Hype ↓
22:07 giovedì 18 settembre 2025
Tutte le recensioni di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson dicono la stessa cosa: è un capolavoro Il film, con protagonista Leonardo DiCaprio, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 25 settembre.
Siccome una creator l’ha “accusata” di essere transgender, Brigitte Macron mostrerà in tribunale il suo Dna per dimostrare di essere nata donna E vincere così la causa per diffamazione contro Candace Owens, creator dell'alt-right Usa che sostiene che la Première dame abbia cambiato sesso.
Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese Anche perché, vincendo, The Sea è automaticamente candidato a rappresentare Israele agli Oscar quelli veri.
Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano Dalla Palma d’Oro a Cannes alla candidatura francese agli Oscar, il viaggio di Jafar Panahi attraverso le crepe della politica e del cinema
Sulla tv del ministero della Difesa russo c’è uno show fatto con l’AI che trolla i politici stranieri Macron con i bigodini rosa, Trump che parla di gabinetti dorati, von der Leyen in versione soviet: questo il meglio che la "satira" russa offre.
Il late show di Jimmy Kimmel è stato sospeso per dei commenti di Kimmel su Charlie Kirk Commenti che però Jimmy Kimmel non ha mai fatto.
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.

Verdena, idoli degli outsider

Intervista tragicomica al trio di quarantenni più grunge d'Italia, tornati con l'album Volevo magia dopo sette anni di silenzio.

23 Settembre 2022

Forse ho riso troppo, me ne sono resa conto nei momenti in cui loro mi fissavano serissimi. Forse le mie erano risate isteriche, visto che per la prima volta mi sono trovata a meno di un metro di distanza dal mio gruppo preferito di sempre e per sempre (era già successo durante i concertini dell’adolescenza, ma mentre suonavano, che è diverso). Forse perché, come dimostra anche la spassosissima intervista pubblicata da Rolling Stone, dal vivo i Verdena sono volontariamente e involontariamente comici. Alla prima domanda della round table, fatta da un giornalista collegato su Zoom, rispondono con un minuto di silenzio. Si guardano tra loro inespressivi e muti, finché Alberto rompe la trance collettiva bisbigliando: «dobbiamo dire qualcosa». Sono rimasti identici, anche nel look, e gliene chiedo conto quando gli rivelo che gli anni 2000 sono tornati di moda. Mi guardano straniti e anche un po’ disturbati (penso dalla parola “moda”). «Mi vesto normale, come una persona che lavora», dice Alberto accarezzandosi orgogliosamente la t-shirt consunta (Luca ha una camicia di flanella a quadretti e il solito codino floscio, Roberta uno dei suoi vestitini neri).

Quando chiedo ad Alberto se negli anni il suo metodo di scrittura è rimasto lo stesso o è in qualche modo cambiato, citando quel capolavoro che è il “generatore automatico di testi dei Verdena”, lui dice che a volte, in macchina, mentre guida, improvvisa testi sensati sulle canzoni di altri, «ad esempio Marco Masini» (invidio la sua prole, che molto probabilmente ha la fortuna di assistere a queste performance). Sulla loro musica, però, i testi normali non funzionano. E allora nascono le poesie dadaiste dei Verdena, versi memorabili tipo «seven è il numero degli alberi» (sette sono anche gli anni trascorsi dall’ultimo album). I testi si adattano alla musica, e non viceversa, «siamo prima di tutto dei musicisti». Eppure, per i fan accaniti come me, hanno un loro senso e una loro poesia, sono come preghiere o mantra da ripetersi nella mente per combattere le noiosissime leggi condivise che regolano la vita quotidiana. C’è un po’ di fanatismo nei fan dei Verdena, lo si nota da come hanno accolto l’annuncio del nuovo album sull’Instagram un po’ sfigato del gruppo, dove pubblicano il minimo indispensabile. Scrivono, i fan, che l’attesa di sette anni è stata snervante, che il ritorno dei Verdena è la salvezza della musica italiana. Al giornalista che glielo fa notare (anche lui collegato su Zoom, si scusa per il rumore dei lavori al piano di sopra, Alberto continua a riprodurre con la voce il suono dei trapani ogni volta che lo sente) rispondono infastiditi: «Che esagerati».

Fanatici a parte, per i fan come me ascoltare Volevo magia è come tornare in un posto magico di cui sentivamo la mancanza, come il primo bagno della stagione, ma non nel mare: nelle acque torbide e rischiose di un lago. «Abbiamo voluto fare un disco più facile, più spontaneo rispetto a Endkadenz [il sontuoso malloppo di 26 canzoni uscito nel 2015, nda]», dicono descrivendo un album che ha impiegato sette anni per venire alla luce. Le ballate sono state composte prima del Covid, le canzoni più nervose e isteriche dopo. Non so se produrrà dei classici come quelli che ogni creativo dotato di chitarra a un certo punto dell’after si ritrova a strimpellare, ma anche questo fa parte dell’atmosfera dell’album. Non si chiama Voglio magia o Vorrei magia, ma Volevo magia: già nel titolo c’è una specie di rimpianto.

Quando gli chiedo se hanno nostalgia degli anni Novanta, quelli che hanno ispirato il loro mood (che non è mai cambiato) e in cui il gruppo si è formato, Roberta dice che l’unica cosa per cui prova nostalgia è il rapporto che aveva con la musica. Era molto più urgente e spontaneo, sia nel suonare che nell’ascoltare. Era anche più curiosa (Alberto e Luca continuano ad esserlo, ci tiene a precisare): «Sono anni che non ascolto più musica, a casa voglio soltanto il silenzio. Mio marito credeva di aver sposato una musicista, invece a casa mia è vietata la musica. Si sentono solo le cose che ascoltano le mie figlie: al momento Musica leggerissima e Propaganda» (a quanto pare sono fan di Colapesce e Dimartino). Luca, obbligato a rispondere dal fratello, dice che è ancora un fan del grunge, «ogni volta che esce un libro sul grunge me lo compro», e non capisco se è serio o mi sta prendendo per il culo. Alberto è l’unico che ascolta roba di adesso. Cita Drake (già sfoggiato nell’intervista a Rolling Stone) e aggiunge Lil Pump e XXXTentation. Gli chiedo se gli piace Kanye West (ho capito che l’unico modo di sopravvivere è fare domande a caso), dice che sì, ma non come Drake. Perché, chiede, si escludono a vicenda? Gli rivelo che un po’ sì, e Roberta domanda: «Tipo Beatles e Rolling Stones?».

A tutte le domande sul nuovo album rispondono dilungandosi in tecnicismi da magazine musicale a cui non riesco a star dietro. Intanto li guardo: Alberto sorseggia la sua birra (ne ha chiesta una all’inizio dell’intervista, ne chiede una alla fine, tormentando la ragazza della Universal, probabilmente provata dalla prima giornata con questo quarantenne scalmanato). La sua caotica energia da frontman va di pari passo con la calma estenuante degli altri due. Luca sta nel suo e non dice quasi niente, Roberta sembra l’unica con una parvenza di capacità diplomatiche, ma non si capisce se è tranquilla o mortalmente annoiata. Quando gli chiedo se hanno mai scazzato gravemente (suonano insieme dal 1997), Alberto risponde: «No». E dopo un secondo: «Sì». Fine della risposta.

Interrogati sull’esperienza a Venezia per la prima del film dei D’Innocenzo con la loro colonna sonora, America latina (l’anno scorso) rispondono facendo delle smorfie, e ormai questo atteggiamento da outsider è così estremo che sembra una posa. «C’era troppo sole, dovrebbero creare una struttura per riparare dal sole», dice Alberto. Ma poi viene fuori che è stato assurdo veramente: i fratelli Ferrari si sono soffermati a fumare sul red carpet e alla fine non li hanno lasciati entrare alla prima. Il film l’ha visto solo Roberta. Per nulla affranti, Luca e Alberto sono prontamente andati a bere con l’amico Manuel Agnelli. Un giornalista gli chiede ridendo: «E non avete insistito per entrare? Non gli avete detto tipo, lei non sa chi sono io!». E Alberto dice: «Sì e loro avrebbero risposto: Verdena? E cos’è, un profumo?».

Articoli Suggeriti
Tutte le recensioni di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson dicono la stessa cosa: è un capolavoro

Il film, con protagonista Leonardo DiCaprio, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 25 settembre.

Con Sotto le nuvole Gianfranco Rosi è riuscito nel miracolo di raccontare una Napoli inedita

Vincitore del Premio Speciale della Giuria alla Mostra del cinema Venezia, il nuovo film di Rosi, appena arrivato nelle sale, riesce dove tanti in questi anni hanno provato e fallito: raccontare Napoli in modo diverso.

Leggi anche ↓
Tutte le recensioni di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson dicono la stessa cosa: è un capolavoro

Il film, con protagonista Leonardo DiCaprio, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 25 settembre.

Con Sotto le nuvole Gianfranco Rosi è riuscito nel miracolo di raccontare una Napoli inedita

Vincitore del Premio Speciale della Giuria alla Mostra del cinema Venezia, il nuovo film di Rosi, appena arrivato nelle sale, riesce dove tanti in questi anni hanno provato e fallito: raccontare Napoli in modo diverso.

Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese

Anche perché, vincendo, The Sea è automaticamente candidato a rappresentare Israele agli Oscar quelli veri.

Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano

Parliamo di It Was Just An Accident di Jafar Panahi, già vincitore della Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes.

Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza

E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.

Robert Redford, la star politica di un mondo che non c’è più

Dalla vita ha avuto tutto: fama, bellezza, successo, ricchezza, riconoscimento. Ma erano altre le cose che gli importavano: la democrazia, il cinema indipendente, le montagne dello Utah, e opporsi a un'industria che ormai disprezzava.