Attualità

Garzantina d’Italiano

La Garzantina di Luca Serianni, ultimo baluardo di una conoscenza minima dell'italiano in tempi da web

di Francesco Pacifico

I software di scrittura ci hanno fatto dimenticare l’italiano. La lettura dei blog a caccia di informazioni sulle serie tv, l’economia, i dischi, ci ha riempito la testa di termini inglesi (da “swap” fino a “droppare”, passando per “drama queen” e “moneyshot”). La possibilità di postare i nostri commenti sui social network e i nostri pezzi sui blog ha eliminato ogni distanza fra la nostra ignoranza e un nostro testo pubblicato.

Possiamo ancora salvare la lingua italiana dallo scempio che ne stiamo facendo? Forse è troppo tardi, forse la nostra lingua è obsoleta, throwback, vintage, e dobbiamo rinunciarvi. cmq (minuscolo, in tre lettere), se non vogliamo darci per vinti dobbiamo ricominciare dalle basi. Suggerisco di comprare in massa la Garzantina di Italiano del Professor Luca Serianni. Ricordo che prima della banda larga il modo migliore per risolvere un problema era comprare la Garzantina che si occupava della questione. Quella di Economia, quella di Storia, quella di Filosofia, quella di Letteratura. Era bello portarne una a casa, dava sicurezza.

Solo di recente, la questione odiosa dell’accento sulla “o” da mettere o meno sulla prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo dare mi ha spinto a comprare l’opera di Serianni. Ho scoperto che l’accento sulla “o” in “te la dò” è superfluo. E io che pensavo fosse una cosa da raffinati, perché qualcuno mi aveva scritto “te la dò” con l’accento. Quel tipo di accento si chiama “grafico” perché non cambia il suono della parola ma aiuta a distinguerla da un’altra uguale ma di diverso significato. Un caso dove invece è obbligatorio l’accento grafico sembrerà ovvio ad alcuni e una rivelazione per altri: “la signorina la dà” si scrive con l’accento. Per distinguerlo dalla preposizione semplice “da”. Il motivo per cui l’accento non va sulla prima persona (“no te la do”) è che è improbabile che uno possa confondere “do” con la celebre nota musicale. Le note sembrano ininfluenti: anche la nota “la” non causa problemi, ma abbiamo “la” e “là” per distinguere l’articolo femminile dall’avverbio di luogo.

Usando parecchio whatsapp sull’iPhone mi trovo con alcuni amici a stabilire il tacito accordo per cui l’affermazione “sì” può scriversi senza accento. La cosa dipende dalla scomodità del clic lungo sulla “i” che permette la scelta degli accenti. Ma ho anche notato che alcuni amici nati nei tardi anni ottanta insistono a rispondere “si” anche quando scrivono su computer con tastiera italiana. Non va bene.

La Garzantina di italiano ci dà importanti conferme: “io” e “tu” è sempre soggetto, “me” e “te” è oggetto, ma in paragoni di uguaglianza come “fa’ come me” (notare l’apostrofo sbarazzino su “fa’”) si usa “me” anche se è chiaramente soggetto perché sta per “(tu) fa’ come (faccio io)”.

Altre piccolezze importanti nella comunicazione quotidiana: si scrive sia “beh” che “be’” (a quanto ne so io, nell’editoria viene preferito “be’”), ma si scrive solo “boh”, “eh”, “ehi”, “ehm”, “mah!”, “uhm”.

Se invece avete superato le secche della risposta monosillabica e volete riscoprire le possibilità della lingua, la Garzantina vi aiuta a non cadere nella tentazione di inventare il participio passato di verbi come: competere, concernere, dirimere, divergere, esimere, soccombere, splendere. (In questo momento ho in testa il rumore di un megatamponamento dei vari participi passati inesistenti, ma non li elencherò.)

Tip: se “arda” è un congiuntivo ambiguo perché può venire sia da “ardire” che da “ardere”, usa “osare” al posto di “ardire” e “bruciare” al posto di “ardere”.

Tip: “qual è”.

Della Garzantina di Italiano è quasi pronta una nuova edizione. In libreria è esaurita un po’ ovunque, ma sta per tornare e magari ci dirà se “fotine” sia o no il diminutivo di foto (plurale).

Concludo con una questione imbarazzante, di quelle che fanno abbassare la voce quando si parla, sperando che l’ultima vocale non si senta:

“Meno chiara è la distinzione semantica tra fine e fino (femminile singolare fina), e anche tra i grammatici (…) non vi è su questo punto accordo generale. Fino sembrerebbe riferirsi a tutto ciò che è ‘sottile’ e ‘minuto’: “seta fina”, “spago fino” (ma “oro fino” significa ‘oro puro’); in relazione a qualità morali o a facoltà sensoriali, fino significa ‘acuto, che è in grado di cogliere le sfumature più sottili’: “fiuto fino”, “un’intelligenza fina” (si ricorderà il proverbio: “contadino, scarpe grosse cervello fino”). Fine invece, oltre a condividere con fino il significato di ‘sottile’, vale anche ‘raffinato’ e, in relazione a qualità intellettuali, ‘ben educato, che ha un comportamento signorile’.

Preparatevi: la lingua italiana è il nuovo vinile, fra poco faremo tutti gli esperti di differenze tra “fino” e “fine”. LOL.