Attualità

Imperatore della copertina

Cento anni dalla nascita di Giulio Einaudi, re dell'editoria, intellettuale imprenditore mente dietro alle copertine più storiche d'Italia, i Coralli.

di Michele Masneri

È stato sicuramente il nostro editore più designer, più stilista, come un Castiglioni o un Armani. Cadeva quest’anno il centenario della nascita di Giulio Einaudi, e una mostra lo celebra un po’ in sordina nella dépendance di palazzo Reale, a Milano, nella piazzetta Reale che guarda sul Duomo. Qui, in stanzette tutte bianche e un po’ spoglie, la mostra, che arriva dall’Istituto di Cultura di New York, espone soprattutto le opere, cioè poi i libri, e tra questi la sua creazione più celebre, come forse la baguette di Fendi o il rosso per Valentino: i Coralli, la collana nata nel 1947 e chiusa nel 1996 (rispettivamente con É stato così di Natalia Ginzburg e nel 1976 con L’incendio del Regio di Mario Lattes, il numero 312); e le copertine sono tutte appese come quadri, negli stessi giorni in cui a Valentino la londinese Somerset House dedica un’antologica. Qui, invece, la genesi della collana più “cool” dell’editoria italiana: e la mostra si sofferma poco sugli autori e più sui decoratori; spiega che «la soluzione cartotecnica adottata raggiunge un valido equilibrio tra fantasia e razionalità. Il progetto grafico è di Max Huber», genio elvetico poi milanese del design, autore infatti di molte identità modiste (marchio Rinascente, marchio Borsalino) e inserito nel boom grafico della Milano del dopoguerra già in bellissima mostra al Triennale Design Museum.

I Coralli fin da subito si impongono nel prêt à porter libresco come soluzione economica e che va bene sempre, per il giorno e per la sera, anche per la signora che lavora: via la sovracoperta (cara) che rimane prerogativa dei Supercoralli (l’haute couture del Gruppo) ma una brossura ingentilita da “cartoncino Murillo avorio incollato a mano” con riproduzioni d’artista; era stato Attilio Bertolucci, professore di liceo di Giulio Bollati, numero due della casa editrice, a suggerire la grande pittura dell’epoca in accoppiamenti giudiziosi: Van Gogh per Pavese, Klee per Calvino, Picasso per Hemingway. In questa prima serie dei Coralli, poi, un tocco che li rende preziosi. Come nel Gronchi (presidente della Repubblica come il papà di Einaudi) Rosa, qui c’è il dettaglio da collezionista, con lo struzzo, emblema della casa fin dalla fondazione, qui ri-disegnato da Guttuso con il collo che per la prima e unica volta volge a sinistra, giusto per “impregnarlo di forte contenuto ideologico”, spiegano solerti didascalie.

Poi in copertina, sotto, allineati a sinistra, autore e titolo dell’opera, e più in basso la dicitura Einaudi «in colore bruno intenso così come il dorso della coperta»; l’estetica insomma è naturalmente fondamentale per il brand che a sua volta si riflette pienamente con il suo proprietario e testimonial: accanto ai libri (Coralli di seconda e terza e quarta generazione, e Nuovo Politecnico, e Maestri Contemporanei ) c’è un’opera celebrativa (Gli occhiali di Einaudi, di Giulio Paolini) e foto di Einaudi stesso, bellone, in due fasi, una giovanile, telefoni bianchi, languido bianco e nero, l’altra renard argenté a colori, con enfatizzazione dell’occhio azzurro. Einaudi ha avuto tratti in comune con un altro grande editore italiano, Giangiacomo Feltrinelli, cui lo legavano un’ascendenza aristocratica e alto-borghese, e con altri grandi imprenditori dai capelli candidi e da esistenze epiche: Gianni Agnelli e il cognato editore – ma di quotidiani – Carlo Caracciolo (e quanto materiale per fiction una volta tanto divertente su questi last tycoon invece di don Matteo e commissari insulari). Tutti e tre con caratteri simili: la vanità, il tratto artistico, il decisionismo; il bel gesto, alcuni dannunzianesimi. Anche qualche bêtise che, balzachianamente, non può mancare alla cultura del fare, come si direbbe oggi; Einaudi è in un certo senso un self made man; seppur figlio di futuro presidente della Repubblica. Fonda la casa editrice a 21 anni, nel 1933, intorno a un nucleo di intellettuali come Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Cesare Pavese; tutti studenti del d’Azeglio, dove studia anche Agnelli, però con meno profitto.

Similitudini: «È l’uomo più intelligente che abbia mai conosciuto. Un genio. Un capitalista di tipo speciale. Non accumula profitti. Accumula qualcosa di più importante, di più duraturo. Il prestigio». Lo dice, nel (bellissimo) memoir di Ernesto Ferrero sulla vita all’Einaudi, I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli, 2005), Giulio Bollati, alter ego mobbizzato dell’editore carismatico, poi transfuga, fondatore di Bollati Boringhieri. E qui, storia e concorrenza anche di grafiche e marchi: condannato e contagiato all’eccellenza grafica, Bollati Boringhieri pubblicherà tutto Freud e Jung nelle copertine op-art di Enzo Mari imprescindibili. Allo struzzo che Spiritus durissima coquit (lo spirito digerisce le cose più dure; riferimento al fascismo, emblema tratto dal Dialogo delle imprese militari et amorose di Monsignor Paolo Giovio, vescovo di Nocera, 1574) B.B. contrappone il celum stellatum, incisione quattrocentesca che suggerisce pluralità di astri come molteplici saperi, pluralità alla quale la nuova casa editrice si attiene dai suoi inizi.

«Gli innamoramenti dell’Editore – fulminei, imprevedibili, com’è proprio delle vere passioni – ci facevano soffrire» (sempre Ernesto Ferrero); «sembrava essersi formato alla scuola degli antichi strateghi cinesi: le diversioni, le false ritirate, i fulminei attacchi frontali, le pause e le riprese scattavano sempre inaspettati». Altri tratti più da grande imprenditore che non da intellettuale. «Il suo lessico aveva un’estensione modesta, esattamente quella che gli serviva per trasmettere messaggi diretti, quasi elementari. Non usava sinonimi, eufemismi, accrescitivi, diminutivi. Credeva che onirico volesse dire erotico. Noi ne approfittavamo per far passare qualche romanzo nelle riunioni, dicendo “Ha una bella atmosfera onirica”; A quella parola l’editore sobbalzava e faceva un piccolo sorriso di complicità maschile. Diceva anche controriproducente».

Il tratto grande-borghese, sprezzante, che crea sofferenze e genera strofe negli intellettuali dipendenti. Destino di ogni editore. Per Feltrinelli era Mario Soldati, che sfotteva feste molto democratiche in feudo della famiglia, a Villadeati, nel Monferrato, non lontano dai poderi di Dogliani dove ancora oggi gli Einaudi producono Barolo e Moscato d’Asti. “Ingenui villici/ di Villadeati/ i feudatari/ sono tornati/ tergete il ciglio/ slungate il passo/ che parla bene/ chi parla basso”. Per Einaudi invece era Franco Fortini, e il tema era simile seppur con differente metrica: «Stanco per quarant’anni di antifascismo eguale/sale Einaudi la Humber, chiede fuoco all’autista./Fa scattare Bollati l’accendino d’argento/poi i titoli nuovi sottopone una lista/Programma editoriale se il mercato va male/ Titoli ormai di Stato. Interesse normale». Bollati la prendeva malissimo, Einaudi si divertiva molto.

Einaudi aveva la passione per l’arte («in casa editrice, qualche Fontana, un Twombly») ma soprattutto il gusto per un certo minimalismo, che si sarebbe poi trasmesso alle copertine dei Coralli ma anche nei Nuovi e nei Super Coralli e dagli Struzzi e dal Nuovo Politecnico, in tutte le linee di prêt à porter e alta moda della casa. La sede di «al 6 di via Brera, sale spaziose, poche sedie di Marcel Breuer, la lampada Arco di Castiglioni, moquette color tortora». E le lampade, sempre Castiglioni, Diabolo, in tutti i candidi punti Einaudi d’Italia. Il «suo ghigno di disapprovazione quando entrava in certe case di amici: troppe cose, troppi oggetti affastellati. Il sovraffollamento era per lui un errore grave», sempre Ferrero ne I migliori anni della nostra vita. «La sua caratteristica peculiare? La femminilità», secondo Goffredo Parise. Di sicuro il minimalismo aveva un retroterra di sobrietà molto torinese. Il padre Luigi sarà il primo presidente della Repubblica, economista liberale ma soprattutto economo: disse d’aver sposato donna Ida Pellegrini, veronese, perché la sapeva parsimoniosa. E naturalmente c’è il famoso episodio, raccontato da Indro Montanelli, e sempre citato. Invitato al Quirinale, il pranzo consistette in «prosciutto e melone, consommé, branzino lesso. Alla frutta, Einaudi prese dalla fruttiera una mela, e chiese “Ne vuole mezza?”».

 

Nell’immagine, l’illustrazione di copertina di Morte a Venezia di Thomas Mann