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Joseph Grima

Un incontro col direttore di Domus, dove si parla di Design, nostalgia, Salone, Expo, giornali e città

20 Aprile 2012

Questo pezzo nasce fondamentalmente da due ragioni, che poi sono due domande. Cui cercheremo di rispondere.

Prima ragione: compro, sfoglio, leggo e approfondisco molti periodici, un po’ per lavoro e un po’ per passione, e sempre per lavoro e per passione ho la tendenza ad immedesimarmi in chi li fa, li pensa, li cucina e li dirige. Perché quella storia e non un’altra? Perché mezza paginetta invece che quattro doppie pagine? Perché quello strillo di copertina? Io l’avrei fatto? E via così. Il gioco di ruolo sale di livello di difficoltà – e di conseguenza si allontana dalla realtà – quando il paradigma immedesimativo inizio ad applicarlo alle pubblicazioni cosiddette di settore o verticali, le riviste che trattano un argomento specifico; i magazine di giardinaggio, automobili, arredo e così via per intenderci. E lì puntualmente mi si pone un quesito: sarei in grado di dirigere una rivista di cucina? Per dirigere un magazine che parla esclusivamente di yatch, bisogna arrivare dalla motonautica o è necessario essere un buon giornalista con una discreta esperienza di periodici?

Seconda ragione: vivo a Milano e tutti gli anni puntualmente avvicinandosi la primavera, sale la febbre per quello che è ormai ritenuto – e i dati sembrano confutare la tesi – l’evento clou meneghino, il momento in cui la città diventa per qualche ora la capitale globale di un settore molto importante per la creatività e l’industria italiane: il settore è il design, l’evento è il Salone Internazionale del Mobile, la cui edizione 2012 si svolgerà dal 17 al 22 aprile. La domanda che mi pongo in questo caso è: che ne pensano veramente del salone gli addetti ai lavori? (Dove per addetti si intendono le menti pensanti che per lavoro quotidianamente studiano, raccontano e contribuiscono all’evoluzione del settore specifico, non i professionisti dell’aperitivo evoluto, quelli del complimento alla poltrona Memphis da incastonare fra la miniatura finger dell’oliva ascolana e la rivisitazione bio del Campari col bianco, categoria alla quale saltuariamente mi inorgoglisco di appartenere, specie in tempi di primavera).

Le risposte che cerchiamo sono a Rozzano – periferia sud di Milano, per restare su temi urbanistici, una quelle zone di cui si dice puntualmente che un tempo erano fuori città e oggi sono parte integrante della metropoli, chi l’avrebbe mai detto e così via, che sembra sempre banale ma è proprio così – dove ha sede il gruppo editoriale Domus che manda gloriosamente alle stampe, fra le altre, riviste come QuattroRuote e appunto Domus, vera e propria istituzione del design e dell’architettura fondata nel 1928 da quel geniaccio di Gio Ponti.

La storia della rivista Domus è nota – o comunque fruibile in più di una pregevole pubblicazione – e troppo densa per essere qui sintetizzata.

Dall’aprile del 2011 la dirige Joseph Grima, architetto, ricercatore e già giovane e talentuoso direttore di StoreFront, la galleria newyorchese nota per gli incroci fra arte e design. Grima da queste parti, a Rozzano, era arrivato ai tempi della direzione Boeri – l’attuale assessore alla Cultura di Milano – ed era poi stato richiamato dall’editore per rilanciare l’area digitale di Domus durante la gestione Mendini, il celebre architetto che è stato al timone di Domus per tutto l’anno precedente lo sbarco di Grima. «Ripensare il sito e trasformarlo in un hub di livello globale su architettura, design, arte e urbanistica che potesse rispondere a nuove esigenze è stata la sfida da cui siamo partiti per ripensare Domus; per mettere in primo piano il suo valore di laboratorio e di piattaforma di condivisione» racconta Grima, che ci riceve in giacca e girocollo neri, sorridente, educato, seduto al tavolone bianco e quadrato della sala riunioni redazionale.

Mi tolgo subito la prima curiosità – quella esplicitata nel primo paragrafo di questo articolo – e gli chiedo se si senta più un professionista dell’editoria o del design: «La seconda assolutamente. Non credo che sarei in grado di dirigere una rivista generalista e comunque non rientra nei miei interessi. I miei campi sono il design, l’architettura, l’urbanistica; considero il fatto di essere diventato il direttore di un’istituzione come Domus, una fortuna che mi permette di osservare da posizione privilegiata in che direzione sta andando il mio mondo di riferimento, senza celare ovviamente l’ambizione – che è nel Dna di Domus – di guidare e indirizzare il cambiamento. Grazie alla rivista cartacea, al sito web e al nostro network siamo in grado di osservare, selezionare, intercettare, e prevedere. Se mi passi il termine, considero Domus una sorta di rabdomante del design e dell’architettura». E allora raccontaci cosa prevedi per un evento che in un futuro prossimo ci toccherà molto da vicino come quello dell’Expo a Milano: «L’Expo così com’è concepita non ha più senso di esistere. Il modello di esposizione universale, divisa per paesi poi, è un modello totalmente superato dalla contemporaneità, dai nuovi mezzi di comunicazione, dal modo in cui si è sviluppato il nostro modo di concepire tutto, comprese le città in cui viviamo. Non serve un’esposizione temporanea per sapere cosa sta succedendo di interessante in un altro punto del globo. Senza poi contare cosa spesso rappresentano, dal punto di vista urbanistico, i grandi eventi in generale, e penso anche alle Olimpiadi: delle gigantesche occasioni sprecate di lasciare davvero un segno di questi tempi nelle nostre città».

A proposito di altri punti del globo, facciamo scivolare la discussione sul tema ormai da qualche anno ricorrente dell’Europa in declino comparata ai Brics, gli ex paesi emergenti ormai emersi, il Brasile, l’India, la Cina e via dicendo, ancora in piena e vertiginosa spirale di crescita (anche se come è noto molti Brics-entusiasti iniziano ad avere qualche dubbio). Succede anche nel design? «Sicuramente in quelle realtà ci si può avvantaggiare di una maggiore velocità e dinamicità progettuale, e quindi sono i paesi dove stanno succedendo le cose più interessanti. L’Europa, oltre che i ben noti problemi di lentezza burocratica e depressione economica, sconta anche un perenne sentimento di nostalgia da parte di molti progettisti e istituzioni nei confronti dei grandi maestri del passato; la loro lezione è importante ma bisogna guardare avanti, reinventarsi. Oggi la velocità è tutto».

Mi interessa provare a sfatare un altro insopportabile e superficiale luogo comune che vuole Milano relegata al ruolo di città fondamentalmente brutta: «Non è una questione di bruttezza o bellezza reali – ci racconta Grima – ma di percezione. Io credo che Milano abbia un grosso problema di autostima, spesso si ha la sensazione che si voglia meno bene di quanto dovrebbe e potrebbe». Siamo sull’argomento Milano, è il momento giusto per togliersi la seconda curiosità, quella legata alla valutazione da parte di chi il design lo manipola per mestiere – e chi meglio del direttore di Domus – del Salone del Mobile, del suo impatto sull’Italia e della sua rilevanza globale: «Il Salone resta un momento importantissimo; per quel che riguarda questo settore, ci permette davvero per qualche giorno l’anno di dimostrare che Milano resta la capitale del design. Però occhio alla nostra tendenza a pensare che un diritto acquisito lo sia per sempre. Anche qui, bisogna fare presto e pensare delle formule innovative, reinventarsi continuamente pena la perdita di uno scettro costruito in decenni di talento e industria».

Ricapitolando, ecco le risposte ai quesiti di cui sopra: a) non sarei in grado di lavorare – figurarsi dirigere – per una rivista di design, come immaginavo. Ha una sua scientificità che non può essere in alcun moda approcciata superficialmente. E questo è un bene per tutti; b) il Salone è effettivamente una cosa importante, ma il rischio stagnazione lo percepiscono anche le figure più smart ai piani alti del settore.

Lunga vita al design quindi, al suo passato, al suo futuro, alla sua invidiabile capacità di incidere contemporaneamente sull’immaginario e sul Pil. A patto che i conservatorismi di ogni risma non abbiano il sopravvento. Uno slogan? Più Grima per tutti.

Dal numero 7 di Studio

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