Hype ↓
10:47 sabato 12 luglio 2025
I Talebani hanno fatto un assurdo video promozionale per invitare i turisti americani a fare le vacanze in Afghanistan Il video con la sua surreale ironia su ostaggi rapiti e kalashnikov, mira a proporre il paese come meta di un “turismo avventuroso”.
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.
Damon Albarn ha ammesso che la guerra del Britpop alla fine l’hanno vinta gli Oasis Il frontman dei Blur concede la vittoria agli storici rivali ai fratelli Gallagher nell’estate della loro reunion.
La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.
La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.

Italiani di New York

21 Agosto 2011

Maurizio Molinari, corrispondente a New York per La Stampa, ha pubblicato in giugno per Laterza il saggio/reportage Italiani di New York. Questa intervista è stata condotta in preparazione del commento/recensione/conversazione pubblicato sul numero 3 di Studio.

Maurizio, tu scrivi dell’ “energia con cui gli italiani di New York dibattono la loro identità.” Eppure quello che mi ha colpito, avendo spesso a che fare con italo-americani di terza generazione in altre città del Nord-Est (Filadelfia, Princeton, New Brunswick…) è proprio il loro interesse relativamente basso per le loro origini, se paragonato ad altri gruppi (ebrei, irlandesi, afroamericani). Condividi questa impressione? Che cosa distingue gli italiani di New York dagli altri italiani d’America?

New York è una città che esalta le identità etniche. La sua energia nasce dalla convergenza fra singoli patrimoni culturali e gli italiani non fanno eccezione. Il fatto di essere una metropoli dove più del 50 per cento dei residenti è nato altrove spiega perché New York è il luogo dove essere americani significa possedere più identità. In altre regioni e città, dove a prevalere invece è l’identità bianca, anglosassone e protestante, le minoranze tendono verso l’assimilazione. Ma New York non è affatto un’eccezione: dalla California alla Florida sono molte le metropoli dove gli italiani sono protagonisti del mosaico etnico al pari di ogni altro gruppo.

Rimanendo sempre sul tema dell’assimilazione, tu la riassumi con la storia dei “Giuseppe Verdi che diventano Joe Green.” Quanto ha contato -o, meglio, non ha contato – la lingua nel plasmare l’identità degli italiani di New York?

La lingua è portatrice di una contraddizione: da un lato l’italiano è l’elemento distintivo dell’identità di milioni di famiglie ma dall’altro queste famiglie in realtà parlano dialetti, regionali, cittadini, di singoli paesi. Per “italiano” molte generazioni hanno inteso i propri dialetti. Il risultato è che le nuove generazioni di italoamericani hanno scoperto per la prima volta la lingua di Dante sui banchi di scuola. E spesso a insegnargliela sono stati dei docenti americani. Per questo le comunità di emigrati chiedono ai governi italiani un maggiore impegno finanziario nel sostenere l’insegnamento della lingua nazionale nelle scuole pubbliche, a New York come altrove. La difficoltà di impossessarsi della lingua italiana ha avuto come conseguenza una maggiore importanza per il cibo.

Infatti a un certo punto scrivi che “conta più il cibo della lingua,” che esso è la vera base di una “memoria collettiva di una popolazione di immigrati che sul territorio si è frammentata.” Come mai?

Perché il cibo è ciò che collega le singole famiglie al luogo di origine. Il cibo è napoletano, calabrese, romano, milanese, trentino, veneziano, barese. Contiene un’identità chiara che si è mantenuta in maniera cristallina. Come dimostrano le numerose testimonianze raccolte da poliziotti, manager e ballerine accomunati dall’identificare la loro identità italiana nei cibi mangiati a tavola, molto spesso la domenica a pranzo.

Dedichi un capitolo ai politici italiani di NY, che però non si rivolgono a un bacino elettorale etnicamente definito. Tra tutte le figure che citi, ce n’è una che ti ha colpito più delle altre?

Sicuramente Andrew Cuomo, governatore di New York. E’ italoamericano ma esserlo non lo definisce perché ciò che prevale in lui è l’identità americana. E’ lo stesso equilibrio che Barack Obama ha con l’essere afroamericano. Non è un caso che si parla di Andrew Cuomo come del primo possibile presidente italoamericano. La sua miscela di valori yankee e patrimonio italiano è tanto più significativa quanto il padre Mario, che fu anch’egli governatore di New York, la incarnava con un equilibrio rovesciato, in quanto in lui l’essere italiano prevaleva su tutto il resto.

Raccontando la storia di Arthur Avenue, il quartiere “gioiello” del Bronx che fino all’ultimo ha resistito come roccaforte di italianità ma ora è sempre più terreno di albanesi e messicani, tiri in ballo due questioni calde: la “gentrification” e le identità etniche dei quartieri. Quanto si intersecano questi due fenomeni? Uno è il motore dell’altro?

Arthur Avenue è l’ultima Little Italy di New York ma è assediata da messicani e albanesi, che continuano ad arrivare in gran numero mentre gli italiani vanno progressivamente altrove, spinti da un aumento del reddito e del tenore di vita che li porta a risiedere nei sobborghi di Long Island, Staten Island, Connecticut e New Jersey. La molla di tali spostamenti di popolazione è il reddito. Più si guadagna, più ci si sposta in zone con servizi migliori ai margini della metropoli, lasciando le zone urbane agli ultimi immigrati arrivati. E’ anche per questo che il sindaco Michal Bloomberg da tempo ha smesso di considerare gli italoamericani degli immigrati.

A un certo punto citi una studentessa della Rutgers che dice “l’identità italiana si fonda su tre cose: famiglia, cibo e cattolicesimo.” Onestamente, non è un’italianità da Libro Cuore? Non è che gli italiani si NY sono più “nostalgicamente italiani” degli italiani d’Italia?

E’ una bellissima domanda perché proprio questa è stata la sensazione che ho avuto ascoltando la ragazza. Gli americani quando parlano dei propri valori sono molto genuini, a volte posso apparire addirittura ingenui, ma ciò che conta è che dicono la verità. Li descrivono senza il cinismo degli europei. E questo vale anche per gli americani di origine italiana.

Ti soffermi molto sulla fede cattolica – una fede, esternata, condivisa, corale – come parte integrante dell’identità italiana. E scrivi anche di morale del “give back”, del restituire alla comunità d’origine, come parte di questo sistema di fede e motore dei successi economici degli italo-americani. Parafrasando Weber, non vorrai mica dire che l’etica cattolica è alla base dello spirito capitalista?

Non ti nascondo che incontrare preti e missionari cattolici è stata una delle esperienze più forti, più intense, dovute a questo libro. La dimensione del cattolicesimo degli italiani di New York è molto simile a quella degli evangelici o degli ebrei. Ci sono grande partecipazione, volontariato, attivismo, fede e anche competizione fra i vari gruppi. Ciò che li accomuna è la volontà di “restituire” alla propria comunità o Chiesa almeno parte del benessere ricevuto dall’America. E’ una dinamica che cela valori forti, grande solidarietà e leggi fiscali che favoriscono le donazioni. Sotto tali aspetti si può affermare che il capitalismo americano ha contribuito a rinvigorire il cattolicesimo.

Articoli Suggeriti
Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

Leggi anche ↓
Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.

Odessa ex città aperta

Reportage dalla "capitale del sud" dell'Ucraina, città in cui la guerra ha imposto un dibattito difficile e conflittuale sul passato del Paese, tra il desiderio di liberarsi dai segni dell'imperialismo russo e la paura di abbandonare così una parte della propria storia.

Assediati dai tassisti

Cronaca tragicomica di come non sia possibile sfuggire alla categoria più temuta e detestata del Paese.