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Andrew O’Hagan non riconosce più la Londra di un tempo

L'autore di Caledonian Road, che sarà al festival "About a city" a Milano il 26 novembre, su come è cambiata la sua città, tra nuovi ricchi e parchi recintati.

di Lorenzo Camerini

Andrew O’Hagan sarà a Milano il prossimo 26 novembre. Lo scrittore scozzese, classe ’68, candidato tre volte al Booker Prize, ghostwriter di Julian Assange, autore di un reportage di successo planetario alla ricerca della vera identità del padre dei Bitcoin, arriverà in Italia per partecipare al festival organizzato dalla Fondazione Feltrinelli “About a City”, dedicato alle città e alle migrazioni. È una buona occasione per parlare del suo ultimo libro Caledonian Road (Bompiani, uscito a ottobre 2024), vendutissimo in Inghilterra. Caledonian Road è un affresco minuzioso e spietato che descrive com’è ridotta oggi Londra, una delle capitali globali di questa nostra civiltà scalcagnata. È un lavoro dove si vede la formazione giornalistica del suo autore, il suo talento nei dialoghi e l’abilità nel comprendere le regole non scritte delle comunità. Chiacchieriamo con O’Hagan attraverso il pc, risponde dal suo studio a Londra, occhiali tondi, accento scozzese, modi eleganti, maglione color carta da zucchero.

ⓢ Lei vive nei pressi di Caledonian Road?
Sì, a un quarto d’ora di distanza. Per sette anni ho vissuto ancora più vicino, un minuto a piedi. È un luogo dell’anima per me, un esempio affascinante di come una strada possa accogliere chiunque: giovani sbandati, industriali di successo, persone che hanno comprato casa negli anni Settanta per poche migliaia di sterline e ora vivono in appartamenti da sette milioni di Pound, migranti nei condomini popolari. Caledonian Road è un meraviglioso esempio di melting pot londinese, uno dei posti più interessanti d’Europa secondo me, dove tutti questi universi collidono e non sai cosa aspettarti quando giri l’angolo.

ⓢ Come è nata la scintilla per scrivere Caledonian Road? Ho letto che è stato un lungo processo creativo.
Ho iniziato a concepire questo libro dieci anni fa, mi sono impelagato in uno dei percorsi di ricerca più lunghi della mia vita. Volevo che fotografasse tutta la società di Londra, dai piani più bassi a quelli più alti, dai rapper di strada agli oligarchi russi, dal mondo della moda a quello dell’arte contemporanea, i politici e gli uomini d’affari corrotti. Sapevo fin dall’inizio che avrei dovuto indagare tutti questi mondi, per conoscere i dettagli di cui avevo bisogno e scriverne con perizia. Ci ho messo un bel po’.

ⓢ E Londra è cambiata moltissimo davanti ai suoi occhi, nel frattempo.
Già, ho dovuto continuare a spostare l’intreccio in avanti nel tempo perché continuavano a succedere eventi interessanti. C’è stata la Brexit, poi l’austerità economica, dopo la pandemia. Non potevo ignorarli, per la natura del libro che volevo scrivere, così ho continuato ad aggiornare e aggiustare per fare in modo di includere le novità nella trama.

ⓢ È ancora possibile per un giovane artista squattrinato e senza agganci trasferirsi a Londra e raggiungere l’autosufficienza economica, com’era comune dieci anni fa?
È molto difficile. È uno dei più grandi cambiamenti che ho osservato da quando mi sono trasferito nella City, trent’anni fa. Quando ero un giovane editor e un giovane scrittore di pochissimo successo, all’inizio degli anni Novanta, e lavoravo in una rivista, era possibile vivere con il mio stipendio in un appartamento nel centro di Londra. Gli affitti erano bassi, c’erano un sacco di opportunità. Ora i prezzi sono diventati assurdi, i giovani professionisti si sono spostati dal cuore della città. È un problema comune, nel centro di Parigi, Madrid e New York vivono solo i ricchissimi. Questo fenomeno sta snaturando le città, sta cambiando la loro essenza, le sta trasformando in luoghi prevalentemente commerciali. L’anima di Londra è minacciata dai palazzinari.

ⓢ Si è visto un miglioramento, dopo la guerra in Ucraina e le sanzioni contro gli oligarchi russi?
Ci sono ancora molti soldi sporchi, persone che sono più ricche di quello che sembra perché nascondono conti offshore a Panama, sull’Isola di Man o in Svizzera. Londra è stata scelta da molti come luogo privilegiato per pulire i soldi sporchi, attraverso la compravendita di immobili e opere d’arte. C’è stata una tolleranza da parte delle istituzioni verso le scorrettezze dei milionari. La città impiegherà molto tempo per riprendersi dall’aumento dei prezzi che ne è conseguito. Gli oligarchi russi, però, sono fortunatamente scomparsi negli ultimi due anni. C’erano sanzioni contro di loro anche prima, ma erano molto blande e venivano aggirate facilmente. Londra sta meglio senza quegli individui immorali.

ⓢ Se lei fosse il sindaco di Londra, cosa farebbe per migliorare l’andazzo?
La prima cosa che farei è una legge che proibisca di mantenere le proprietà immobiliari vuote. Obbligatorio occuparle tutte. Creerei una tassa per chi compra una casa a Londra e non ci va a vivere. Tra l’altro, c’è un grosso problema di senzatetto nel Regno Unito. La seconda cosa che farei è introdurre una tassa su ogni transazione immobiliare, e devolverei tutto il ricavato alle case popolari. Ah, riaprirei subito i parchi di notte. Mi sembra una politica inutilmente ostile nei confronti dei giovani, quella di chiudere i parchi per impedirgli di andarci a far festa. Non vedo perché le persone non dovrebbero poter improvvisare un party al parco di notte.

ⓢ Sono tutti chiusi anche a Londra?
Recintati. I parchi sono posti dove i giovani dovrebbero potersi fumare una canna, bere una cosa, fare festa in ogni momento della giornata. Questo non gli è permesso. Rende la città molto più morta la notte.

ⓢ In Caledonian Road lei racconta benissimo l’universo delle gang drill. Come ha svolto le sue ricerche, è riuscito a introdursi negli ambienti underground?
Sì, ho iniziato dalla musica e dopo ho incontrato gli artisti. Mi sono avvicinato abbastanza per imparare quello di cui avevo bisogno, per esempio il linguaggio, un elemento molto importante. I rapper parlano un derivato particolarissimo dell’inglese. Va detto che è più facile, almeno nella mia esperienza, entrare in contatto con imprenditori ricchissimi o membri della famiglia reale di quanto non lo sia incontrare un giovane driller. I primi vogliono farsi intervistare, i cantanti affiliati a una gang non hanno il minimo interesse a incontrare un giornalista, o uno scrittore di qualsiasi tipo. Persino gli oligarchi russi hanno dimostrato interesse a dialogare, per convincermi che non sono cattivi. Un driller, di solito, mi vede come una specie di agente della narcotici in incognito. Qualsiasi uomo di mezza età è sospetto ai loro occhi.

ⓢ C’è veramente un problema di diffusione dei coltelli fra i giovani londinesi, o le cronache sono fortemente esagerate?
Molte persone portano in giro i coltelli, e li usano. Dispute territoriali, presunte mancanze di rispetto, spesso portano a scontri a coltellate. I rapper, soprattutto chi fa drill, girano armati. A volte anche armi brutali, tipo il machete. Ho passato un bel po’ di tempo in tribunale per seguire il processo di un giovane uomo accusato di aver assassinato un suo coetaneo a coltellate. È un grosso problema. Credo che la povertà e i reati con il coltello vadano di pari passo.

ⓢ Anche se, come lei dice nel suo ultimo libro, chi è il vero criminale: chi ruba una mezza bottiglia di vodka da Tesco o chi truffa la collettività per guadagnare milioni?
È uno dei temi che mi stava più a cuore mentre scrivevo Caledonian Road. Le persone che commettono i reati peggiori, i Donald Trump di questo mondo, quelli implicati nelle corruzioni più meschine, riescono spesso a sfuggire alla giustizia. Intanto i ragazzini che rubacchiano, o che sono coinvolti in scontri fra gang, finiscono tutti in prigione.

ⓢ A proposito di Donald Trump, c’è una bella citazione nel suo ultimo libro: «Le persone votano contro il loro interesse perché detestano una cultura che li vede come dei disagiati». Abbiamo toccato il fondo, o possiamo continuare a scavare?
Volevo che Caledonian Road descrivesse un quadro fosco, per poi chiudere con la prospettiva di un futuro migliore. È il libro più ottimista che abbia mai scritto. Racconto di un sacco di persone orribili che alla fine, tutto sommato, non la fanno franca. Ci sono giovani con dei valori etici. In questo momento è difficile immaginare un futuro più giusto, meno razzista, molto meno tollerante sulle divisioni inique fra ricchi e poveri, non siamo ancora arrivati a quel punto. Caledonian Road, in questo contesto, può sembrare un esercizio di pensiero magico. Spero che dopo i recenti disastri, inclusa l’elezione di Trump, le persone si stuferanno di essere governate da criminali e corrotti. Dobbiamo cambiare, dobbiamo necessariamente abbandonare il petrolio, bisogna ricostruire la società dalle fondamenta. Non è solo questione di votare nel modo giusto, non bastano i piccoli aggiustamenti.

ⓢ È ancora in contatto con Julian Assange?
Non più. Julian non ha apprezzato la mia decisione di scrivere un pezzo sulla nostra relazione (O’Hagan ha pubblicato nel 2014 sulla London Review of Books il saggio breve “Ghosting”, dove ha raccontato la sua esperienza da ghostwriter di Assange, nda). Anche se ho scelto un taglio comico e ho raccontato la sua storia con umanità, lui voleva essere in controllo della narrazione, e non gli piaceva che altre persone si cimentassero liberamente con l’interpretazione dei fatti, quindi abbiamo smesso di sentirci.

ⓢ È vero che lei ha rifiutato di essere interrogato dall’FBI per il caso Assange?
È successo diverse volte. In nessun caso avrei partecipato ai tentativi delle forze di sicurezza statali di investigare un giornalista. Preferirei andare in prigione. Penso che non sia prerogativa dei governi ficcare il naso nelle fonti di un giornalista, o arrestarli perché hanno detto la verità. Io e Julian abbiamo molte differenze, ma difenderò il suo diritto di pubblicare quello che vuole come vuole fino alla morte. L’idea che lui sia stato spiato, arrestato e incarcerato per aver pubblicato del materiale mi sembra grottesca. Non accetterò mai di discutere il suo lavoro con l’FBI. Sono venuti a casa mia e non li ho fatti entrare. Non testimonierei contro un giornalista nemmeno se avesse scritto il falso, preferirei che se ne occupasse qualcun altro. Mi fido dei giornalisti, mi fido di chi pubblica i giornali, e mi opporrò sempre ai governi corrotti, quindi non sono stato dalla parte dell’FBi nemmeno per un minuto.

ⓢ Lei pensa che gli scrittori abbiano la responsabilità di dare voce alle cause che sentono più vicine alla loro sensibilità, o hanno solo il compito di scrivere libri belli?
Penso che si possano fare entrambe le cose. Sono sempre felice di farmi coinvolgere, tipo adesso, e di provare a interpretare i tempi in cui stiamo vivendo, con la mia piccola voce fra tante. Credo in una tradizione dove giornalisti, scrittori, poeti e autori teatrali possano fornire alle persone strumenti per decifrare la temperatura morale. Ci saranno sempre scrittori mossi solo dalla fantasia, che vivono nelle nuvole, che non vogliono avere niente a che fare con argomenti politici. Gli auguro buona fortuna, non avranno mai il mio biasimo. Allo stesso tempo ci sono scrittori come Umberto Eco, che oltre a essere stato un romanziere meraviglioso ha scritto saggi e editoriali che hanno avuto un’influenza sulle idee dei suoi contemporanei. Ogni scrittore è libero di fare ciò che vuole.

ⓢ Come ha fatto Campbell Flynn in Caledonian Road. Se non sbaglio lei verrà a Milano presto, giusto?
Sono felicissimo di tornare, adoro Milano, una delle città più eleganti, vibranti e coinvolgenti. E il tema del festival è uno dei più seri in questo momento. Che cosa sta succedendo alle nostre città? Sono centri commerciali abitati da ricchi di mezza età? Sono posti dove i migranti spariscono senza nessun sistema di supporto? Stiamo permettendo alle città di trasformarsi in quartieri generali dei brand e del capitalismo internazionale, con scarsa sensibilità per la vita degli abitanti, senza iniziative per la collettività, con scarsa pazienza per la creatività e l’eccentricità. Le città erano posti dove correvamo, quando eravamo giovani, per incontrare l’inusuale, l’inaspettato. Le persone dalla campagna si spostavano a Milano perché era una città con stile, cinema, concerti, moda, persone meravigliose che non avresti incontrato da nessun’altra parte. Dovremmo cercare di ricreare quell’atmosfera, e di non adattarci al modello di paradiso dello shopping, con pubblicità di qualsiasi tipo dappertutto. Potremmo fare meglio. Questo non è il mondo che conoscevamo quando mi sono trasferito a Londra da un piccolo posto in Scozia.

ⓢ Lei ha appena pubblicato un libro molto ambizioso, con struttura ottocentesca e il riepilogo dei personaggi, con relative professioni, nelle pagine introduttive. Si è trovato talvolta in difficoltà a scrivere un libro così in un mondo dove la soglia di attenzione è di quindici minuti, se non secondi?
Ero molto nervoso all’idea che stessi chiedendo alle persone di stare attente per seicento pagine, ma ti devo dire che questo è il mio decimo libro, e sta diventando – per i miei standard – un best seller. Questa è la prova che è ancora possibile mantenere l’interesse del pubblico, se gli si offre materiale di qualità. Molti dei miei libri precedenti erano brevi, e con molti meno personaggi; me la sono spassata con loro, ma non avevo mai visto questi numeri di vendite in tutta la mia carriera. Caledonian Road diventerà una serie televisiva per una delle emittenti britanniche più importanti, le persone si sono appassionate. Sono felice di testimoniare che l’attenzione per i libroni è ancora viva là fuori, è stata una lezione anche per me, era un test. Un libro come Caledonian Road, con sessanta personaggi, è arrivato al primo posto nelle classifiche di vendita del Regno Unito. Sono colpito io per primo. Alla fine, è bello dirti che questa volta lavorarci per dieci anni ha pagato.