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Hollywood non riesce a capire se Una battaglia dopo l’altra è un flop o un successo Il film di Anderson sta incassando molto più del previsto, ma per il produttore Warner Bros. resterà una perdita di 100 milioni di dollari. 
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".
È morto Paul Daniel “Ace” Frehley, il fondatore e primo chitarrista dei KISS Spaceman, l'altro nome con cui era conosciuto, aveva 74 anni e fino all'ultimo ha continuato a suonare dal vivo.
Dell’attentato a Sigfrido Ranucci sta parlando molto anche la stampa estera La notizia è stata ripresa e approfondita da Le Monde, il New York Times, il Washington Post, Euronews e l’agenzia di stampa Reuters.
Oltre alle bandiere di One Piece, nelle proteste in Usa è spuntato un altro strano simbolo: i costumi gonfiabili da animale Costumi da rana, da dinosauro, da unicorno: se ne vedono diversi in tutte le città in cui si protesta con Trump e contro l'Ice.
Secondo Christopher Nolan, non c’è un attore che quest’anno abbia offerto un’interpretazione migliore di The Rock in The Smashing Machine Quello del regista è il più importante endorsement ricevuto da The Rock nella sua rincorsa all'Oscar per il Miglior attore protagonista.
Dopo 65 anni di pubblicazione, Il Vernacoliere chiude ma non esclude il ritorno Lo ha annunciato su Facebook il fondatore e direttore Mario Cardinali, che ha detto di essere «un po' stanchino» e spiegato la situazione di crisi del giornale.

WTF with Marc Maron

WTF, il podcast "do it yourself" di Marc Maron. Una chicca per tutti gli appassionati di "stand-up"

13 Marzo 2012

Una cosa che mi ha sempre dato fastidio degli americani è che non si lamentano mai. Hanno mille debiti a causa della loro costosa educazione e peer pressure a mille (insomma, problemi veri, effettivi), ma quando ci parli l’80% delle parole che dicono sono “awesome”, “fun”, “hilarious” e “whatever”. Saranno le droghe, legali o meno, sarà che sono un po’ ipocriti o forse meno egocentrici di noi, ma quelli che mi è capitato di conoscere di solito hanno tutti un’attitudine piuttosto positiva e “no nonsense”, al netto degli antagonismi istituzionali di facciata. Quando si parla di comici, invece, i miei nevrotici preferiti vengono senza dubbio da oltreoceano. Di solito sono ebrei, con un gigantesco conflitto interiore che però esternano, condividono, esibiscono, e (come succede solo in America) monetizzano. Il più famoso qua da noi è senza dubbio Woody Allen, un altro (più recentemente e per altri meriti) Larry David. Ma io voglio parlare di Marc Maron.

Qualche nota biografica. Nato nel New Jersey nel 1963, sposato due volte senza figli, Maron ha iniziato a fare stand-up quando era al college a Boston, dove s’è fatto le ossa prima di andarsene a New York. Lì, negli anni ’90, è stato parte della cosiddetta scena alternativa, quella che preferiva forme di espressione più libere rispetto alle battute tradizionali e si esibiva in luoghi diversi dai comedy club standard. Ma, al contrario di altri esponenti di quell’ambiente che hanno poi raccolto quello che avevano seminato (tipo David Cross), il comico ha avuto poca fortuna televisiva o cinematografica. Scartato dal Saturday Night Live, si è dedicato invece a one man show off-Broadway e parentesi radiofoniche di breve durata. Nessuna di queste esperienze l’ha reso ricco o famoso, e mentre gli amici accumulavano successi, nonostante le innumerevoli apparizioni da Conan O’Brien Maron rimaneva virtualmente sconosciuto al grande pubblico. Ma è stato proprio in un momento in cui il lavoro iniziava a mancare in maniera preoccupante (lui si definiva “unbookable”) che il comico si è imbarcato in WTF, il podcast che gli ha cambiato la vita e la carriera.

Il formato è semplice: due volte a settimana, Maron invita un comico (ma anche gente tipo JonHamm di Mad Men o Judd Apatow) e ci parla per un’ora e passa, di argomenti che spaziano da confidenze sul jet set a paranoie personali e riflessioni esistenziali. Nel suo studio/garage, il comico sviscera le profondità più recondite di amicizie pluridecennali (quella con Louis CK, protagonista di una lunga e commovente conversazione in due parti), remore professionali, gossip smentiti e confermati (per esempio la confessione strappata a Carlos Mencia sul furto di battute). Il talento di Maron sta nel mettere l’ospite a proprio agio, nel parlargli da pari e nel condividere esperienze personali senza fare alcuna attenzione alla consueta dicotomia intervistatore/intervistato. Si parla di tutto: le avventure extracorporee con il DMT di Joe Rogan, il gusto di Dino Stamatopoulos per le dominatrix, il leggero ictus avuto a soli diciott’anni da Aubrey Plaza (quella di Parks and Recreation), la frustrazione di Carrot Top, ricco e di successo ma deriso dagli altri comici.

Col tempo gli ospiti hanno iniziato a trattare Maron quasi come uno psicanalista, qualcuno a cui possono raccontare di tutto (sempre che non abbandonino il campo a metà intervista come Gallagher, comico anni ’80 letteralmente spaccacocomeri).

Insomma, ogni episodio di WTF è una chicca per chi è interessato al mondo della stand-up americana e il suo successo ha riportato Maron sui media, gli ha rinnovato il seguito e infittito il calendario. Si tratta sempre di un’attività DIY (sponsorizzata occasionalmente da Comedy Central e più spesso da sexy shop o caffè equo-solidali), ma sembra avergli dato finalmente quel posto che da tempo stava cercando.

La cosa più affascinante, però (almeno per me che sono morboso), è il lato oscuro di WTF. Nonostante adesso sia spiritualmente più a suo agio e orgoglioso dell’integrità che è riuscito a mantenere, Maron rimane sotto sotto un rosicone rompipalle, che non perde occasione per lanciare sottili frecciate agli ospiti più popolari di lui (soprattutto quelli giovani, vedi Dimitri Martin).

Come dicevo, Maron tira fuori un sacco da chi intervista, ma ci mette anche un sacco di suo. E per un sacco intendo dire che, alla lunga, si ha l’impressione che ogni invitato non sia che una figura nel suo macro-teatro di redenzione, una sorta di sguardo che si avvita nel ventre di un ambiente fitto di gelosie e rivalità, profondamente triste e solitario.

Maron i suoi demoni ce li ha, ma sono meno romantici della droga e dell’alcol che ha abbandonato ormai più di un decennio fa, prima che le cose si facessero davvero serie (insomma, prima di diventare Mitch Hedberg). Lui ci scherza sopra, dice che adesso si accontenta di caffè e di porno, ma la compulsività è la stessa. Durante le interviste il comico non perde occasione per riportare ossessivamente il discorso su di sé, ma d’altro canto vuota il sacco, travolge ospite e pubblico con un torrente di onestà maniacale catartico, un egotrip infinito che la maggior parte ormai accetta bonariamente e al quale sa già di andare incontro. Non c’è vera cattiveria nei commenti “patronizing” (termine poco traducibile) di Maron, al limite una frustrazione che si autodisarma in sincera accettazione. I comici si annusano, si riconoscono, e alla fine si salutano con rispetto, se non da amici.

Diciamo che il podcast di Marc Maron ha l’illuminante schiettezza di una chiacchierata ubriaca con degli sconosciuti, qualcosa che si può apprezzare aldilà della propria passione per la comicità americana. Maron se lo ascoltano tanto gli hipster di Williamsburg che soldati di stanza in Afghanistan, viene apprezzato anche da gente che la sua stand-up non l’ha mai sentita e preferisce gli episodi di WTF live, decisamente più gioiosi e forse più ispirati dei suoi sfoghi a microfono in mano. Insomma, con il suo podcast Maron è riuscito a curare se stesso dal livore senza soffocarlo, abbracciando più gente possibile mentre ha trovato posto nella propria nicchia. Paradossale, ma degno di nota.

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