Attualità

7 designer interpretano Sottsass

A cento anni dalla nascita, abbiamo chiesto a 7 creativi under 40 di scegliere un suo oggetto e raccontarci perché è ancora importante.

di Alessandro Mitola

Il 14 settembre 1917 nasceva Ettore Sottsass, uno dei designer più influenti del Novecento. Phaidon ha celebrato il centenario con una riedizione della sua monografia, Adelphi con una raccolta di scritti in gran parte inediti, Per qualcuno può essere lo spazio, a cura di Matteo Codignola (qui potete leggere la sua postfazione), mentre la Triennale di Milano ha ricordato il designer con la mostra There is a Planet che durerà fino all’11 marzo 2018. Anche noi abbiamo pensato a un omaggio (uscito sul numero 32 di Studio, in edicola), chiedendo a 7 designer under 40 di scegliere un oggetto di Sottsass e reinterpretarlo, raccontandoci perché è ancora così importante. Ma la nostra celebrazione non finisce qui: tre di questi designer (Serena Confalonieri, Tommaso Nani e Valerio Sommella) parteciperanno, insieme a Matteo Codignola, a una conversazione dedicata a Sottsass che avrà luogo durante la giornata di Studio in Triennale, il festival di Studio che si terrà sabato 25 novembre, con protagonisti italiani e internazionali del dibattito contemporaneo.

 

Rocchetto, 1955
Serena Confalonieri

Rocchetto - Serena Confalonieri

Sottsass si è sempre definito in primis un architetto e un fotografo. Parlando dei suoi lavori, ha più volte dichiarato che, per questo motivo, in essi si trova sempre qualcosa che abbia a che fare con l’architettura o la città. I quattro pezzi della collezione di ceramiche Bianco e nero disegnati per Bitossi negli anni Cinquanta sono dimostrazione emblematica di questa sua dichiarazione. Ancora più dei suoi Totem, che raccontano forme assolute, morbide e giocose, qui troviamo combinazioni di volumi misurate e forme strutturalmente simili a quelle che vediamo quotidianamente in un qualsiasi paesaggio urbano. Tra esse il vaso Rocchetto ha un ruolo da protagonista. A differenza degli altri tre pezzi, decorati graficamente con linee orizzontali ritmicamente studiate o con semplici alternanze di bianchi e neri, questo vaso porta con sé una decorazione più elaborata, sebbene molto regolare. Il volume principale ospita due differenti pattern: due griglie che ricordano le alternanze di pieni e vuoti delle facciate dei palazzi, finestre di appartamenti illuminati nella notte e vetrate in ferro dal fascino industriale.

 

Kubirolo, 1966-67
Giacomo Moor

Kubirolo - Giacomo Moor

Prodotto nel 1966-67 dall’azienda Poltronova, di cui Sottsass è direttore artistico dal 1958 al 1974, il mobile Kubirolo contiene già le caratteristiche fondamentali di quelli che saranno i pezzi cult degli anni Ottanta con il gruppo Memphis. Cassettiera singola o set di elementi componibili che danno vita a diversi paesaggi, Kubirolo, in legno massiccio verniciato a poro aperto e maniglie in resina melaminica, è un’opera chiave del periodo in cui il grande designer definisce la sua identità, giocando con colori e strutture per creare composizioni che suggeriscono un nuovo modo di interpretare il mobile. Formalismo ed estetica, ma anche adattabilità e funzione, il mobile deve rispondere a delle esigenze o, più semplicemente, stupire. E tuttora, osservando un pezzo di Sottsass, realizzo il ruolo che ha avuto in quello specifico momento storico e che continua ad avere. Progetti visionari e di rottura, più attuali di tanti prodotti di oggi che durano il tempo di una stagione.

 

Valentine, 1969
Cristina Celestino

Valentine - Cristina Celestino

Ho iniziato a occuparmi di design da collezionista, dopo la laurea in Architettura. Tra i primi pezzi che ho acquistato, una macchina da scrivere Olivetti Valentine, non nella classica versione rossa ma bianca. Mi colpì proprio per quel colore “sbagliato” – prima di vederla tra gli scaffali di un piccolo negozio nel centro di Firenze, non sapevo che esistesse in colori diversi dal rosso – e per la bella valigetta con maniglia che la conteneva. Un solo materiale, un solo colore. Nel mio immaginario e nella mia vita questa macchina da scrivere ha sempre avuto un ruolo speciale e non me ne sono mai separata. Mi ricorda come ho iniziato; è il primo prodotto di Sottsass che ho posseduto, e lo ritengo un progetto perfetto: emozionale e ironico, colto e innovativo, funzionale e narrativo. Sottsass osa con il colore, osa con il materiale, osa con il volume, creando un oggetto che, alla fine degli anni Sessanta, riesce a dare nuova linfa a un mercato, quello delle portatili, saturo e in discesa. Una prova estetica ed etica straordinaria, che dimostra che la forza di un buon design, di un oggetto bello, è fondamentale almeno quanto la sua funzione.

 

Carlton, 1981
Chiara Andreatti

Libreria Carlton - Chiara Andreatti

Icona per eccellenza del postmodernismo, di fortissimo spessore simbolico, la Carlton è uno di quegli oggetti che stimola negli occhi di chi la guarda un guizzo e un’emozione dalle vibrazioni primitive, diventando un feticcio di ispirazione indigena ma appartenente a una modernità quasi sfacciata. Della libreria Carlton traspaiono infatti duplici caratteri, un esplicito richiamo al totem, al rito indiano e azteco e a quelle culture primitive tanto care a Sottsass. Il tutto decontestualizzato da un forte lato ludico grazie all’utilizzo di combinazioni cromatiche nuove per l’epoca, presentate in laminato plastico, e da geometrie inclinate prima mai utilizzate. Me la ricordo quando la studiavo durante le ore di Storia del design e, la prima volta che mi è apparsa a casa di un amico, è stato un po’ come vedere materializzata quell’icona “grafica” tanto eclettica e di rottura dei miei anni.

 

Tahiti, 1981
Tommaso Nani

Tahiti - Tommaso Nani

Ogni progetto di Ettore Sottsass costringe (nel senso positivo del termine) a fermarsi e capire. Tutte le volte che ne osservo uno mi sembra di vedere qualcosa di nuovo che, per via di qualche mia lacuna intellettuale o mancanza di esperienza, prima non avevo notato; o semplicemente perché in quel determinato momento non stavo osservando con attenzione. Della Tahiti mi ha sempre affascinato la silhouette: appartiene all’universo delle lampade solo perché ha una luce infilata nel becco, ma non ha nessuna costrizione tipologica che la identifichi come tale. È una meravigliosa prova che dimostra l’importanza dell’immaginazione. Sottsass mette insieme in un piccolo oggetto elementi come il laminato (oltretutto elevandolo a materia nobile), decorazioni consistenti, colori audaci tutti diversi, forme zoomorfe, componendoli in un pensiero vagamente cubista, che riguarda la curiosità e un’idea diversa della composizione, del colore, del linguaggio e di qualsiasi cosa sia codificata e assunta come “vera”. Tutto ciò rende la Tahiti qualcosa che stupisce ogni volta, e che ispira un grande senso di libertà.

 

Callimaco, 1982
Francesco Meda

Callimaco - Francesco Meda copy

La lampada che Ettore Sottsass ha chiamato Callimaco fa riferimento a un poeta dell’età ellenistica che teorizzava la possibilità di nuove formule espressive. Non a caso, perché Sottsass è un rappresentante della corrente d’avanguardia “radical”, che assegnava al designer-artista un nuovo ruolo per superare il concetto di design legato soprattutto alla funzione, ereditato dal Bauhaus. La lampada e il suo contenuto formale sono infatti un atto di contestazione del progetto funzionalista, come si può notare dalla composizione di elementi geometrici classici, la base e la testa coniche, lo stelo cilindrico che richiama la colonna con l’aggiunta però di un “segno” ironico, la maniglia, che oltre a evidenziare la possibilità di spostamento esprime una dimensione critica nei confronti di un arredo “borghese”. Il colore e la sua varietà cromatica sono l’altro forte elemento di rottura in grado di mascherare la funzionalità della lampada alogena a luce indiretta per sorprenderci come se osservassimo un quadro o una scultura. L’eredità che ci lascia è la sua poetica liberatoria.

 

Nuovo Milano, 1987
Valerio Sommella

Nuovo Milano - Valerio Sommella

Tra tutti i progetti di Ettore Sottsass mi fa particolarmente piacere parlare delle posate Nuovo Milano perché nel corso di quest’anno hanno per settimane occupato un posto fisso sulla mia scrivania; le ho analizzate, studiate, soppesate, prese a riferimento nel tentativo di progettare un nuovo set di posate per la stessa Alessi, per cui Sottsass le disegnò nel 1987. Si potrebbe cominciare a raccontare Nuovo Milano (e in particolare il tris forchetta – coltello – cucchiaio) chiedendo a chi legge di immaginare un set di posate, il primo che viene in mente, quello che disegnerebbe un bambino, l’essenza di forchetta, l’archetipo di cucchiaio e coltello. Questa è in sintesi Nuovo Milano: nulla di strano o fuori posto, immediata familiarità. Per raccontarlo meglio occorre però soffermarsi su alcuni dettagli fondamentali come la rotondità dei bordi che rende le posate morbide al tatto e lucenti agli occhi (Sottsass voleva che fossero «levigate come un sasso del mare»), il rapporto tra la larghezza dei manici e quella del collo che rende ogni pezzo elegante ed aggraziato. Un ultimo pensiero va al peso di queste posate, un peso che, come si diceva una volta – e vale ancora oggi –, trasmette solidità e qualità. Di fatto, come mi capita spesso di fronte a esempi di tale qualità e sintesi, Nuovo Milano sono le posate che avrei voluto disegnare io.

 

Dal numero 32 di Studio in edicola