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03:58 martedì 18 novembre 2025
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.

Un nuovo studio dice che il vino dei romani era molto simile agli odierni “orange wines”

23 Aprile 2024

Che gli antichi romani fossero amanti del vino è risaputo, così come è risaputo che quello che loro chiamavano vino era un liquido estremamente diverso da quello che oggi stappiamo volentieri, così “strano” e denso, e quindi annacquato per renderlo bevibile, e ripieno di spezie, soprattutto miele, utilizzate per addolcirlo. Eppure, forse, non era proprio così.

Gli archeologi ed esperti di “vini antichi” Dimitri Van Limbergen e Paulina Komar hanno di recente pubblicato uno studio (Cambridge University Press) in cui, analizzando soprattutto i recipienti di terracotta utilizzati dai romani per le fermentazioni, contestano queste credenze. Inizia tutto da questi dolium (plurale: dolia), grosse anfore usate dai romani per il trasporto ma anche per la conservazione del succo d’uva. Da esperti di storia del vino, gli studiosi hanno trovato molte similitudini con le anfore georgiane, chiamate qvevri, oggi ben conosciute dagli appassionati di vini. E hanno trovato, aiutandosi anche con diversi testi, molti punti in comune tra la vinificazione antica romana e quella tradizionale georgiana.

I dolium romani erano simili alle anfore georgiane: porose, per lasciare un certo contatto del liquido con l’ossigeno (a differenza, ad esempio, dell’acciaio o della resina), e ricoperti internamente con pece di resina. La forma era ovaloide, e non cilindrica, e questo permette al vino di muoversi durante la fermentazione. La base che si stringe impedisce alle parti più solide come le fecce di avere una superficie ampia di contatto con il resto del liquido, evitando quindi di “contagiarlo” con sapori poco piacevoli.

Anche i romani tenevano le anfore in luoghi a temperatura controllata, che fossero cantine o buche scavate nel terreno. Come qualcuno avrà intuito, il risultato di questi processi portano a vini “macerati”, e quindi, nel caso di uve a bacca bianca, ai cosiddetti “orange”. Le bucce, quindi, vengono lasciate a contatto con il vino, e conferiscono un colore ambrato e un sapore più forte che nella normale vinificazione per i bianchi, i cui si tolgono subito di mezzo. Inoltre, i romani avevano una grande sapienza – hanno scoperto gli archeologi, studiando diversi testi – nel dosare i lieviti naturali prodotti dalla fermentazione.

La conclusione è, quindi, un interessante percorso che mostra come la sapienza della vinificazione abbiamo una storia europea lunga e unita attraverso i millenni, e anche che i romani non erano affatto gli “amatori” che pensavamo. Quelle note di ambra e melassa che ci avvolgono il palato mentre beviamo un calice di Mtsvane, insomma, non sono affatto una moda temporanea, ma un sapore molto simile a quello che bevevano duemila anni fa.

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