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Paul e Joanne, un matrimonio all’hollywoodiana

The Last Movie Stars, la docuserie diretta da Ethan Hawke e prodotta da Martin Scorsese, inizia come un omaggio a Paul Newman e Joanne Woodward ma diventa il racconto di un cinema che ormai non esiste più.

18 Ottobre 2022

The Last Movie Stars, la docuserie diretta da Ethan Hawke e prodotta da Martin Scorsese, presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e a dicembre su Sky e NOW, è un oggetto strano. Nasce come un omaggio a Paul Newman e Joanne Woodward, e si trasforma velocemente in qualcos’altro: da una parte in uno sforzo comune per celebrare un’epoca, dall’altra in un’occasione per coinvolgere attori e attrici e ripercorrere – attraverso le loro voci e interpretazioni – gli anni d’oro di Hollywood. Newman e Woodward vengono descritti come gli ultimi rappresentanti di una generazione che non esiste più: quella dei veri divi, amati e applauditi per il loro talento e per la loro bellezza, capaci di incarnare ideali precisi e di non essere semplicemente frequentatori occasionali dei red carpet. Newman e Woodward vivevano la loro vita, la vestivano con naturalezza; non esageravano, non accentuavano. Erano star ovunque, in qualunque momento. Sul set, circondati dalle luci, e in strada, in mezzo alle altre persone.

La stessa premessa di The Last Movie Stars è particolare. Come viene raccontato all’inizio del primo episodio, Hawke è stato contattato da uno dei figli di Newman e Woodward per girare un documentario su di loro. Newman aveva cominciato a lavorare a una biografia, ma all’improvviso, senza nessun apparente motivo, aveva cambiato idea e aveva bruciato tutti i nastri delle interviste che aveva raccolto. Fortunatamente lo sceneggiatore Stewart Stern, che lo stava aiutando, aveva fatto trascrivere ogni conversazione. Ed è esattamente da qui che Hawke è partito per la sua serie. Ha chiesto ad amici e colleghi di recitare una parte. George Clooney, per esempio, legge le battute di Paul Newman mentre Laura Linney quelle di Joanne Woodward. The Last Movie Stars è costruita interamente sulle voci, sulle loro intonazioni, sul modo in cui, di volta in volta, vengono recitate le varie trascrizioni. È teatro, in un certo senso. Ed è anche un podcast. Lo stesso Hawke, che tiene insieme tutte le parti e che costruisce la premessa della serie, gioca con la narrazione e si diverte a parlare di sé e della sua esperienza, proprio per restituire un’idea del divismo – inteso nel suo significato più alto e nobile – di Newman e Woodward.

La cosa più interessante di The Last Movie Stars, però, non è il racconto della vita dei due attori e nemmeno la celebrazione dei loro successi e di quello che, con il tempo, hanno finito per rappresentare. È il modo in cui, direttamente e indirettamente, hanno influenzato le altre persone, a cominciare dallo stesso Hawke. Entrare nelle loro vite è un esercizio che va oltre la banale cronaca: diventa cinema, televisione, epica. Avverti la luce smorzata della loro intimità, e riesci a beartene. Perché è nella loro unione, negli sguardi che si cercano, nelle parole di chi li ha conosciuti, che viene fuori ciò che erano davvero. Newman così fascinoso, Woodward così attenta. Hawke e il cast di attori di cui si è circondato scivolano sotto la superficie delle storie già sentite, e vanno giù, in profondità, fino all’essenza delle cose e dei ricordi. E quindi Newman e Woodward, prima ancora di essere grandi nomi dello spettacolo, diventano persone, esseri umani. Con le loro fragilità e ossessioni, con le loro paure e contraddizioni. Ed è probabilmente questo l’omaggio migliore di The Last Movie Stars: il tentativo di voler dire la verità, di non romanzare la cronaca; di seguire una strada diritta, chiara, mai confusa.

Alle immagini di repertorio, con i carpet, i film, le scene di vita privata, si alternano le videocall su Zoom mentre Hawke parla con gli altri attori, dice come fare per trovare le opzioni audio, e indica, sorride, presenta i suoi due cani. Le battute vengono registrate e i dialoghi, lentamente, prendono forma. The Last Movie Stars è un gioco di incastri e di parole: ognuna diversa, piccola, grande, più o meno lunga. Ed è una finestra anche sulla vita di chi, a questa docuserie, ha scelto di prestare la propria voce: è una riunione di amici, di persone che si conoscono da anni, e che decidono di rievocare un mondo e un’epoca che non torneranno più; e mentre lo fanno sono felici, perché sono insieme, anche se solo virtualmente, e perché possono condividere qualcosa di più delle inquadrature piene di librerie, mobili d’epoca e pareti intonacate. Parlano di loro, del mestiere che hanno abbracciato come una missione e della magia che, a volte, non sempre, può regalare.

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