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Il sogno di una nuova Sabaudia

Ora che la pandemia ci ha costretto ad alzare lo sguardo oltre l’ordinario, c’è chi prova a immaginare un nuovo futuro per la città nera di nascita ma rossa di adozione.

03 Agosto 2020

Nell’anno delle vacanze autarchiche e distanziate, che nessuno ha ancora capito se saranno veramente vacanze, sulle orme di illustri predecessori letterari (Pasolini in primis), abbiamo deciso di raccontare questa strana estate italiana con un viaggio a tappe lungo le spiagge e i luoghi più famosi della costa della Penisola, in un periplo che partirà dalla Liguria e arriverà al Friuli Venezia Giulia. Qui le puntate precedenti.

«Faites-moi une petite folie», scrisse Nathalie Volpi di Misurata, moglie del conte Giuseppe Volpi, fondatore del Festival del cinema di Venezia, all’architetto Tomaso Buzzi, in seguito ribattezzato “il grande misconosciuto”. Desiderava qualcosa di stupefacente madame, che lasciasse il segno, una piccola follia incastonata tra la macchia mediterranea. Ricevette in dono Villa Volpi, una costruzione neoclassica, appariscente, in stile palladiano, con un affaccio al mare e l’altro sul lago di Paola. A osservarla dalla bellissima spiaggia di Sabaudia, con quelle due ali ai fianchi che emergono alte sulle dune, sembra davvero che stia abbracciando il mare. «Se non fosse per Villa Volpi laggiù, questa sarebbe ancora l’Italia di Stendhal. E Sabaudia, una città del silenzio stile Novecento», scrisse Alberto Moravia. Costruita sul finire dei Cinquanta la villa ebbe anche la sua consacrazione cinematografica, quando Pietro Germi nel ’61 la trasformò in una delle location siciliane di Divorzio all’Italiana, film capostipite della commedia all’italiana, la miglior stagione cinematografica del Novecento, con buona pace del neorealismo. Per comprarla fino a non molto tempo fa ci volevano trenta milioni di euro, poi diventati venti, ora probabilmente anche qualcosa meno. L’agenzia Christiès Real Estate è abbotonatissima sul prezzo, ma ci tiene a sgombrare il campo da gossip estivi che si ripetono ogni anno: Francesco Totti, che da questi parti è di casa, «non è mai stato interessato all’acquisto». Peccato, è la fine del sogno del gladiatore palladiano.

Edificata in 253 giorni, nel ’34, con il Duce che veniva ripetutamente in motocicletta a controllare lo stato di avanzamento dei lavori, la nascita di Sabaudia è sintetizzabile nell’iscrizione incisa su una facciata della torre civica: «Regnando Vittorio Emanuele II – Benito Mussolini Capo del Governo – Questa terra volle redenta – dal millenario letargo di mortifera sterilità». Lo scorso agosto l’allora ministro dell’interno, Matteo Salvini, tenne uno degli ultimi comizi da vicepremier proprio davanti al Municipio, inscenando uno dei suoi soliti siparietti: «Ragazzi, non mi ero accorto della scritta, cosi mi mettete nei guai, non fatemi dire altro che altrimenti mi arrestano». Quest’anno, in versione opposizione, dunque più lettini e meno mojito, lo si può incontrare a Torre Paola, da Saporetti, stabilimento principe del litorale laziale costruito dal mitico Giulio nel 1958, una sorta di Ultima Spiaggia meno altezzosa, dove negli anni Ottanta potevi incontrare in due tavoli vicini Florinda Bolkan e i simpatici ragazzi della banda della Magliana, Enzo siciliano e l’allegra famiglia Casamonica, famosa per la capacità di ingurgitare quantità inumane di caraffe di vino con le pesche. L’ultima new entry di questa strana estate italiana è invece il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, in versione ministeriale. Fosse per lui verrebbe con il solito completo navy anche in riva al mare. Chissà se il ministro sia a conoscenza che in quelle dune è stata girata la famosa scena di Amore mio aiutami, con Alberto Sordi che rincorre Monica Vitti (in realtà era una giovane Fiorella Mannoia, figlia di circensi, a fare da controfigura) per prenderla a schiaffi.

Curioso destino quello di Sabaudia, nera di nascita ma rossa di adozione, salita alla ribalta quando l’intellighenzia capitolina intuì che si poteva passare il weekend al mare anche in un luogo fatto costruire dal duce, senza bisogno di vergognarsene. Come confessò anche Pier Paolo Pasolini in una scenografica intervista tra le dune: «Una città ridicola, fascista. Improvvisamente ci sembra così incantevole. Quanto abbiamo riso, noi intellettuali, sull’architettura del Regime, sulle città come Sabaudia! Eppure, adesso, osservandola, proviamo una sensazione assolutamente inaspettata. La sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo: il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere tra metafisico e realistico». Nei primi anni Settanta il poeta Friulano si era anche comprato una casetta, a metà con Moravia. «Avevamo un terrazzino circolare in comune e spessissimo la sera cenavamo insieme», ricorda Dacia Maraini, che arrivò a Sabaudia seguendo l’esempio di Lorenzo Tornabuoni, il pittore che viveva in una villa affacciata sul lago ed era solito dipingere i cannonieri che gli passavano davanti. «Il posto piacque tantissimo e nel giro di breve tempo vennero regolarmente a trovarci tanti amici: Antonioni con Monica Vitti, Bernardo Bertolucci con la moglie Clara, Laura Betti, che aveva casa al Circeo, e anche Mario Schifano, che si affezionò talmente al luogo da comprare una casa con il giardino». I paragoni sono spesso stupidi, oltre che poco utili, ma comparare quella Sabaudia novecentesca con questa attuale fa quasi pensare ad una sorta di mutazione antropologica, per rimanere su un linguaggio pasoliniano. «Sono d’accordo», prosegue Maraini, «ma questo succede con tutti quei posti di villeggiatura che cominciano col costituire un centro culturale e finiscono nel mercato del turismo di massa. Comunque Sabaudia rimane un luogo bellissimo, in bilico fra terra, mare e lago, un unicum nel panorama italiano».

Eppure, ora che che la pandemia ha messo in discussione il nostro presente, costringendoci ad alzare lo sguardo oltre l’ordinario, c’è chi prova a immaginare per Sabaudia un nuovo futuro. Non più un banale luogo di villeggiatura ma una sorta di “sobborgo ricco di Roma”. Mostro scetticismo. Sarà l’espressione, fastidiosa. «Perché no?», dice Gino Saporetti, patron dello stabilimento, «questo è il posto più bello del mondo, circondato da una natura meravigliosa, di un clima fantastico, a neanche cento chilometri di distanza dalla città. Certo, servirebbero dei servizi basilari per viverci più a lungo». Chiedo quali siano questi servizi. «Una buona connessione per poter lavorare, una pista ciclabile per muoversi i sicurezza. Questa è un’opportunità – aggiunge – ma andrebbe sfruttata velocemente. Siamo a un bivio, o adesso o mai più». Alzo lo sguardo, sul bagnasciuga cammina leggera Valeria Golino. Giovannino Malagò, invece, non viene. Francesco Totti pare sia allo stabilimento La Spiaggia. Barbara Palombelli è appena andata via. Chissà che non abbia ragione lui.

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