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Agenda Qatar

La rete globale di potere e di influenza dello sceicco è la dimostrazione che i petroldollari contano di più se si ha una strategia, dalla Francia a Milano.

di Michele Masneri

L’emiro del Qatar è un uomo povero. L’uomo che sta comprando tutto il mondo è solo ottavo tra i regnanti più ricchi del mondo; Sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani of Qatar, sovrano assoluto dell’Emirato mediorientale, può contare infatti su una ricchezza personale di “soli” 2,4 miliardi di dollari, che lo colloca molto distante dal sultano del Brunei (20 miliardi) o anche dal vicino Emiro di Dubai (4,5 miliardi); ma il dato finanziario è solo un ingrediente di un formidabile impasto di potere economico, politico, culturale, che si sta affermando sempre più con una legittimazione internazionale che gli emiri suoi vicini possono solo sognarsi.

L’Emiro è salito al potere nel 1995 con un colpo di palazzo incruento, mentre il padre regnante era in Svizzera; la sua dinastia, quella degli al-Thani, è la più importante del Paese almeno dal Settecento.

Certo, il denaro conta. E se l’Emiro è povero, l’Emirato è molto ma molto ricco. Essendo una monarchia assoluta, non si distingue tra patrimonio della corona e Pil nazionale, che è impressionante, di 181 miliardi di dollari, e cresce al 18,8 % annuo, una velocità che surclassa la Cina ormai in crisi e i vari Brics. Il tesoro di casa poi rimane il gas: l’Emirato possiede infatti il 13% di tutte le riserve mondiali; e la popolazione di 1,7 milioni di persone vanta il reddito pro-capite più alto del mondo, 102 mila dollari – ma anche qui i dati ufficiali rischiano di essere fuorvianti, perché calcolati sui residenti, che sono al 90% lavoratori asiatici immigrati, mentre i cittadini veri sono circa 300 mila, quindi il dato reale rischia di essere molto, molto più interessante.

L’Emiro è salito al potere nel 1995 con un colpo di palazzo incruento, mentre il padre regnante era in Svizzera; la sua dinastia, quella degli al-Thani, è la più importante del Paese almeno dal Settecento. Di lui esistono solo agiografie ufficiali e pochissime notizie: si sa che è nato nel 1952, che ha studiato all’accademia militare di Sandhurst (dove da sempre apprendono la guerra i figli di casa reale britannica, e un po’ per imitazione le monarchie del Golfo e quelle minori d’Europa: Brunei, Bahrein, Arabia Saudita, Lichtenstein, Lussemburgo). Il più grande successo di Hamad bin Khalifa è di sicuro la reinvenzione dell’Emirato, veicolata oggi tramite un piano “Qatar National Vision 2030”, che ha un po’ applicato un principio da decolonizzazione al patrimonio nazionale: razionalizzazione delle risorse e freno al loro sfruttamento, considerandole patrimonio anche delle generazioni future.

Ma la sua principale diversificazione riguarda la famiglia: ritagliandosi un ruolo di padre nobile, l’Emiro regna ma non governa, e ha suddiviso i ruoli della dinastia in maniera pragmatica, in modo che ognuno irradi nel mondo un po’ di quel potere che il Qatar sta cominciando a mostrare. Il soft power sportivo è affidato all’erede al trono, il principe Tamim bin Hamad al-Thani; l’arte all’altra figlia Mayassa; la beneficienza e il glamour alla moglie Mozah bint Nasser al-Missned.

Primo ministro e uomo forte del regime è invece un cugino di secondo grado, Hamad bin Jassim bin Jaber bin Muhammad al-Thani, che è anche ministro degli Esteri e amministratore delegato della Qatar Investment Agency (Qia), il braccio armato dell’Emirato, fondo sovrano con potenza di shopping da 100 miliardi di dollari annui. Con la Qia si esprime il primo livello della legittimazione internazionale del Qatar: quello dell’acquisto di “trophy asset”, pezzi di business di grande visibilità, con particolare attenzione a Gran Bretagna, Francia e Italia, diverse declinazioni ma sempre con un occhio di riguardo a pezzi pregiati nel settore immobiliare.

 

In Gran Bretagna

Nella Londra della rincorsa immobiliare infinita e dei prezzi nuovamente alle stelle, gli al-Thani erano in prima fila insieme ai duchi di York e al sindaco Boris Johnson, ai primi di luglio, all’inaugurazione dello Shard, la scheggia disegnata da Renzo Piano, di loro proprietà. Un immobile simbolico che si aggiunge a quelli già acquistati negli anni scorsi. A partire da Harrods, forse il più importante trofeo londinese (non casualmente preda ambita di dinastie arabe sempre in cerca di legittimazione; e in questo caso il passaggio dai Fayed, prima invisi a Buckingham Palace, poi proprio indesiderabili, agli al-Thani, è rilevante). Poi il nuovo villaggio olimpico, e poi ancora le nuove urbanizzazioni delle ex caserme di Chelsea Barracks, e ancora One Hyde Park, e Neo Bankside, proprio accanto alla ri-amplianda Tate Modern. Tra gli investimenti non immobiliari ci sono invece una partecipazione nella Borsa di Londra (il 15%) e nei supermercati Sainsbury’s (il 30%).

 

In Francia

L’Emiro vantava un ottimo rapporto con Nicolas Sarkozy, che l’ha ricevuto come primo ospite di stato, nel 2007, a nemmeno tre settimane dalla sua elezione, ma il rapporto con la Francia è più antico.

Anche in Francia si mischiano quote strategiche di colossi industriali con palazzi storici: gli al-Thani sono presenti nel gruppo Lagardère (media, aerospaziale), con il 5 per cento, in Suez Environment (energia, ambiente, 2,98 %), ma hanno acquistato alberghi leggendari come il Royal Monceau, La fermière de Cannes, il Majestic Kléber. La proprietà forse più celebre è però l’Hôtel Lambert sull’Île Saint Louis, acquistato nel 2007 dai Rothschild e luogo di leggendari party almeno proustiani. Le partecipazioni in terra francese sono stimate in 4,5 miliardi di dollari, ma anche qui sono in realtà molto più rilevanti, soprattutto se si considerano i massicci acquisti di titoli del debito pubblico. L’Emiro vantava un ottimo rapporto con Nicolas Sarkozy, che l’ha ricevuto come primo ospite di stato, nel 2007, a nemmeno tre settimane dalla sua elezione, ma il rapporto con la Francia è più antico: negli anni Novanta vi era perfino una convenzione che esonerava i residenti catari sul territorio nazionale dal pagamento delle imposte sui redditi. A tante attenzioni il Qatar ha risposto con accortezza e sensibilità politica, considerando anche il nazionalismo francese, che spesso ha portato critiche alla “invasione” dei capitali del Golfo (polemiche sulla ristrutturazione dell’Hôtel Lambert, “impresentabilità” del regime mediorientale, monarchia assoluta con problemi di diritti umani e del lavoro); per esempio con un piano, lanciato quest’anno, di aiuti per le periferie francesi, destinando 50 milioni di euro a micro-crediti per giovani imprenditori delle aree disagiate delle città.

 

In Italia

L’Emiro viene ricevuto con grande cortesia sia al Quirinale che a Palazzo Chigi: ha ottenuto l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana dal presidente Ciampi nel 2007, e recentemente ha avuto incontri molto cordiali con Mario Monti. Innanzitutto c’è l’interscambio: nel 2011 l’import dal Qatar verso l’Italia è stato di due miliardi di euro, con il gas che la fa da padrone (1,68 miliardi) mentre l’export ha ampi margini di crescita, essendo fermo a solo 765 milioni di euro. Si spera poi molto sulle infrastrutture, anche perché nelle intenzioni dell’Emiro, nei prossimi dieci anni verranno investiti circa 35 miliardi di dollari in strade, metropolitane, ponti. Ferrovie dello Stato, per esempio, insieme a Impregilo, è in gara per l’appalto della futuristica metropolitana di Doha.

Già azionista dell’Eni, l’operazione però più clamorosa in ordine di tempo è stato l’acquisto di Valentino Fashion Group, la maison fondata dal sarto di Voghera.

E poi, anche qui, lo shopping: in Italia, soprattutto con la grande crisi, l’Emiro è il jolly a cui tutti aspirano. Gli hanno offerto di tutto, tranne il Colosseo, e ogni volta che Sua Altezza mette piede a Fiumicino i gossip si rincorrono: l’ultima in ordine di tempo è stata La7, la televisione di Telecom Italia che – si disse – era pronta a passare nelle mani della famiglia, ideale joint venture con al-Jazeera, protettorato della famiglia dal 1996. E poi Snam, e Fincantieri, e prima ancora la As Roma (e quest’ultima sarebbe una storia a sé: basta una lettera-precompilata che ai tempi i tifosi scaricavano e mandavano all’Emiro, col testo prestampato sul sito: “H.M., we know that You love the history of Rome, Rome and football. It would be great if you take into consideration the idea to buy our football team: AS Roma thank you very much”). Il sindaco Alemanno ha cercato inoltre di far entrare l’Emiro in un parco a tema dell’Appia Antica, investimento da 600 milioni di euro; l’Emiro solitamente non conferma e non smentisce, ma poi fa i suoi affari, molto mirati: già azionista dell’Eni, l’operazione però più clamorosa in ordine di tempo è stato l’acquisto di Valentino Fashion Group, la maison fondata dal “sarto cesareo” di Voghera, passata più volte di mano negli ultimi anni e infine conquistata a luglio dall’emirato per 700 milioni di euro. Prima, poi, ancora un altro investimento ambizioso anche a livello simbolico: l’acquisto, sempre per 700 milioni di euro,  del Consorzio Costa Smeralda. A passare di  mano strutture-simbolo come il Cala di Volpe, il Pitrizza, il Romazzino e il Cervo, insieme alla marina di Porto Cervo (che ospita lo Yacht Club Costa Smeralda), il cantiere Porto Cervo, e il Pevero Golf Club, insomma tutti i simboli di quella colata di cemento intelligente che negli anni Sessanta avevano trasformato la più povera isola italiana nella più povera isola italiana con Yacht Club e commissione architettonica. Passaggio di consegne (con intermezzo del finanziere Tom Barrack) anche tra due principi arabi, l’ismailita Aga Khan e il wahabita al-Thani. Tra gli acquisti balneari dell’Emiro, altra storia a sé sarebbe l’acquisto, passato inosservato, di un altro luogo molto significativo: l’isola di Oxia, 500 ettari di terreno proprio accanto a Itaca, nell’Egeo, da tempo in vendita, complice anche la nuova Imu del governo greco. Luogo importante per gli islamici: proprio Oxia, nell’arcipelago delle Corzolari (le antiche Echinadi) fu teatro della Battaglia di Lepanto (1571), in cui la flotta ottomana, guidata dal romano Marcantonio Colonna, veniva sconfitta dagli europei. Ma oggi non è più tempo, decisamente, di guerre di religione. La stessa chiesa ortodossa greca si è rivolta all’Emiro, recentemente, per cedere alcune sue proprietà, non essendo più in grado di far fronte alle imposte sugli immobili.

 

Realpolitik nel Golfo

Altre partecipazioni degli al-Thani riguardano le banche (Credit Suisse), l’auto (Volkswagen-Porsche), il lusso (Lvmh) e il cinema (Miramax). Ma il secondo livello di potere degli al-Thani è quello politico. Il premier Hamad bin Jassim bin Jaber bin Muhammad al-Thani, che è anche responsabile degli Esteri, è il titolare di una diplomazia che negli ultimi tempi ha visto un cambio di segno notevole. La cifra dell’Emirato fino a qualche anno fa era quella del più classico realismo: da una parte, una “special relationship” con gli Stati Uniti, certificata dalla presenza di una grande base americana sul territorio; dall’altra, ottimi rapporti con l’Iran e con le frange estremiste di Hamas e Hezbollah. Poi invece, ultimamente, una nuova leadership più pronunciata nella Primavera araba: sostegno all’opposizione siriana; e ruolo molto esplicito (con alzata in volo di aerei da caccia Mirage e invio di truppe di terra) nell’abbattimento del regime di Gheddafi. Una politica che, secondo diversi osservatori, è stata per anni simile a quella turca, una “zero problem foreign policy” con l’unico obiettivo di guadagnare influenza nella regione con ruoli di mediatore (come nel conflitto libanese del 2008) e ricerca di alleanze molteplici (stando attenti a non scomodare i sauditi a Riyadh); ma con il rovesciamento del regime libico ha conosciuto uno scatto in avanti. C’è chi teme che l’obiettivo degli al-Thani sia di installare un grande ritorno islamico in Medioriente. Ma i più ritengono invece che l’emirato stia solo riempiendo un vuoto di potere locale, ponendosi nel frattempo senza complessi come micro-potenza con ambizioni globali (ambizioni peraltro pragmatiche, non ideologiche).

 

Lo sport

Altro hobby conosciuto, le auto: tutte turchesi, che nel mondo islamico porta bene, sono spesso avvistate (e multate) nel centro di Londra.

Il terzo livello è rappresentato dal calcio, grande vettore di comunicazione con cui gli al-Thani si sono imposti negli ultimi anni sullo scenario mondiale, e che è affidato all’erede al trono, il figlio dell’Emiro, Tamim bin Hamad al-Thani. Il Qatar ospiterà i mondiali del 2022: per quella data si doterà di infrastrutture futuribili: stadi smontabili con arie condizionate alimentate dal fotovoltaico; grande sfida infrastrutturale se si considera che i 3,2 milioni di persone che solitamente si spostano a seguire i mondiali sono quasi il doppio degli abitanti del piccolo emirato. Per finanziare il tutto, l’11 luglio è stato emesso un maxi prestito obbligazionario da 4 miliardi di dollari; che ha ottenuto richieste per 25 miliardi, a un tasso molto basso, il 2 per cento, essendo naturalmente le finanze dell’Emirato tra le più solide a livello mondiale. Moody’s considera infatti il debito sovrano cataro come “AA” e non ci sono problemi di spread o di rating. Ma l’investimento sul 2022 è solo il punto finale di un’escalation calcistica senza precedenti: nel giugno del 2011 Tamin al-Thani ha annunciato l’acquisto del Paris St. Germain, e si è poi scatenato in una campagna acquisti senza precedenti. Mentre molte squadre boccheggiano, il Psg ha annunciato l’acquisto di Lavezzi, Thiago Silva, Ibrahimovic, Lucas e Verratti. Per al-Jazeera Sport sono stati poi ottenuti i diritti tv di diversi campionati nazionali, tra cui quello francese e quello spagnolo. E in Spagna risiedono altri investimenti calcistici della famiglia: la main sponsorship del Barcellona (150 milioni di euro in 5 anni, la cifra più alta della storia delle sponsorizzazioni sportive) e la proprietà (ma di un cugino, Abdullah al-Thani) del Malaga, dal 2010. Inoltre il Qatar è stato in lizza anche per le Olimpiadi del 2020. In passato poi gli al-Thani hanno offerto un miliardo e settecento milioni di sterline a Glazer per acquistare il Manchester United.  Il calcio è anche la passione di Tamin; 32 anni, studi militar-establishment a Sandhurst come da tradizione, oltre ad essere padrone del Psg ha una sua squadretta locale, il Lekhwiya Sports Club, in cui vengono reclutati professionisti e glorie del passato. Altro hobby conosciuto, le auto: una Koenigsegg CCXR Special One (come Mourinho) da un milione di euro; una Lamborghini LP 670-4 SV da 360.000 euro; una Ferrari 599 GTB Fiorano da 260.000 euro; una Pagani Zonda Uno (712.000 euro); una Lamborghini LP640 (320.000 euro). Tutte turchesi, che nel mondo islamico porta bene, sono spesso avvistate (e multate) nel centro di Londra.

 

L’arte

Il quarto livello afferma invece la presenza degli al-Thani nel grande network dell’arte moderna e contemporanea, come forma di legittimazione internazionale; ed è affidato alla figlia dell’Emiro, Mayassa al-Thani. Lo stesso uso disinvolto del denaro che il fratello ha messo nello sport la sorella lo ha applicato tra artisti e curatori: è lei la mente del Qatar Museums Authority e dunque del Museum of Islamic Art di Doha, che a febbraio ha ospitato la prima mostra in Medio Oriente di Takashi Murakami. Per costruire il museo è stato chiamato l’architetto cinese della piramide del Louvre,  I.M. Pei, anche se Mayassa, che ha studiato lettere e scienze politiche alla Duke University, ha un approccio diverso rispetto ai vicini del Dubai o di Abu Dhabi; al loro franchising museale che vede succursali del Louvre e del Guggenheim preferisce una linea più identitaria, con la costruzione di importanti collezioni di arte islamica insieme ad acquisti importanti di autori moderni e contemporanei, e con scelte molto personali: negli ultimi anni ha fatto incetta di capolavori d’arte contemporanea (Bacon, Warhol, Rothko) puntando su operazioni ad alta visibilità, come l’acquisto dei Giocatori di carte di Cezanne (250 milioni di dollari, cifra più alta nella storia dell’arte) o il patronnage della colossale mostra di Damien Hirst terminata il 9 settembre alla Tate Modern londinese, sponsorizzata con 2 milioni di sterline, e che poi verrà smontata e rimontata proprio a Doha. Hirst è anche una passione personale di Mayassa, che ha comprato una  delle sue famigerate farmacie, Lullaby Spring, per 10 milioni di sterline nel 2007.

 

Sex symbol mediorientale

Il quinto livello di comunicazione è infine affidato a lei, Sheikha Mozah bint Nasser al-Missned, 52 anni, la moglie in carica dell’Emiro, collocata nella classifica delle donne più potenti del mondo. È il volto umano e più visibile del regime: è a capo della potente e ricchissima Qatar Foundation for Education, Science and Community Development, che si occupa di scolarizzazione, difesa dei bambini, ricerca scientifica e tecnologica. È inviato speciale dell’Unesco, ha ricoperto ruoli nelle Nazioni Unite, ma soprattutto è un’icona di stile: bellezza d’altri tempi, guardaroba ricercato e già imitato, contaminazioni tra stile francese e tradizione islamica, sta togliendo spazio nella ribalta internazionale a un’altra icona mediorientale come la regina Rania di Giordania. La sceicca è l’ultimo livello (non certo in ordine di importanza) con cui l’Emiro povero sta dando l’assalto al mondo: e con la scelta di questa first lady, e la considerazione per il potere del glamour, posto allo stesso livello della diplomazia, dello sport e dell’arte contemporanea, Hamad bin Khalifa al-Thani dimostra di non aver assolutamente nulla da imparare dall’occidente; almeno in fatto di (post) modernità.

 

Nella foto di Matilde Gattoni, lo skyline di Doha

Dal numero 10 di Studio