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French Touch

Perché i francesi sono più interventisti e più slegati dagli interessi americani rispetto agli altri Paesi europei.

29 Settembre 2015

«Colpiremo ovunque è in gioco la nostra sicurezza nazionale». Il commento ufficiale dell’Eliseo all’indomani dei raid aerei contro la Siria rende bene l’idea di come funziona la politica estera francese: un interventismo atipico, lontano dallo schema “ci schieriamo con gli americani o contro gli americani?” cui sono abituate le altre nazioni europee, Italia inclusa, e che si basa piuttosto su una combinazione di dichiarato perseguimento degli interessi nazionali (in altre parole: Realpolitik) e di calcoli di prestigio (la grandeur perduta, e da recuperare). Parigi passa all’azione quando conviene a lei, non ai suoi alleati, e agisce come potenza perché vuole convincere il mondo di essere ancora una potenza.

PSI Maritime Interdiction Exercise "Pacific Shield 07" Day 1

Domenica, in una conferenza stampa ai margini all’Assemblea delle Nazioni unite, Francois Hollande ha annunciato che, per la prima volta, il suo Paese ha lanciato una serie di raid aerei contro l’Isis in Siria. Il presidente francese ha parlato di un attacco contro un campo di addestramento, avvenuto domenica stessa, ma secondo la ricostruzione di Le Monde si tratterebbe di una più ampia serie di azioni, iniziata già il 24 settembre, contro obiettivi a Raqqa, di fatto la capitale dello Stato islamico, e un campo di addestramento nei pressi di Deir ez-Zor. Al di là degli obiettivi colpiti, si tratta di una manovra militare importante, per due ragioni. Primo: la Francia, che pure fa parte della coalizione internazionale contro lo Stato islamico, per non parlare della Nato e dell’Unione europea, ha agito da sola, senza consultarsi con gli alleati (sebbene, ed è già qualcosa, li abbia avvisati). Secondo: è la prima volta che Parigi interviene direttamente in Siria. Da un anno, infatti, l’aviazione francese è impegnata nell’operazione Chammal contro lo Stato islamico, ma finora si era concentrata sulle postazioni irachene del gruppo jihadista, che controlla un territorio tra Siria e Iraq. E lo aveva fatto per una ragione ben precisa: per come la vede Parigi, ogni intervento contro l’Isis in Siria rischia di rafforzare il regime di Bashar al-Assad e dunque è una estrema ratio.

Hollande si è convinto che non poteva più aspettare: troppo alto il rischio di attentati, troppi i profughi

A dire il vero, in Occidente Assad non piace a nessuno, ma altre nazioni, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, stanno lentamente giungendo alla conclusione che il regime siriano sia il male minore,davanti all’avanzare dell’Isis, o se non altro un elemento di cui tenere conto. Per la Francia, però, è diverso: più di ogni altra nazione occidentale, è legata a doppio filo coi Paesi sunniti (Arabia Saudita, Qatar, Egitto) che ormai sono in guerra aperta con il cosiddetto “blocco sciita” (Iran, Iraq, Hezbollah in Libano, i ribelli Huthi in Yemen) di cui il regime siriano è un avamposto. In più, con Assad l’Eliseo ha qualche conto in sospeso, a cominciare dall’assassinio di Rafiq Hariri, braccio destro di Parigi nella regione levantina. Per questo la Francia è stata tra i Paesi europei più scettici davanti all’accordo sul nucleare iraniano: dal suo punto di vista, rafforzare Teheran era rischioso, perché avrebbe messo in difficoltà gli alleati sunniti. Per lo stesso motivo l’Eliseo, che in Iraq è impegnato già da un anno, ha aspettato fino a ora per attaccare anche la Siria: qualsiasi mossa che potrebbe giocare a favore di Assad e dell’Iran va soppesata cento, mille volte.

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Se, alla fine, ha deciso di colpire l’Isis in Siria è perché Hollande si è convinto che non poteva più aspettare: troppo alto il rischio di attacchi islamisti sul suolo francese, troppo pressante e massiccio l’arrivo dei profughi siriani, in fuga dallo Stato islamico e dalle bombe di Assad. «Non riceveremo quattro o cinque milioni di siriani, dunque il problema va risolto all’origine», ha dichiarato il primo ministro Manuel Valls, ospite di Christiane Amanpour sulla Cnn.

Secondo alcuni analisti la priorità è contenere l’Isis per diminuire la sua possibilità di colpire l’Europa: «La decisione è stata soprattutto influenzata dall’attentato, sventato il mese scorso, di un presunto jihadista sul treno Amsterdam-Parigi», scrive Angelique Chrisafis sul Guardian. La Francia ha subìto attentati di ispirazione jihadista a Grenoble lo scorso giugno, Parigi lo scorso gennaio e a Tolosa nel 2012. Attualmente più di mille giovani francesi stanno combattendo in Siria con l’Isis o altri gruppi estremisti e si teme che, una volta rientrati, i miliziani possano continuare la loro guerra santa in patria.

L’Eliseo è intervenuto militarmente in Mali, bombardato la Libia e mandato truppe nella Costa d’Avorio

In politica estera, dunque, la Francia agisce soprattutto per tutelare i propri interessi. Che si tratti di intraprendere una missione militare o di evitarla, di entrare in una coalizione internazionale o di restarne al di fuori, l’approccio è sempre lo stesso: la politica francese è una politica di interesse nazionale e tendenzialmente indipendente da quella degli alleati. Parigi ha deciso di non prendere parte alla guerra in Iraq, nel 2003, perché era convinta che la Francia non ci avrebbe guadagnato nulla: era una guerra degli americani.

Per la stessa ragione, è stata tra i primi a ritirare le truppe dall’Afghanistan, nel 2012: era una guerra della Nato, e i talebani non rappresentavano una minaccia diretta agli interessi francesi. In base allo stesso approccio, l’Eliseo è intervenuto militarmente contro al-Qaeda in Mali (2013), ha bombardato la Libia di Gheddafi (2011), le postazioni dello Stato islamico in Iraq (2014), e ha due volte mandato truppe nella Costa d’Avorio, per difendere un governo alleato (2002 e 2011). Anche adesso, che gli interessi di Parigi e Washington contro l’Isis convergono, l’Eliseo tiene comunque a mettere in chiaro di agire di propria iniziativa: «Il governo francese francese sottolinea che, nonostante faccia parte di una coalizione guidata dagli Usa, decide da solo quale obiettivo colpire e quando», faceva notare Chrisafis sul Guardian.

Non si tratta di essere dunque di essere “interventisti” o “non interventisti” – termini che nel dibattito italiano spesso equivalgono a “filo-americani” o “anti-americani”. Per come la vedono i francesi, nel bene e nel male, è una faccenda completamente diversa. «Non siamo affatto i pacifisti che voi pensate», scriveva qualche tempo fa il politologo Jean-Michel Blanquer, rivolto a un pubblico statunitense. Fatti alla mano, sostiene, «la Francia è uno dei Paesi occidentali più incline a intervenire militarmente in una nazione straniera». La differenza sta nel fatto che interviene di testa sua, e solo quando le conviene.

Nelle immagini: esercitazioni della Marina francese (Koichi Kamoshida per Getty Images)
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