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06:01 martedì 1 luglio 2025
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.
La Rai vorrebbe abbandonare Sanremo (il Comune) e trasformare Sanremo (il festival) in un evento itinerante Sono settimane che la tv di Stato (e i discografici) litigano con il Comune: questioni di soldi, pare, che potrebbero portare alla fine del Festival per come lo conosciamo.
La storia del turista norvegese respinto dagli Stati Uniti per un meme su Vance sembrava falsa perché effettivamente lo era Non è stato rimpatriato per le foto salvate sul suo cellulare, ma semplicemente perché ha ammesso di aver consumato stupefacenti.
In Giappone è stato condannato a morte il famigerato “killer di Twitter” Takahiro Shiraishi è stato riconosciuto colpevole degli omicidi di nove ragazze. Erano tre anni che nel Paese non veniva eseguita nessuna pena capitale.
Per sposarsi a Venezia e farsi contestare dai veneziani Bezos ha speso almeno 40 milioni di euro Una cifra assurda che però non gli basta nemmeno per entrare nella Top 5 dei matrimoni più costosi di sempre.

Amico Silvio

I tempi del Popolo Viola sono finiti, e all'improvviso l'idea della sua morte intimorisce: non siamo pronti a lasciar andare il nostro Berlusconi privato?

17 Giugno 2016

Lo scorso 7 giugno Silvio Berlusconi è stato vittima di uno scompenso cardiaco, l’hanno portato in una suite dell’ospedale San Raffaele, ha subito un intervento di sostituzione della valvola aortica; poi, l’altro ieri, si è svegliato («è estremamente lucido e in ottime condizioni», dicono i medici) e, pare, trenta secondi dopo la rimozione del respiratore ha fatto una battuta su un’infermiera della struttura di Cologno Monzese: avrebbe potuto lavorare nella sua Telecinco, se avesse voluto. Non è chiaro cosa sia nato prima, se le boutade di questo tipo o Berlusconi stesso, ma l’ennesimo aneddoto di ironia piaciona che lo riguarda è stato accolto come una specie di nuova catarsi: sui social non si contano le varie declinazioni di “allora sta bene” e i “si è ripreso in fretta”, commenti che suonano sempre meno come derisioni tout court e sempre più come auguri di pronta guarigione all’amico un po’ matto, che forse non risulta troppo simpatico, ma che comunque nell’economia del gruppo è stato scoperto imprescindibile. E il punto è proprio questo: com’è potuto succedere che, a vent’anni dalla “rivoluzione liberale” mancata, Berlusconi sia diventato – forse, in un certo senso, un po’, per così dire – nostro amico?

Nessuno si aspettava cori di giubilo per la possibile morte di un pur controverso settantanovenne, s’intende – almeno non al di fuori delle sezioni commenti più selvatiche del web – eppure qualcosa è cambiato nei toni e negli approcci alla figura dell’eterno leader rampante. Wislawa Szymborska ha scritto in una delle sue poesie: «Devo molto a quelli che non amo, […] I viaggi con loro vanno sempre bene». E non esiste personaggio pubblico del dopoguerra meno amato di Silvio B., caso probabilmente unico di uomo vivente il cui cognome è citato più spesso nella sua forma in -ismo che in quella registrata all’ufficio anagrafe, nemico politico e oggetto delle sedute di autocoscienza di almeno due generazioni di politici italiani; piduista per Di Pietro, puttaniere per Travaglio, psiconano per Grillo, pregiudicato per molti e dittatore per alcuni, dalla sua comparsa Berlusconi è stato il super-io della destra e l’Es della sinistra, e da tempo è il riferimento obbligato della politica che ha lasciato semi-orfana: a due anni dal patto del Nazareno – anni che non ha certo vissuto da protagonista – l’espressione polemica “e se l’avesse fatto Berlusconi?” è diventata un luogo comune retorico, e forse anche questo testimonia un’impensabile inversione di tendenza: stiamo iniziando ad avanzare l’ipotesi di essercela presa troppo con quell’imprenditore milanese, un po’ sopra le righe ma sostanzialmente, avrà pensato qualcuno, innocuo?

Merkel Meets With Silvio Berlusconi

Nel 2001-2, nella stagione dei girotondi, del tragico G8 di Genova, della riforma Moratti, una riconciliazione anche parziale col berlusconismo ci sarebbe parsa una prospettiva ai limiti del lisergico. Ad alcuni anni e leggi più o meno ad personam di distanza, piazza Navona aveva già cambiato alcuni dei suoi protagonisti (fuori Nanni Moretti, dentro Sabina Guzzanti, Marco Travaglio e Antonio Di Pietro) ma non la sua partecipazione, forte di una retorica di denuncia del “regime” e delle sue presunte malefatte: al primo “No Cav Day” dell’estate del 2008, scriveva il Corriere, le magliette «Fermiamo il Caimano» andavano «a ruba»; a dicembre dell’anno seguente, con una enorme manifestazione in piazza San Giovanni in Laterano, nasceva Il Popolo Viola, epitome di ogni movimento antiberlusconiano. Cosa ne è oggi di quell’organizzazione di cittadini contrari al Caimano? Già a fine 2011 Vittorio Feltri scriveva che «senza Berlusconi è tramontata la voglia di protestare»: molte delle spinte girotondine e viola da allora sono state in parte assorbite dagli strali antisistema di Beppe Grillo, e dei brindisi nelle piazze romane per le sue dimissioni da presidente del Consiglio, dell’odio per Berlusconi non è rimasta che una versione sbiadita, ammantata di una sorta di imprevedibile, e forse nostalgico, rispetto cameratesco per l’avversario di tante battaglie. Al di fuori della filiera produttiva Fatto quotidianoMicroMega-Libertà e Giustizia, la malvagità del Caimano sembra essere stata rimossa.

Quando la sua morte è diventata una prospettiva reale, c’è stato un passo indietro collettivo

Pensate a come verrebbe percepita, oggi, Il sogno degli italiani, l’opera con cui la coppia di artisti Antonio Garullo e Mario Ottocento nel 2012 aveva esposto a Palazzo Ferrajoli, a poca distanza dal più celebre Palazzo Chigi, la statua di un Berlusconi deceduto e posto in una teca di vetro. Della fine biologica di Berlusconi si è parlato, scritto, messo in scena e vagheggiato a tal punto che, nel momento esatto in cui la soluzione estrema è diventata una prospettiva realmente contemplabile, c’è stato un passo indietro collettivo, quasi l’epilogo della vicenda di un singolo uomo potesse coincidere con quella di chi l’aveva elevato a detestabile centro della vita pubblica per vent’anni. Quasi Berlusconi, il berlusconismo, le olgettine, i talk show di Santoro, le 10 domande di Repubblica e tutto il resto fossero una parte importante e imprescindibile di chi ne ha fatto il suo orizzonte, e dirgli definitivamente addio equivalesse all’improvviso al dire addio ai propri ricordi.

Anni fa, proprio nel giorno dell’addio a Palazzo Chigi dell’ex premier di Arcore, ricordo di aver scritto su Facebook una lunga e scompaginata pseudo-lettera d’addio colma di spietato e giubilante lirismo, spero persa per sempre nei recessi della rete. Il destinatario ideale era il Divo Silvio, in quei frangenti una versione cupa e fuggitiva di sé stesso, dominus oltraggiato dalle missive della Bce e da un’insofferenza popolare nei suoi confronti che aveva ormai distrutto gli argini. Una cosa interessante di Berlusconi è che è stato, ed è ancora, per tutti anche un fatto privato. Accanto al Berlusconi pubblico, quello dei processi e delle intercettazioni, forse un po’ in sordina si è evoluto negli anni un Berlusconi percepito su un piano più intimo, quello del rapporto personale con il Paese e con la sua storia recente, quello attraverso cui vedere come siamo cambiati e quanto possiamo ancora cambiare. Dev’essere anche questo il motivo per cui leggere l’articolo di Francesco Merlo apparso sulla prima pagina di Repubblica il 10 giugno, appena dopo il ricovero dell’ex premier, ovvero leggere della «trasformazione del bunga bunga da ritmo sgarzolino in cupa aritmia», oggi sembra peggiore della peggiore delle sue battute.

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