Cultura | Fumetti

Altan e la tragicommedia umana

Abbiamo parlato con il grande vignettista e fumettista in occasione dell'uscita di Ada e altre giungle per Coconino Press: una raccolta che riunisce storie inedite o pubblicate su Linus e su altri giornali.

di Gianmaria Tammaro

Nei personaggi e nelle storie di Altan, ci siamo tutti noi. Ci sono i ricchi e ci sono i poveri. C’è il mondo di ieri e c’è pure quello di oggi. Ogni parola è scelta con cura: ha un ruolo, più che un significato, preciso. E colpisce più e meglio della spada. Cala senza pietà, intacca visioni e pregiudizi, e ribalta qualunque tipo di luogo comune. Ada e altre giungle è una raccolta di fumetti edita da Coconino Press: alcuni sono stati pubblicati originariamente sulla rivista Linus e su altri giornali, altri sono inediti in Italia. La protagonista, Ada Frowz, è una ragazza inglese che si ritrova coinvolta in intrighi e avventure. All’inizio va in Africa per mantenere una promessa fatta a suo zio in punto di morte. Poi si ritrova ad affrontare nazisti e assassini. È lo spunto ideale per mettere a nudo il bigottismo e le convenzioni sociali. Le vignette sono esilaranti, cattive e astutamente costruite.

Ogni ritaglio è pieno di dettagli, di battute e di trovate incredibili: Altan non nasconde, ma accentua le assurdità dei suoi personaggi; gioca con gli estremi, con i paradossi; non esita a prendere in giro Ada. Tutti la desiderano, ma la sua cameriera la tratta malissimo. Sembra brillante, e invece non riesce a vedere la realtà dei fatti. È pronta a fare qualsiasi cosa per i soldi, e per i soldi, più volte, rischia di morire. È sensuale, furba, fortunata; e allo stesso tempo è fragile, ingenua e viziata. Ama la preside del suo collegio, e la ama appassionatamente; ma poi se ne dimentica e la ignora del tutto. Dice Altan di aver sempre apprezzato la letteratura inglese. «E Ada e altre giungle è solo un tentativo di parlare degli stessi temi e di muovermi nello stesso campo. Poi sa: quando uno comincia a fare le cose, le cose sanno trovare una strada da sole».

Nella sua prefazione, Ratigher (direttore di Coconino Press, nda) la paragona a Flaiano.
È un paragone che mi rende felice, non lo nascondo. Flaiano mi è sempre piaciuto molto. Aveva un occhio attento sulla società italiana, e sapeva descriverla magnificamente, senza risparmiarsi.

Anche se sviluppata alla fine degli anni ’70 e ambientata nella primissima metà del ‘900, tra la prima e la seconda guerra mondiale, Ada e altre giungle è di un’attualità disarmante. Perché secondo lei?
Il merito non è mio: non ho previsto nulla. La verità è un’altra. Le cose cambiano molto poco e molto lentamente. Le vecchie strisce e le vecchie vignette funzionano ancora perché, semplicemente, il contesto in cui viviamo è rimasto lo stesso.

Tutte le immagini © 2021 ALTAN / QUIPOS S.R.L. / COCONINO PRESS – FANDANGO

E i fumetti di oggi fanno fatica a raccontarlo?
Non riesco a seguire l’attuale produzione di fumetti, confesso. A quei tempi, però, i temi di Ada e altre giungle erano estremamente sentiti. Era un altro periodo.

Che ruolo ha avuto il Brasile nella creazione di questa storia?
Per me ha rappresentato la scoperta di molte cose. Grazie al Brasile, ho imparato a conoscere un mondo segnato da differenze abissali. Non solo culturali, ma proprio di vita. Sono cose che ho toccato con mano e che ho visto da vicino. Il mio lavoro mi portava in giro, e mi permetteva di ritrovarmi faccia a faccia con certi problemi.

In Ada e altre giungle, gli occidentali sono infantili e immaturi. Non sappiamo accontentarci?
L’Occidente non si fa bastare mai niente, ed è proprio a causa di questa eterna insoddisfazione che sono nate le crisi ambientali, politiche e sociali che stiamo affrontando. Proviamo costantemente a sostituire ciò che abbiamo, considerandolo vecchio e superato; compriamo con l’unico obiettivo di accumulare, senza vere necessità. È un processo che mi sembra inarrestabile. O forse, ecco, si fermerà solo quando si fermerà anche tutto il resto.

Manca poco a questa rottura?
Ci stiamo avvicinando a passi svelti, secondo me.

Nel suo fumetto resiste l’elemento della meraviglia.
Perché c’è molta letteratura, come le dicevo, e c’è molto Conrad. Le persone sperdute nella giungla, che poi si ritrovano, è un’idea estremamente diffusa e presente in un certo tipo di racconti.

Milo Manara dice che oggi non c’è più il senso per l’avventura.
Perché abbiamo l’impressione di sapere tutto. Perché ogni cosa, oggi, si può vedere in televisione e online. Ma è, appunto, solo un’impressione. È diminuita drasticamente la curiosità delle persone, e soprattutto è diminuita la voglia di scoprire con i propri occhi, direttamente, il mondo.

Come si riconosce la storia giusta?
Anche quella, se vuole, è una piccola avventura. Molti dettagli nascono durante la scrittura e durante il disegno. Mi è successo spesso. Ho trovato personaggi secondari quasi per caso. Non c’è alcuna premeditazione.

Secondo lei, oggi Ada e altre giungle troverebbe un editore?
Penso di sì. In questi anni è cambiata profondamente la percezione che abbiamo di alcuni temi. In Ada ci sono delle provocazioni che, oggi, non avrebbe senso fare. Nonostante tutti i ritardi e tutte le resistenze, qualche passo avanti è stato fatto.

ⓢ Qualcuno dice che non si può più parlare di niente.
Bisogna fare un bilancio. Tra i pro e i contro. È vero che, in questo senso, si sta un po’ esagerando. Ma è anche vero che alcune cose, una volta, venivano dette senza pensarci, automaticamente, senza capirle a fondo. Oggi c’è una consapevolezza diversa, maggiore. E non è un proprio un male.

No?
La domanda che dobbiamo porci è un’altra. Abbiamo perso o abbiamo guadagnato di più? Proviamo a darci una risposta, e proviamo a essere onesti. Qualcosina, secondo me, l’abbiamo ottenuta.

Come fanno a convivere due personaggi come la Pimpa e Ada?
Non lo so, me lo chiedono tutti. Sono arrivate più o meno nello stesso momento. All’epoca ero più giovane. E avevo più curiosità. Forse viene tutto da lì. So che convivono perché continuo ad occuparmi di tutte e due, ma non so spiegarle il perché.

Dove nasce una buona battuta?
L’umorismo ha bisogno di una sorpresa. Non importa se grande o piccola. La sorpresa, a volte, ti strappa una risata. Ti spiazza. Ti fa vedere il mondo da un altro punto di vista. E ridendo puoi imparare.

Nelle sue storie, le donne hanno un ruolo importante.
È una cosa di cui sono estremamente convinto. Hanno una concretezza e un occhio sulla realtà meno viziato.

E i personaggi più pratici e svegli sono i personaggi secondari, che lavorano per gli altri.
Perché le loro ambizioni sono costrette dalla loro posizione. Ma all’interno del loro mondo sono i più bravi, sanno cavarsela molto bene.

Oggi i ruoli e le classi sociali non si raccontano più così nettamente. Sono scomparsi?
I ruoli ci sono ancora, per carità. Forse una volta era tutto più chiaro ed era più facile distinguere le cose. Adesso sono tutte mescolate e confuse. Ma la sostanza è sempre la stessa.

Non riusciamo più a vederla perché ci siamo incattiviti?
C’è un egoismo che resiste da sempre e che in questi anni non ha trovato né limiti né correzioni. Il problema, per me, è semplice. Tra la visione del singolo e quella della comunità, resta un divario enorme.

Qual è la differenza più grande tra cinema e fumetto?
Apparentemente un fumetto sembra lo storyboard di un film, ma sono due cose diverse. Nel fumetto il tempo di lettura è un altro: puoi andare avanti, fermarti, tornare indietro. Decidi tu l’andamento della storia. Nel cinema no. Nel cinema sei costretto a seguire il ritmo imposto dal regista.

E quanto è importante il ritmo nella narrazione?
Molto. Ci sono scrittori bravissimi che riescono a coinvolgere i lettori proprio grazie al ritmo: con le pause, con i ribaltamenti di prospettiva, con l’alternanza delle voci.

Quali storie le interessa raccontare in questa fase della sua vita?
Non ho più le energie per raccontare quelle più lunghe. È un lavoro pesante, che ti prende moltissimo. Una volta lavoravo per ore e ore, e non mi fermavo nemmeno la notte. Mi perdevo in queste storie e non ero in grado di uscirne. Oggi le uniche storie che racconto sono quelle della Pimpa.

Un aspetto positivo degli anni che passano?
Io non mi lamento. Per ora, via, mi va abbastanza bene.