggio deve ancora iniziarlo, l’entusiasmo di chi dal nuovo e dall’ignoto trae linfa. Ama i libri pop-up, le fiabe, l’immaginario infantile del gioco. Un occhio sul sogno, uno sul budget. Stola di pelliccia per le strade, occhiali seri alla scrivania. Lavorare nell’industria e diventare un’industria è un’arte per la quale occorrono sì ispirazione e magia, ma anche duro lavoro e consistenza. Solo un occhio miope non ne vede la generosità. Anna dispensa consigli a ogni battuta. «Mai lamen- tarsi», ripete sempre, «bisogna mettersi in gioco!», esclama con tono infervorato, «e giocarsela bene. Non ci sono scuse, non ci sono deterrenti. La pioggia non è una scusa, il freddo non è una scusa, la stanchezza non è una scusa, le mancanze non sono scuse: bisogna-portare-a-casa-il-lavoro».

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Nell’industria mutevole, con tendenze veloci e necessità imprevedibili, che vuol dire lavoro, oggi? Qual è la casa a cui lo portiamo? «Le carte in tavola sono cambiate», spiega Anna, «non si è più una cosa sola, non si adempie più a un singolo compito. Il protagonista non è più il prodotto, ma la comunicazione. Oggi vince chi si inventa la migliore. La parola chiave è stupire». Stupire? E come? Tramite la conoscenza. Conoscenza tramite esperienza. Esperienza tramite viaggio, esplorazione, del mondo e di sé. «E bisogna sempre, sempre, sempre dire una cosa», prosegue abbassando le palpebre, «bisogna sempre dire: grazie».

È ormai quasi sera. Anna è in partenza domani, e con l’efficienza che la contraddistingue, oggi ha incastrato una serie di improrogabili impegni. «Il lavoro creativo ci purifica in una catarsi e poi ci eleva sulla realtà. Non sorprende che chi non crea è depresso. Che troppi lavori sono spersonalizzanti e inaridiscono. Ma quanto siamo fortunati noi che lavoriamo nel mondo della creatività? La creatività non ha perché. È un fuoco che non ti aliena mai da te stesso». Quando Anna lavora è in ascolto. Pretende che le suonerie dei cellulari siano spente. Getta via capi irrilevanti e tocca con cura quelli preziosi. Allinea gli oggetti. Crea immaginari da sogno. Accende il desiderio di chi lavora con lei, del consumatore, del pubblico. Gioca, con serietà e ironia dosate in pari misura alla comunicazione. Stiamo seguendo o no? Capiamo? Stiamo forse perdendo del tempo prezioso? Anna produce quella che in astratto viene chiamata moda. E non è neanche, stando a lei, interamente merito suo: a dirigerla è il canto ispirato e imperituro della Musa.

 

Fotografie di Piotr Niepsuj.