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A causa del caldo (e dell’overtourism), in futuro ferie e chiusure aziendali potrebbero essere spostate in primavera Sta già succedendo, in realtà: chi può parte quando le temperature sono ancora sopportabili, i luoghi meno affollati e i prezzi più accessibili.
È uscito il trailer di Portobello, la serie tv sul caso Tortora e la prima produzione italiana di Hbo Diretta da Marco Bellocchio e con protagonista Fabrizio Gifuni, è già uno dei titoli italiani più attesi del 2026.
Già nel 1986, in un’intervista della Rai, Netanyahu mostrava di essere un estremista Fa impressione vedere le risposte date dall'allora 38enne Netanyahu a Giovanni Minoli nel famoso programma Mixer.
A quanto pare Papa Leone XIV è imparentato con un sacco di celebrity Lo ha rivelato un'inchiesta del New York Times: tra i cugini alla lontana ci sono Madonna, Angelina Jolie, Justin Bieber, Justin Trudeau e pure Hillary Clinton.
Per i palestinesi che vivono in Israele non ci sono bunker antiaerei in cui cercare rifugio Non ci sono perché non sono stati costruiti: con i bombardamenti iraniani i civili non hanno via di scampo.
I veneziani le stanno provando tutte per rovinare il matrimonio di Jeff Bezos e Lauren Sánchez Striscioni, cartelli, assemblee, proteste, pure un adesivo anti Bezos ufficiale che si trova attaccato un po' ovunque in città.
La nuova grande idea di Mark Zuckerberg è mettere la pubblicità anche dentro Whatsapp Per il momento le chat sono state risparmiate dalla banneristica, ma c'è sa scommettere che non sarà così a lungo.
Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.

Adesso anche le donne possono saltare

Il documentario "Pronte a volare" in onda questa sera su Cielo racconta la battaglia per il riconoscimento dello ski jump come disciplina olimpica femminile. E chi l'ha portata avanti: la squadra americana.

10 Febbraio 2014

L’essenza di un buon salto sta nella gestione impeccabile di quattro momenti: la corsa, il decollo, il volo, l’atterraggio. Nella prima si prende velocità, accovacciati sugli sci e pronti a buttarsi nel vuoto; nella seconda si contraggono i muscoli, ci si fa leggeri e si spicca il salto vero e proprio. Il volo (dicono) è la fase più bella ed è inevitabilmente la meno stabile: la posizione – con gli sci a formare una v, le punte aperte – va mantenuta fino all’atterraggio, con gli sci paralleli, a distanza di centinaia di metri dalla partenza. Il tutto in 10 secondi e poco più: quasi un istante, se valutato con i parametri della vita quotidiana; il frutto di anni di preparazione, invece, per gli atleti di ski jump che sognano l’oro olimpico.

Con le Olimpiadi di Sochi 2014 i riflettori tornano a essere puntati sulle discipline invernali nelle loro mille sfaccettature. Lo ski jump è una di queste. E per la prima volta è anche una disciplina olimpica femminile: una vittoria di per sé, visto che per anni è stato uno degli sport riconosciuti dal Comitato Internazionale Olimpico solo nella sua versione maschile. Ed è stato oggetto di una lunga battaglia, condotta in tribunale come sui giornali, da atlete perseveranti e appassionate. Come quelle della squadra di ski jump degli Stati Uniti.

La storia “al femminile”di questo sport e della sua ammissione nel gruppo delle discipline olimpiche è infatti legata a doppio filo a quella delle ragazze americane che domani, in occasione della prima gara ufficiale che si disputerà sotto il vessillo dei cinque cerchi, si infileranno tute, caschi e sci. E salteranno per vincere. Come sempre. A loro ( la squadra ufficiale a Sochi è composta da tre atlete: Lindsey Van, Jessica Jerome e Sarah Hendrickson, ma del team fanno parte anche Abby Hughes e Alissa Johnson) è dedicato il documentario Pronte a Volare, curato da William A. Kerig, in onda in esclusiva su Cielo oggi in seconda serata.

La storia delle “saltatrici” americane è molto interessante, non solo perché, ad oggi, sono le migliori del mondo: a raccontarla qualche mese fa è stato il New York Times Magazine, in un lungo articolo firmato da Michelle Silcoff, giornalista che con le ragazze ha passato molto tempo, seguendole negli allenamenti allo Utah Olympic Park, ma anche al ristorante thailandese per un pranzo (un po’ troppo) frugale. La loro vicenda da un lato coincide con la già citata lunga battaglia (è cominciata nel 2002) per l’ammissione dello ski jumping femminile tra le discipiline olimpiche, dall’altra costituisce una sorta di archetipo per raccontare il mondo sportivo al femminile, tra obiettivi da raggiungere e battute d’arresto impreviste, disciplina e coesione, allenamenti faticosi e problemi alimentari.

Ad emergere dal minuzioso reportage della Silcoff sono due figure: Sarah Hendrickson e Lindsay Van. Sarah, 19 anni, è una giovane talentuosa e tenace: dopo aver vinto nove delle 13 competizioni mondiali di salto con gli sci femminile nel 2012, nell’agosto 2013 ha subito un brutto incidente in Germania rischiando di compromettere la propria presenza a Sochi 2014. Protagonista di un recupero record, la giovane Hendrickson è una delle punte di diamante della squadra olimpica americana (nonché una delle atlete ad aver, fin dall’inizio, attirato l’interesse di sponsor del calibro di Nike e Red Bull).

Lindsay è una veterana; ha cominciato a saltare con gli sci a soli 8 anni e fin da subito ha avuto un obiettivo ben chiaro in testa: le Olimpiadi. Proprio per questo motivo si è resa volto e portavoce della campagna per il riconoscimento dello ski jump femminile da parte del Cio. Una lotta complicata, arrivata perfino in tribunale quando, in vista delle olimpiadi invernali di Vancouver, nel 2010, un gruppo di 15 atlete denunciò il Vancouver Organizing Committee per discriminazione: il processo venne perso in appello nel novembre 2009 e Lindsay Van decise di abbandonare l’agonismo. Salvo poi ripensarci, nel 2012, complice un nuovo tipo di training effettuato in una sorta di galleria del vento. E ha riscoperto quello che ama, al di là della causa, al di là dell’agonismo: «Ho aspettato per due anni una svolta del genere – ha detto al New York Times Magazine – Ora, quando salto, sento qualcosa che non provavo da molto tempo. Sono felice. Mi sono ricordata che saltare mi rende felice».

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