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È morto lo scrittore Edmund White, pioniere della letteratura gay e della libertà sessuale Romanziere, biografo, vincitore di un Pulitzer e autore di cinque memoir, nel 1977 scrisse anche il pionieristico manuale sessuale "The Joy of Gay Sex".

MaisonCléo, come diventare virali con una macchina da cucito e poco altro

Breve storia e strategia di un piccolo marchio che ha saputo farsi strada su Instagram, ma che ora potrebbe risentire dei cambiamenti della piattaforma.

10 Dicembre 2020

Quando si riceve a casa un capo di MaisonCléo – ordinato su un e-commerce che funziona a tempo e cucito in casa – arriva in un pacco stretto da una corda riutilizzabile e accompagnato da uno scontrino in cui sono riportate tutte le voci di spesa impiegate per crearlo. E per tutte si intende: il costo orario di lavorazione, quello del tessuto impiegato, la trattenuta di PayPal, gli investimenti sul marketing, i 3 centesimi per l’host del sito, la percentuale delle tasse, il ricarico che genera il guadagno. Il marchio nasce da un’idea di mamma e figlia (la prima, Cléo, sarta in una famiglia di sarti, la seconda Marie, ex responsabile del servizio Vip di Vestiaire Collective) con la volontà di restare fuori dalle regole imposte ai marchi piccoli e medi che, quando scelgono di non delocalizzare la produzione e non adattarsi a una comunicazione allineata e costosissima, generalmente sono dati per spacciati. Invece MaisonCléo corre al galoppo dal 2017, grazie a una spinta iniziale data da Leandra Medine e Emily Ratajkowski (le due influencer avevano pubblicizzato spontaneamente i capi su Instagram) e a una capsule collection per Net-a-Porter comunicata magistralmente. Ma, soprattutto, a un’idea di business che va controcorrente.

MaisonCléo, infatti, vende esclusivamente tramite il proprio e-commerce, aperto una volta a settimana. Prima di quel momento i capi sono mostrati sia sul sito sia nei contenuti dell’account Instagram, in modo che le potenziali acquirenti possano farsi un’idea prima di accedere alla vendita. Mamma e figlia sono in grado di produrre 30 capi a settimana, quindi, quando sono stati effettuati 30 acquisti sul sito, questo si “chiude” fino alla settimana seguente. I capi proposti vengono prodotti «fino a che abbiamo tessuto», sempre acquistato da deadstock e scarti. È poi possibile inserire le proprie misure in fase di ordine, in modo che il capo sia costruito al centimetro. Tutto questo, si capisce, ha generato non poco interesse intorno al brand, in una perfetta operazione di marketing che trasforma un punto di debolezza (l’incapacità di soddisfare la richiesta) in punto di forza (la partecipazione con cui le clienti aspettano il momento di poter comprare).

Uno scontrino MaisonCléo

MaisonCléo ha sperimentato sull’aumento di produzione nel 2019, quando Net-a-Porter ha messo in vendita sette pezzi prodotti in esclusiva. Marie ha descritto la collaborazione come emozionante «da piccola ho passato tantissimo tempo sul sito scoprendo nuovi designer ed è lì che ho comprato il mio primo pezzo di lusso, un paio di stivali di Isabel Marant, quando ancora produceva in Francia», e allo stesso tempo una sfida, «ci ha lavorato principalmente mia mamma ma non poteva fare tutto da sola, altrimenti avremmo dovuto chiudere il nostro e-commerce per quattro mesi. Abbiamo conosciuto due sarte della nostra città e chiesto loro di aiutarci per questo progetto. La prima si chiama Christine, ha la stessa età di mia mamma e hanno frequentato la stessa scuola di cucito. La seconda si chiama Angele e lavora in un negozio di abiti da sposa. Ho fatto loro dei video che vi mostrerò presto! Ora sono diventate amiche. La parte più difficile del lavoro è stata recuperare i tessuti. Per questo sono tutti monocromo e alcuni in sfumature leggermente diverse. Siamo riuscite a trovare solo una tessuto check nella quantità giusta, spero vi piaccia!».

Esattamente come la capsule collection per Net-a-Porter, tutto del mondo di MaisonCléo è raccontato senza filtri. Tra i contenuti dell’account Instagram ci sono ovviamente i capi, spesso visti indosso alla stessa co-fondatrice, i look vintage delle muse ispiratrici, in particolare Lady Diana e Kate Moss, e quelli delle clienti, corpi e visi diversi, tutti normalissimi ma che funzionano proprio perché inserite in una certa narrazione, gli infiniti orli battuti a macchina e gli scatoloni preparati dal nonno raccontati al posto del backstage glamour che siamo abituati a vedere nella comunicazione dei marchi del lusso. E poi c’è il modello di business, che vuole porsi come una produzione etica, come scrive spesso Marie: dalla spiegazione sulla scelta di non aderire al Black Friday – «se un capo può essere messo in saldo significa che il suo prezzo iniziale non era quello giusto» – all’hashtag #FFF (FuckFastFashion), che contraddistingue tutte le condivisioni di articoli e statistiche sull’argomento con l’intento di sensibilizzare le utenti verso un acquisto più consapevole.

Intanto Instagram costruisce griglie sempre più strutturate per i marchi che si sono fatti conoscere attraverso il social (o vogliono farlo): è di qualche settimana fa l’implementazione della funzionalità Shops, messa in evidenza tra i tasti veloci, e l’introduzione delle Guide, strumento di esplorazione dall’anima editoriale che permette di compilare vere e proprie liste di suggerimenti di cose da comprare, meglio se direttamente in app. Intanto il costo per click, unità di misura delle inserzioni a pagamento sui social, continua a salire, dimostrando come Zuckerberg vi stia puntando molto e complicando le cose per quei piccoli brand che avevano trovato in Instagram una strada alternativa agli strumenti tradizionali di commercio all’ingrosso e marketing. Nei mesi a venire stare su Instagram sarà più difficile per un marchio come MaisonCléo. Ed è un vero peccato. Ma è evidente che un approccio diverso al produrre moda sia ormai in corso, anche se in una piccola nicchia, e non dovrà per forza stare alle regole del social network per farsi conoscere.

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