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05:40 martedì 23 dicembre 2025
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.
Il ministero della Giustizia americano ha fatto prima sparire e poi ricomparire una foto di Trump con Epstein Il Department of Justice sostiene che tutto è stato fatto per «proteggere delle potenziali vittime di Epstein» ritratte nella foto.
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.

Iran, perché adesso

Non è affatto detto che Israele voglia bombardare Teheran. Ma se attaccherà, lo farà a breve

07 Novembre 2011
Il rifugio antiatomico era una stanza in cemento armato nel seminterrato, ad altezza garage. Daniela, la coinquilina che studiava architettura, lo utilizzava come ripostiglio per accatastare i plastici. Quando le autorità hanno annunciato un’esercitazione antinucleare, le ho chiesto di spostarli ma lei non ha voluto. Le sirene hanno suonato e tutti sono rimasti in salotto perché il rifugio era impraticabile. Nulla di grave, le esercitazioni antinucleari non sono prese molto sul serio in Israele.Questa volta, dicono, è diverso. La settimana scorsa c’è stata una tripla esercitazione “pericolo nucleare, biologico e chimico” nell’area metropolitana di Tel Aviv e pare nel Paese si respiri “una preoccupante frenesia di autodifesa” in vista di un possibile attacco dall’Iran – leggi: una rappresaglia a un possibile attacco israeliano contro le centrali nucleari iraniane. 

Ora, io non vivo più a Tel Aviv, quindi non so se la “frenesia” di cui scriveva Giulio Meotti in prima pagina del Foglio rifletta o meno il mood che si respira in Israele (ho l’impressione che i plastici siano ancora dove stavano, ma posso sbagliarmi). Però so una cosa: se Israele vuole davvero bombardare le centrali iraniane, lo farà adesso.

Questo non significa che Israele attaccherà l’Iran, né che realmente intenda farlo. Esistono valide ragioni per credere che le parola del presidente Shimon Peres – che sabato ha definito un attacco contro Teheran “sempre più probabile” – siano un bluff, che Israele stia alzando il tono per aumentare la pressione internazionale. Che un raid aereo non sia nell’interesse dello Stato ebraico. Troppo rischioso: e se il programma nucleare fosse più avanti di quanto non ci aspettiamo? E se i caccia israeliani non riuscissero a eliminare proprio tutte le centrali? Teheran potrebbe rispondere nel peggiore dei modi.

Si potrebbe obiettare che la Mutual Assured Destruction è un’evenienza che Israele tiene in conto da tempo. Il premio Pulitzer Seymour Hersh, nella sua controversa inchiesta su un possibile programma nucleare segreto israeliano, la chiamava l’“Opzione Sansone”: Gerusalemme sarebbe pronta a lanciare una rappresaglia atomica in grado di cancellare dalle mappe i Paesi arabi, nel caso questi distruggessero Israele – muoia Sansone con tutti i Filistei.

Se abbiano ragione quelli che “gli israeliani mica sono così scemi da rischiare un conflitto nucleare” oppure i Seymour Hersh, si vedrà nel prossimo futuro. Il punto è che se Israele vuole attaccare l’Iran, questo è il momento più adatto.

Perché oggi, non ieri né domani è una faccenda che dipende da fattori molteplici. Il primo, e il più ovvio, è che il programma nucleare iraniano sta progredendo e che martedì l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dovrebbe presentare un dossier che potrebbe sancirne ufficialmente la natura militare. Questo per Israele significa Adesso o Mai Più. Incidentalmente, significa anche potere fare leva sul rapporto dell’Agenzia atomica per ottenere il sostegno, se non altro tacito, da parte delle nazioni occidentali.

Poi c’è la Primavera araba, che ha sconvolto – e con ogni probabilità continuerà a sconvolgere – gli equilibri mediorientali. In particolare dalle rivoluzioni in Egitto e in Tunisia, nonché dai sommovimenti tuttora in corso contro il regime siriano, è emerso come grande collante regionale l’Islam politico sunnita – ossia quella galassia di movimenti che predica un ritorno all’identità islamica forte ma non disdegna la democrazia come mezzo, e che va dai Fratelli musulmani in Egitto all’Akp di Erdogan in Turchia passando per quell’Ennahda che ha appena vinto le elezioni tunisine.

Questo, in breve, significa che l’Iran sta perdendo colpi. Il regime degli ayatollah – sciita, poco amico dei Fratelli musulmani e più antagonista di loro – è sempre più isolato in Medio Oriente. Lo ha spiegato bene lex vicesegretario di Stato americano Martin Indyk su Foreign Policy, ma chi ancora nutrisse dei dubbi può osservare quello che sta accadendo a Damasco, dove il regime sciita e filo-iraniano di Bashar al-Assad è stato abbandonato persino da vecchi sostenitori come la Turchia e Hamas. L’Iran è solo, ed è debole. Al contrario Israele (come fa notare l’ultimo numero di Limes in edicola dal 3 novembre) è solo ma più forte, perché sa bene sfruttare le debolezze dei suoi nemici. Se non ora, quando?

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