Da anni, da prima dell’insediamento del governo di Alexis Tsipras, di Grecia si parla per motivi economici. Si parla di default, di crisi, di uscita dall’Euro. Di disoccupazione, emigrazione, austerity, proteste, ultimatum. Come quello che in queste ore tiene il mondo col fiato sospeso. Per molti italiani, però, la Grecia è qualcosa di più. Un Paese vicino, forse il più vicino, sentimentalmente, tra tutti i paesi europei. Abbiamo chiesto a un po’ di giornalisti, scrittori e collaboratori di Studio un aneddoto, per creare uno spettro del rapporto che ci lega, da italiani, alla Grecia.
Cristiano de Majo —
Quando sento che la Grecia è la culla dell’Occidente, più che pensare agli antichi, mi torna in mente l’estate del ’92 a Mykonos. La Grecia, prima ancora della classica Londra, è stata per me il primo spazio del turismo globalizzato: le discoteche, la musica house, i tramonti passati a ballare a Paradise Beach, i corpi pigiati nelle stradine del centro alle tre di notte: The Beach è ambientato in Thailandia, ma in fondo racconta anche quella Grecia. Poi siamo cresciuti e siamo tornati in Grecia altri cinque o dieci volte, con un altro spirito, magari in cerca delle proverbiali spiagge deserte e di quel senso selvaggio d’estate così difficile da ritrovare in Italia o, per motivi diversi, in Croazia. Non più a Mykonos, ma forse a Skópelos o a Thassos, più agevolmente a Itaca. Una vacanza in Grecia per ogni fondamentale passaggio della vita. Pensandoci mi viene da dire che forse il culto che ho per questo Paese ha anche una spiegazione sociologica: la Grecia mi sembra l’unico posto in Europa dove l’italiano corre un bassissimo rischio di fare il provinciale. È il motivo per cui il copione macchiettistico di film come Che ne sarà di noi di Giovanni Veronesi o Mediterraneo di Gabriele Salvatores – l’idea che un italiano finisca per fare l’italiano a qualunque latitudine e a qualunque costo, e anzi più è lontano dal suolo natio più accentua i caratteri nazionali – applicata in Grecia funziona male. Ed è lo stesso motivo, sono portato a pensare, per cui i Vanzina non hanno mai ambientato in Grecia nessuna delle loro vacanze. Forse è proprio l’autentica Europa.
Francesco Longo — È una domenica di ottobre e lei già si organizza: «Quest’estate vado in Grecia con Giovanna». Nel 1991 la Grecia è ancora solo meta di vacanze, relax, luogo per tradimenti. Il tormentone estivo si chiama Rapput, lo canta Claudio Bisio e finisce primo in classifica. Racconta di due ragazze che vanno in Grecia e del fidanzato che resta a casa. Al ritorno è impossibile non pensare male. Ma lei nega: «Eravamo solamente io e Giovanna sopra un’isola deserta tipo c’hai presente due chilometri di spiaggia vuota, dormivamo in un capanno in riva al mare e alla sera i pescatori ci portavano del pesce, facevamo le grigliate sulla spiaggia e cantavamo a squarciagola le canzoni di Battisti fino all’alba, tanto l’isola è deserta». In migliaia, al rientro, restituiscono lo stesso scenario idilliaco. Lui vuole una cosa sola: «Dimmi cosa hai fatto con il greco sulla spiaggia». Caldo, libertà, grigliate sulla riva, spiagge incontaminate, innocenti avventure sotto al sole. Chi non va in Grecia è preda della gelosia. A fine anno è il singolo più venduto in Italia. Nel sequel della canzone, Sapore di pinne, il punto di vista è dei pescatori. Dopo mesi in mare si sono fiondati sulla spiaggia piena di italiane. Si affaccia anche Giovanna, la voce è di Angela Finocchiaro. Prende le difese dell’amica: l’ha vista fare solo shiatsu. L’immaginario della Grecia è completo, senza ombre. Un paradiso perduto, un altrove esotico a portata di traghetto. In Grecia tutto è lecito, ma guai a non andarci in vacanza.
Davide Coppo —
Tendo ad avere un immaginario banale e romantico dell’estate: le due parole che istintivamente, come in uno di quei giochini psicologici, associo all’estate sono “Grecia” e “Mondiali”. Forse la prima non è “Grecia” ma è “mare”, a pensarci bene, ma il primo mare a cui penso è quello greco, o è un mare che, come una sorta di archetipo, rappresenta il modello basilare di tutti i mari greci. Poi, i Mondiali: per questa strana parentela affettiva greco-italiana mi è capitato spesso di trovarmi davanti alla tv a tifare per la Grecia. Un po’, anche, per quell’amico che aveva lasciato l’Italia per insegnare laggiù; un po’ per le vacanze da adolescenti; un po’ per quella legacy mediterranea da ultimi della classe.
Durante l’estate del 2014, con l’Italia eliminata ai gironi, ho dovuto scegliere le squadre da tifare. È stato semplice: a parte la Germania, a un certo punto del torneo erano rimaste quasi soltanto Nazionali, per un motivo o per l’altro, molto simpatiche. La Colombia (perché quell’amico che andò in Grecia, poi, si trasferì in Colombia); il Cile (per una fidanzata cilena); la Costa Rica (perché, beh, è la Costa Rica: non hanno un esercito e si salutano dicendo «pura vida»); l’Argentina (perché il Mondiale era in Brasile); naturalmente la Grecia, per tutti i motivi di cui sopra.
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