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Puni, il primo whisky italiano

Dal #27 in edicola: siamo stati in Val Venosta, dove da quattro anni si distilla il primo single malt nostrano apprezzato in tutto il mondo.

di Jacopo Grosser e Giovanni Zagni

Sulle antiche porte delle mura di Glorenza, meno di novecento abitanti nell’alta Val Venosta, campeggia un po’ sbiadita l’aquila bicipite degli Asburgo. Glorenza, in tedesco Glurns, si può fregiare del titolo di città dall’inizio del Trecento, e gli abitanti ci tengono a ricordarlo. Poco lontano dalle mura, nella zona industriale del paese, c’è una costruzione perfettamente cubica – ogni spigolo misura tredici metri di lato – opera del rinomato architetto altoatesino Werner Tscholl. Le pareti esterne sono composte da mattoni rossi sfalsati, lasciando spazi vuoti simili a una scacchiera: un elemento architettonico tratto dai fienili locali. Nel seminterrato di questa costruzione dalla solida eleganza, a qualche chilometro dal confine con la Svizzera (a ovest) e a una ventina da quello austriaco (a nord) si distilla da quattro anni il primo whisky italiano. Il nome lo dà un ruscello vicino: Puni.

«Era il 2006 quando abbiamo iniziato a discutere la possibilità di costruire la distilleria», dice Jonas Ebensperger, «e la nostra famiglia ha sempre creduto nel progetto». Suo padre Albrecht, classe 1953, ha fondato all’inizio degli anni Ottanta un’impresa specializzata nella ristrutturazione di edifici antichi, ma la passione per il whisky lo ha poi portato lontano dal business di famiglia. Secondo quanto dice un esperto del settore, l’investimento iniziale nel 2010, quando è cominciata la costruzione della distilleria, è stato di circa 4 milioni di euro. Oggi lavorano a Puni Albrecht, la moglie Daniela, il figlio Jonas e altre tre persone, divise tra lo spazio espositivo e gli uffici.

PUNI Whisky Distillery - The Italian Malt WhiskyPUNI Whisky Distillery

Anche se nella zona l’italiano è perlopiù una seconda lingua, a Puni si sottolinea con grande attenzione che il prodotto è made in Italy. Storicamente, l’Italia è una terra che ha scelto di affogare dispiaceri e fomentare amori ed euforie con l’uva, alla base del vino e della grappa, più che con il cereale della birra e del whisky. Ma da noi si è sviluppata anche una precocissima attenzione verso il single malt, il whisky di malto che proviene da una singola distilleria: negli anni Sessanta i primi pionieri ad attraversare la Scozia distilleria per distilleria, in cerca delle migliori botti nascoste nei magazzini erano perlopiù italiani, come italiani sono stati – e almeno in parte, tuttora sono – i maggiori collezionisti di bottiglie di scotch.

Da circa quindici anni, la nicchia del single malt ha attratto un enorme numero di nuovi estimatori in tutto il mondo. Il mercato italiano da pionieristico è diventato marginale. Per limitarsi allo scotch, il whisky prodotto e imbottigliato in Scozia, le esportazioni sono cresciute dai 264 milioni di litri del 2002 ai 344 del 2014. I produttori si sono trovati impreparati davanti alla domanda, e se in Scozia continuano a spuntare nuove distillerie – quattordici solo dal 2005 a oggi – nel resto del mondo non sono rimasti a guardare. Oltre a Irlanda, Stati Uniti e Giappone, grandi produttori da parecchi decenni, sono nate distillerie ovunque, dalla Svezia all’India, da Taiwan alla Germania. Con ottimi risultati: i whisky non scozzesi hanno iniziato a fare incetta di premi alle fiere specializzate.

puÈ in questo panorama che si è inserita Puni, con una caratteristica importante a distinguerla da molti nuovi produttori europei. Questi, di solito, non sono nati come produttori di whisky, e dunque si sono limitati ad affiancare alla distillazione principale e di più lungo corso, generalmente di frutta, quella di cereali, usando le medesime attrezzature. La famiglia Ebensperger, invece, ha deciso di riprodurre in piccolo una distilleria scozzese. Gli alambicchi sono stati commissionati alla Forsyths, fornitrice di buona parte dell’industria dello scotch. «Era il novembre del 2010 e avevo contattato l’azienda un paio di settimane prima, chiedendo qualche informazione sulla loro attività», racconta Jonas Ebensperger. «Ho ricevuto una risposta molto gentile dal titolare in persona, Richard Forsyths, con un invito ad andare a trovarlo in Scozia. Quando ci siamo incontrati abbiamo scoperto subito che erano entusiasmati quasi come noi dal progetto e, per la maggior parte della riunione, abbiamo parlato solo delle nostre idee e della comune passione per il whisky».

Nel 2012, anno della prima distillazione, Puni ha goduto per sei mesi della consulenza stabile di Harry Cockburn, esperto ex-distillery manager di Bowmore, che ha seguito ogni fase della produzione. L’obiettivo era ottenere un whisky gentile e fruttato, prodotto dalla miscela di tre cereali. Orzo e grano sono tedeschi, ma la segale è locale: proviene tutta da una coltivazione molto antica nelle terre della vicina abbazia di Santa Maria. Gli operatori del settore hanno ben accolto i primi imbottigliamenti messi sul mercato. «Ho assaggiato molti “tre anni” scozzesi», dice Claudio Riva, «e i prodotti di Puni non hanno niente di invidiare». Riva, 48 anni, ha fondato nel marzo 2014 il Whisky Club Italia, un’associazione che oggi ha più di tremila iscritti. «L’unica cosa che può portarti in questo settore è la passione. A Puni stanno lavorando in modo eccellente», aggiunge. Ai World Whisky Awards di Londra, Puni ha vinto nel 2015 un premio per il design delle bottiglie, curato da Christian Zanzotti – che ha lo studio a Monaco di Baviera – e ispirato alla forma degli alambicchi.

PUNI Whisky Distillery

Se si percorre ancora qualche chilometro lungo la strada che attraversa la valle, la storia del primo whisky italiano si intreccia in modo inatteso con il passato bellico di una zona da sempre contesa. Le botti di Puni, infatti, invecchiano in bunker della fine degli anni Trenta, quando Mussolini punteggiò le aree montane di confine con fortificazioni militari. Per lungo tempo rimaste inutilizzate, pochi anni fa gli enti locali a cui erano finite in dote hanno cominciato a venderle o affittarle. Uno dei due bunker in cui si trovano le botti Puni è equamente diviso tra l’area sigillata dalle autorità di controllo, dove invecchia il distillato, e uno spazio trasformato in dépendance da un abitante del luogo, che vive in una villetta a pochi metri di distanza. Le mura spesse tre metri danno all’interno un’aria accogliente, nonostante tutto.

A febbraio 2016, nello stabilimento di Puni è stato distillato solo l’orzo, con lo scopo di produrre il primo single malt. Sono in corso esperimenti per scegliere le botti da utilizzare per l’invecchiamento. «Sono sicuro», dice Jonas Ebensperger, «che nel giro di un paio d’anni il nostro whisky italiano sarà noto in tutto il mondo».

Fotografie della struttura di Puni di Giulia Ticozzi