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La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.
A giudicare dai nomi in gara, Carlo Conti vuole che Sanremo 2026 piaccia soprattutto ai giovani Tanti nomi emergenti, molto rap e veterani al minimo: è questo il trend di Sanremo 2026, pensato per un pubblico social e under trenta.
I dazi turistici sono l’ultimo fronte nella guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa Mentre Trump impone agli stranieri una maxi tassa per l'ingresso ai parchi nazionali, il Louvre alza il prezzo del biglietto per gli "extracomunitari".
Papa Leone XIV ha benedetto un rave party in Slovacchia in cui a fare da dj c’era un prete portoghese Il tutto per festeggiare il 75esimo compleanno dell'Arcivescovo Bernard Bober di Kosice.
I distributori indipendenti americani riporteranno al cinema i film che non ha visto nessuno a causa del Covid Titoli molto amati da critici e cinefili – tra cui uno di Sean Baker e uno di Kelly Reichardt – torneranno in sala per riprendersi quello che il Covid ha tolto.
La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha nominato il nuovo governo e ha fatto ministri tutti i membri della sua famiglia In un colpo solo ha sistemato due figlie, un nipote, un genero, un cognato e pure un carissimo amico di famiglia.
Sally Rooney ha detto che i suoi libri potrebbero essere vietati in tutto il Regno Unito a causa del suo sostegno a Palestine Action E potrebbe addirittura essere costretta a ritirare dal commercio i suoi libri attualmente in vendita.

170 anni di Economist

Un anniversario notevole per il settimanale inglese, che festeggia svelando un po' dei suoi misteri: per esempio, è di destra o di sinistra?

06 Settembre 2013

Il 2 settembre 1843 usciva la prima edizione di una rivista chiamata The Economist. Il suo fondatore, il cappellaio scozzese James Wilson, lo definì «un foglio settimanale da pubblicarsi ogni sabato» e una «rivista dedicata al libero commercio, alla politica, al commercio, all’agricoltura». Una piccola pubblicazione londinese che questa settimana compie 170 anni e che è oggi uno dei settimanali più autorevoli e conosciuti del mondo; ha sede a Londra ma un respiro globale che lo ha tenuto al riparo dalla crisi che sta colpendo la concorrenza di Time e Newsweek (il primo continua a perdere lettori, il secondo ha smesso di essere stampato negli Usa, mantenendo solo l’edizione digitale).

Nel 2012 l’Economist, infatti, ha registrato profitti record (67,3 milioni di sterline, +6% rispetto l’anno precedente), 1,6 milioni di copie vendute a marzo (1,5 milioni cartacee, 123 mila digitali) e un aumento delle vendite dei suoi supplementi. Un successo che si basa sul trio carta-sito-tablet, panacea di tutti i mali del giornalismo che in questo caso sembra davvero funzionare, spinto da uno stile giornalistico che danza tra l’austero e il caustico. Dell’Economist si ricordano soprattutto le copertine, ormai strumento di narrazione politica (e in special modo qui in Italia, da Silvio Berlusconi «unfit to lead Italy» al «Basta», dal Belpaese «malato d’Europa» all’«uomo che ha fottuto un intero Paese»), vero simbolo dell’anima “ruvida” del giornale, a cui fanno da contraltare gli articoli e i reportage, asciutti e regolati da una sfilza di norme e regole di stile (prima regola: MAI usare una metafora).

Ogni articolo deve essere chiaro, asciugato da virtuosismi e completamente dedicato all’informazione. Un magazine omogeneo, quindi, ma con qualche stranezza e peculiarità che nel corso degli anni hanno contribuito a renderlo unico. Per esempio, le firme: nessun articolo della rivista è firmato. Il motivo, spiega il sito dell’Economist, è in realtà legato alla tradizione, una tradizione giornalistica che la maggior parte delle testate ha abbandonato, nata agli albori del business per simulare redazioni ampie e permettere allo stesso autore di scrivere più pezzi con stili diversi. Una tradizione che non è però vezzo, perché ciascun articolo viene compilato e redatto da diversi giornalisti, in una sorta di giornalismo corale, in cui «ciò che viene scritto è più importante di chi lo scrive». E pensare che il primissimo numero fu scritto per intero dal fondatore Wilson!

Le pecularità proseguono – tanto da aver spinto l’Economist stesso a spiegarle ai suoi lettori svelando qualche mistero editoriale. Pur essendo un settimanale, infatti, il nostro si definisce un newspaper, un quotidiano, perché nacque come “foglio” in bianco e nero; il logo rosso fu introdotto solo nel 1959. Ma è anche una questione giornalistica: l’Economist non ha mai ceduto alla realtà della cadenza settimanale e continua a considerarsi un quotidiano nell’anima, un dispaccio periodico dallo stile e dal taglio da giornale, solo più dilatato nel tempo.

E veniamo all’ultimo enigma, l’appartenenza politica. In Italia, complici le copertine di cui sopra, sono in molti a considerarlo un organo “di sinistra”. Berlusconi, nel 2001, lo infilò nella pila della «stampa di sinistra», ricordando che tra le file dei suoi collaboratori risultava «una parlamentare comunista», ovvero Tana De Zulueta, allora senatrice dell’Ulivo. Al di là delle vicende italiane, molto si è discusso sull’orientamento politico del settimanale: di destra o di sinistra? «Nessuna delle due», risponde l’Economist, ricordando l’orizzonte culturale di riferimento del fondatore, che va da Adam Smith a John Stuart Mill passando per William Ewart Gladstone. L’opposizione, quindi, è a qualsiasi «limitazione della libertà personale o economica dell’individuo» e la dialettica tra destra e sinistra è stata col tempo archiviata perché antica e ormai inefficace nel comprendere fenomeni come Barack Obama.

È quello che è stato battezzato «vero progressismo» in una recente edizione del settimanale, «un centrismo radicale» per sconfiggere l’ineguaglianza e marciare verso un futuro roseo. Destra e sinistra rimangono alle spalle, aspettando nuovi riferimenti politici per il nuovo mondo.

Immagine: una campagna pubblicitaria dell’Economist; la prima pagina del primo numero della rivista

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