Cultura | Podcast

Serial non è finito

La scarcerazione di Adnan Syed ha riacceso l'interesse per la serie che nel 2014 diede inizio all'ossessione per il true crime e trasformò i podcast nel bene di consumo culturale che conosciamo oggi.

di Studio

Per gli appassionati di true crime, il nome di Adnan Syed è parte di una religione laica. Syed è stato il “protagonista” di Serial, un podcast del 2014 (quattro anni fa lo definimmo il miglior podcast di tutti i tempi, definizione che regge ancora oggi) che raccontava la storia dell’indagine e del processo – dei processi, a essere precisi: il primo fu annullato perché il giudice dell’epoca diede della bugiarda all’avvocata di Syed – sull’omicidio di Hae Min Lee, diciottenne di Baltimora strangolata a morte nel 1999. Hae Min Lee era la fidanzata di Syed, che fu condannato all’ergastolo per l’omicidio della ragazza al termine di un secondo processo molto discusso e molto criticato già all’epoca. Syed è entrato in carcere a diciotto anni e ci è rimasto fino a ieri, quando un giudice di Baltimora ha annullato la sentenza che 23 anni fa aveva portato alla sua condanna. Mentre si eseguiva la liturgia americana della rimozione delle catene dai polsi e dai piedi dell’ormai ex detenuto, il pubblico ministero Marilyn Mosby teneva una conferenza stampa in cui precisava che con questa decisione «non stiamo dichiarando l’innocenza di Adnan Syed ma il suo diritto a un nuovo processo». A chiedere l’annullamento della condanna di Syed è stata la stessa Mosby mercoledì scorso: un pm che chiede che una condanna venga annullata  – in sostanza si tratta della cancellazione di una vittoria per l’accusa – è un evento rarissimo nella giustizia penale statunitense. Nella giustizia penale in generale, in realtà.

Ad assistere alla scarcerazione di Syed e alla successiva conferenza stampa di Mosby c’era anche Sarah Koenig, l’autrice e voce narrante di Serial. Intervistata da David Leonhardt per la newsletter Morning del New York Times, Koenig ha spiegato l’importanza e la straordinarietà di questo evento, della richiesta del pubblico ministero e della decisione della corte. «Molto di quello che la pm ha dichiarato avrà dato alla difesa la sensazione del déjà vu. Molti degli argomenti sono gli stessi – testimoni inaffidabili, prove telefoniche inaffidabili. Una cronologia degli eventi che non sta in piedi. Ma ci sono anche un paio di novità. Quella più grossa è la rivelazione del fatto che l’accusa non ha condiviso con la difesa informazioni riguardanti un possibile altro sospettato nell’omicidio di Hae Min Lee. Questa scoperta è stata un po’ come lo scoppio di una bomba», ha detto Koenig. Gli altri sospettati di cui l’accusa avrebbe nascosto l’esistenza durante il processo sarebbero addirittura due. Entrambi hanno precedenti penali definiti rilevanti per un processo riguardante un omicidio come quello di Hae Min Lee. Uno di loro avrebbe parenti vicino al luogo in cui è stata ritrovata l’automobile della ragazza, avrebbe avuto un movente per l’omicidio e avrebbe persino minacciato di morte Lee nelle settimane precedenti la scomparsa di quest’ultima.

Adnan Syed e Hae Min Lee in una foto scattata durante il prom dance

Koenig sa bene che il suo lavoro nella prima stagione di Serial – quella in cui viene raccontata la storia di Lee e di Syed – ha avuto un peso rilevante nello spingere procura e corte alla decisione di ieri. Rilevante se non fondamentale. In uno dei momenti allo stesso tempo più strazianti e surreali vissuti lunedì nella corte di Baltimora, c’è stato quello in cui il fratello di Hae Min, Young, è intervenuto via Zoom nel mezzo dell’udienza: «Questo non è un podcast per me – ha detto – questa è la vita vera, un incubo lungo vent’anni e che non finisce più. Ogni giorno penso che forse è finita o che è davvero finita, e ogni giorno questa storia torna a tormentarmi».

Uno degli episodi più belli del podcast, uno di quelli che ad ascoltarlo ancora oggi stupisce per efficacia e profondità, resta il primo. Per introdurre gli ascoltatori alla storia di Adnan Syed e Hae Min Lee, Koenig chiede loro di sforzarsi di ricordare, senza essere troppo precisi, dove fossero e cosa stessero facendo in un giorno qualunque della settimana precedente. Poi, fa ascoltare alcune brevi interviste fatte a suo nipote e ad alcuni suoi amici. Koenig fa ai ragazzi la stessa domanda fatta poco prima agli ascoltatori: dove eravate e cosa facevate il giorno X della settimana scorsa? E poi aggiunge: mio nipote era con voi? Se sì, dove era e cosa faceva? Se no, dove era e cosa faceva? I ragazzi, a uno a uno, rispondono. Nessuno dei loro racconti coincide con l’altro. Adnan Syed fu condannato perché non riusciva a ricordare dove fosse in un giorno preciso, a un’ora precisa: il giorno e l’ora in cui, secondo le ricostruzioni, è stata uccisa Hae Min Lee. Quando gli inquirenti gli chiedevano dove fosse e cosa stesse facendo quel giorno, a quell’ora, da quel giorno e da quell’ora erano già passati mesi. Syed ha sempre ricostruito quella giornata al meglio delle sue possibilità, ma non è mai riuscito a ricordare esattamente dove fosse e cosa stessa facendo mentre Lee veniva uccisa: si tratta di un vuoto di memoria di circa un quarto d’ora, pochi minuti nei quali nessuno ricorda dove fosse e cosa stesse facendo Syed. Ora, Adnan Syed si trova agli arresti domiciliari. La procura distrettuale di Baltimora ha due mesi di tempo per decidere se sottoporlo a un nuovo processo. Oggi Sarah Koenig ha pubblicato un nuovo episodio di Serial, il tredicesimo e forse ultimo della prima stagione: si intitola “Adnan is out“.

Serial è stato anche il titolo grazie al quale i podcast sono diventati il bene di consumo culturale che conosciamo oggi, una serie che ancora oggi viene scaricata e ascolta centinaia di migliaia di volta al giorno in tutto il mondo. Jeff Labrecque di Entertainment Weekly lo aveva definito il prodotto capace di trasformare il giovedì in un «must-listen event», sul New York Magazine avevano provato a dare una spiegazione psicologica dell’ossessione che tutti sembravano sviluppare per Serial. Su Reddit c’è ancora un thread dedicato alla serie in cui innocentisti e colpevolisti se ne dicono di tutti i colori ogni giorno. Slate, nel 2014, lanciò un podcast in cui di discutevano e analizzavano tutti gli episodi di Serial, forse il primo caso di podcast su un podcast della storia. Oggi, dopo quasi un decennio di documentari true crime da ascoltare e da vedere, possiamo misurare l’enorme influenza che Koenig e il suo podcast hanno avuto sulla cultura americana e non solo: il Washington Post nel 2016 definiva Serial «una sfida alla giustizia penale americana», una sfida che negli anni successivi è stata raccolta da altri racconti-ossessione come Making a Murderer di Netflix o da podcast-eredi come Undisclosed, dedicato alle ingiuste condanne che ogni anno la giustizia penale americana commina a decine di cittadini (una delle autrici di Undisclosed è Rabia Chaudry, amica d’infanzia di Syed e da sempre convinta della sua innocenza). Grazie a Serial, è cominciato un modo nuovo di raccontare la cronaca nera, uno che parte dalle righe spesso ignorate di piccoli trafiletti nelle pagine interne di giornali locali: le righe che raccontano i casi marginali, le condanne ingiuste, le scarcerazioni tardive. Ma, più di tutto questo, l’influenza di Serial è provata dal fatto che le ragioni che hanno spinto la pm Mosby a chiedere la scarcerazione di Syed sono le stesse che Koenig aveva usato per insinuare il dubbio sulla fondatezza della sua condanna.