Attualità

Morte di un orientalista

È scomparso a 84 anni Patrick Seale. Ritratto tra luci e ombre dell'uomo, dello scrittore, del narratore di vite altrui. Una lunga storia che passa per Martin Amis, il clan Assad e 007 doppiogiochisti.

di Anna Momigliano

Di Patrick Seale, un vecchio amico diplomatico ricorda: «Mi ha insegnato a scrivere di ciò che mi appassiona, a metterlo in delle scatole e a preoccuparmi soltanto dopo di come unire i puntini». Un lettore appassionato ha detto: «il suo sesto senso per la natura umana, per ciò che fa delle persone quelle che sono, è senza uguali».

Con un numero imprecisato di libri pubblicati in oltre mezzo secolo di attività, Patrick Seale è stato un grande narratore delle vite altrui, scrittore, saggista, giornalista, mercante d’arte, agente letterario, consulente, amico dei potenti, complottista, conoscitore del mondo e degli uomini, gentleman e mistificatore. Figura controversa, più col senno di poi che nel periodo d’oro della sua produzione letteraria, la sua strada ha incrociato quelle di molti protagonisti di questo secolo, talvolta sovrapponendosi ad esse negli aspetti più intimi – è successo, come racconteremo più in là, con Martin Amis e con la famiglia Assad, il clan regnante della Siria. Forse più d’ogni altra cosa, Patrick Seale (1930 – 2014) è stato un orientalista, in tutte le accezioni negative e positive del termine.

Patrick Seale è nato a Belfast, nell’Irlanda del Nord, da padre russo e madre tunisina di origini italiane, ma ha trascorso i primi quindici anni della sua vita a Damasco, in Siria, dove i genitori lavoravano per la missione presbiteriana. Suo padre Morris era un pastore e teologo di fama internazionale, specializzato nello studio comparato tra Cristianesimo e Islam: nato a Gerusalemme da una famiglia di ebrei russi, si era convertito giovanissmo al protestantesimo cambiando il cognome da “Sigel” a “Seale”.

Erano gli anni del mandato francese, del canto del cigno di un impero sconfitto, di un nazionalismo arabo incipiente ma che sembrava dalla parte vittoriosa della storia: in tutto questo grande fermento, Patrick è letteralmente stregato dal Levante. Rientra in Europa, studia a Oxford, prima al Balliol college poi al St Anthony, dove si specializza in storia mediorientale.

Conosce la Beirut dei ruggenti anni Sessanta, la Beirut della dolce vita, degli intrighi internazionali, della musica, dei rivoluzionari e delle spie.

Più che uno studioso, e diverso dal padre in questo, è un uomo d’azione. Così, poco più che venticinquenne, si trasferisce a Beirut, a quei tempi la Parigi del Medio Oriente, dove scrive per l’agenzia Reuters e per l’Observer. Conosce la Beirut dei ruggenti anni Sessanta, la Beirut della dolce vita, degli intrighi internazionali, della musica, dei rivoluzionari e delle spie. Si fa notare e amare per il suo sense of humour, la sua determinazione e il suo savoir faire. Di quel periodo un altro esperto di cose levantine che viveva lì in quegli anni, ma di una generazione più giovane, Joshua Landis, ricorderà: «Tutte le nostre madri s’erano prese una cotta per lui».

Suo amico e mentore, a quei tempi, una delle figure più affascinanti e oscure di quel milieu: Kim Philby, un agente segreto sotto copertura giornalistica. Formalmente Philby scriveva per l’Observer e l’Economist, in realtà era una spia doppiogiochista, dapprima ingaggiato dall’MI6 e poi passato al Kgb. Scoperto, Philby fuggì a Mosca nel 1963: oltre a lasciare il campo libero a Seale, che diventò così il corrispondente ufficiale dell’Observer, l’evento ispirò ben due suoi libri, Kim Philby: The Spy I Loved, pubblicato nel 1968 e scritto a quattro mani con Eleanor Philby, la moglie dell’agente abbandonata durante la fuga, e Philby: The Long Road to Moscow, del 1973.

Alcune delle cose scritte da Seale si sono perse nel tempo, ma il suo primissimo libro The Struggle for Syria: A study in Post-War Arab Politics, 1945-1958 (prima edizione del 1965, molte successive), gode tuttora di uno status iconico tra chi si occupa di Medio Oriente. Forte di una discreta fama, Seale rientra in Europa, segue il maggio francese e quel che ne consegue, si stabilisce a Londra, dove nel 1971 sposa una bellissima ragazza, molto più giovane di lui, dall’animo tormentato: Lamorna Heath.

Si racconta che Seale abbia detto: «Se assomiglia a Martin Amis, glielo spedisco in una cesta», ma la fonte è Christopher Hitchens

Lamorna, “una bellezza bohémien”, come la ricordano, a un centro punto lo lascia, s’è presa una sbandata per un giovane scrittore, a quei tempi l’astro nascente della scena letteraria londinese, di nome Martin Amis: la loro passione durò poco, ma lasciò Lamorna incinta. Qualche mese dopo, la giovane donna tornò dal marito, che non solo l’accolse ma accettò di crescere il bambino (anzi, la bambina) che ancora doveva nascere come fosse figlio suo. Si racconta che Seale abbia detto: «Se assomiglia ad Amis, glielo spedisco in una cesta», ma la fonte dell’aneddoto è Christopher Hitchens, che chiaramente in questa storia era di parte. Quando nasce una bambina, Delilah, Seale le dà il suo cognome, «si è comportato da assoluto gentiluomo», nelle parole di Lamorna.

Appena due anni dopo, e poco più che ventenne, la donna si toglie la vita. Per anni lui cresce la bambina da solo. Ogni tanto Seale e Amis s’incrociano a qualche party letterario, l’uno sa che l’altro sa e vice versa, ma la cosa finisce lì. I due non parlano mai di Delilah fino al suo diciottesimo compleanno, nel 1996, quando Seale alza il telefono, porta fuori Amis per un drink, racconta tutto alla ragazza e organizza un incontro tra i due, cui però non partecipa, sempre davanti a un drink: «I think we all need a lot of alcohol», fu il commento di Amis. Delilah ha poi raccontato di avere mantenuto ottimi rapporti con ambedue i suoi padri, ma al suo matrimonio ha voluto solo Patrick.

Sette anni dopo la morte di Lamorna, Seale si risposa. Lei è Rana Kabbani, una bellezza siriana, scrittrice, giornalista, figlia di una delle famiglie più in vista di Damasco: suo zio è Nizar Kabbani, uno dei maggiori poeti arabi contemporanei, mentre suo padre, Sabah Kabbani, è stato ambasciatore negli Stati Uniti tra il 1974 e il 1980. A questo punto, pubblico e privato cominciano a intersecarsi, parecchio, e non sempre nel verso giusto.

In quegli anni Seale sta lavorando a quella che sarebbe diventata una delle sue opere più note, la biografia pubblicata nel 1988 di Hafiz al-Assad, il padre-padrone della Siria, nonché padre del tiranno attuale. Il volume – testo affascinante, imponente, inquietante, ma anche zeppo di gravi omissioni: il massacro di Hama, forse il crimine più nefasto del regime, è relegato letteralmente a un paragrafo – è dedicato a Rana Kabbani, che, racconta a Studio, non ne fu affatto onorata: col regime Assad la famiglia Kabbani non aveva un rapporto facile, specie dopo i fatti di Hama, che stando a quanto riporta Rana avrebbero portato a una rottura e al trasferimento di Sabah Kabbani in Indonesia. I due si sono separati per ragioni personali, ma i rapporti sono diventati tesi nel 2005, quando lei è stata bandita dal paese in un giro di vite da parte del regime di Assad figlio, mentre lui avrebbe mantenuto i contatti col clan regnante.

Seale frequenta spesso Assad, impara a conoscerlo da vicino. Il risultato è un ritratto potente, intimo, ma decisamente indulgente

In fase di ricerca, Seale frequenta spesso Assad, impara a conoscerlo da vicino, visita la sua casa, chiacchiera col figlio maggiore, Basil. Il risultato è un ritratto potente, intimo, ma decisamente indulgente di una delle figure storiche più controverse del secolo scorso: l’Hafiz Assad raccontato da Seale è un uomo animato dal desiderio di rivalsa, dall’orgoglio ferito, prima ancora che dalla sete di potere – il senso d’oltraggio nei confronti degli Stati Uniti e dell’Egitto, il rapporto animoso e travagliato col fratello/rivale emergono dal racconto il modo superbo – ma del tiranno, del torturatore, del macellaio di Hama non c’è traccia.

L’avere ripulito, in qualche modo, l’immagine del clan Assad è una delle critiche mosse più spesso a Seale. Secondo alcuni dei suoi detrattori la sua colpa sta nell’essere troppo amico di certi uomini forti del mondo arabo – tra le altre cose, Seale è stato il ghost writer dell’autobiografia del principe saudita Khaled bin Sultan, The Desert Warrior – vuoi per denaro, vuoi per curiosità professionale, vuoi per mera fascinazione.

Altri gli rimproverano una certa propensione alle teorie di complotto – o, meglio, a quel modo di ragionare secondo cui gli effetti collaterali di alcuni crimini dovrebbero puntare automaticamente all’assoluzione di chi è accusato e alla condanna dei suoi nemici. Un esempio: quando ha scritto un’altra delle sue celebri biografie, quella di Abu Nidal, il terrorista palestinese responsabile della morte di molti palestinesi, Seale è giunto alla conclusione che probabilmente fosse un agente del Mossad (altrimenti perché avrebbe ucciso tutti quei palestinesi?). Similmente, Seale aveva dichiarato Basharl al-Assad, figlio di Hafiz, innocente dell’omicidio del leader libanese Rafiq Hariri nel 2005, in virtù dell’isolamento internazionale che ne era seguito – perché avrebbe dovuto uccidere un nemico, quando il prezzo da pagare era così alto?, questo il ragionamento, quasi la storia sia scevra di personaggi che hanno fatto il passo più lungo della gamba.

Altri, poi, l’hanno accusato di “Orientalismo”, nell’accezione che Edward Said, il grande studioso, attribuì al termine: la sua, insomma, sarebbe stata una fascinazione per il Levante che nasce da una prospettiva, tutta europea ed eurocentrica, che farebbe del popolo arabo qualcosa da amare ed apprezzare da un beato senso di superiorità occidentale. In particolare la sua indulgenza nei confronti di certi autocrati, a cominciare dai due Assad, padre e figlio, sarebbe il risultato della convinzione che, beh, il mondo arabo non è pronto per la democrazia

Altri ancora, eppure, gli riconoscono lo status di grande conoscitore ed estimatore del mondo arabo.

Forse le due cose non sono mutualmente esclusive. O, meglio, non del tutto. Forse Seale apparteneva a una generazione di osservatori e pensatori che, per ragioni storiche e anagrafiche, sta ora scomparendo. Come nota un giovane giornalista arabo, Faisal Al Yafai: Seale, che ha assistito al Mandato Francese, ha cominciato a credere quello che anche una generazione di arabi ha creduto: che i popoli del Medio Oriente non avessero controllo sul proprio destino. Ma mentre questo è stato talvolta vero nel passato, lo è stato molto meno dal 2011 in poi.

Tra gli obituary di Patrick Seale, segnaliamo: Le Monde, Financial Times e Guardian
 

Nell’immagine: dettaglio da Philby: The Long Road to Moscow (1973)