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17:00 mercoledì 31 dicembre 2026
Martin Scorsese ha scritto un editoriale sul New York Times in cui spiega perché Misery è il miglior film di Rob Reiner In un commosso editoriale, Scorsese ha individuato nel thriller del 1990 l’apice della filmografia del collega, ricordando la loro amicizia.
Dopo il documentario su Diddy arriverà un documentario sui figli di Diddy che parlando di Diddy Justin e Christian Combs racconteranno il rapporto col padre in una docuserie che uscirà nel 2026 e di cui è già disponibile il trailer.
La crisi climatica sta portando alla velocissima formazione del primo deserto del Brasile La regione del Sertão sta passando da arida a desertica nell'arco di una generazione: un cambiamento potenzialmente irreversibile.
L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.

Vecchio tubo contro nuovo tubo

Youtube, Netflix, Hulu. Perché la televisione (e la pubblicità) non sarà mai più la stessa

17 Maggio 2012

C’era una volta la televisione, macchinario luminoso e rassicurante, attorno al quale famiglie intere sedevano in silenzio come davanti a un caminetto. Il tubo catodico mostrava immagini trasmesse da network televisivi, ovvero aziende che si occupano di creare o comprare spettacoli, film e materiale audio-video al fine di allietare gli spettatori da casa. Negli Usa tali network sono sempre stati posseduti da privati (Cbs, Abc, Nbc ecc.) che vendevano a carissimo prezzo gli spazi pubblicitari agli investitori; in Europa è stato invece lo Stato a occupare le frequenze Tv per i primi anni (nel Regno Unito la Bbc, in Italia la Rai), che per decenni hanno limitato di molto il numero di spot messi in onda.

Tv e pubblicità, quindi. Un rapporto idilliaco. I network raggiungono milioni di persone con i loro prodotti e gli inserzionisti possono infilarci la propria merce, pagando. Tutto così perfetto, rassicurante. Era proprio ok. I tempi però cambiano e il tubo catodico è ormai antiquariato, una tecnologia superata dalle trasmissioni satellitari, digitali e via cavo. E da quelle via Internet. Oggi è possibile guardare un programma televisivo dal proprio laptop o tablet in qualsiasi momento. In autobus. A lavoro. In hotel. A casa. Se negli anni ’60 l’esperienza televisiva era quasi religiosa (silenziosa e di gruppo), oggi è invece diffusa, ubìqua e libera.

Ma a cambiare non sono state solo le modalità di fruizione del mezzo. Servizi web come Netflix e Hulu offrono film e programmi in qualsiasi momento previo abbonamento e hanno cambiato per sempre la televisione, distruggendo di fatto una delle sue fondamenta: il Palinsesto. Non si guarda più la Tv a una certa ora “altrimenti mi perdo il programma X”: la si guarda quando si vuole, mandando al diavolo in pochi clic decenni di studi di marketing sulle fasce orarie e le preferenze del pubblico. Di più: questi software stanno sviluppando algoritmi sempre più sofisticati in grado di capire i gusti degli utenti, e consigliargli film e show sulla base dei contenuti che hanno guardato fino a quel momento.

Uno scenario inedito per i colossi televisivi, che specie negli Stati Uniti (qui in Italia, al netto di qualche app per iPad, si dorme il sonno dei giusti) stanno cercando di capire i meccanismi di questo nuovo tubo-non-più-catodico, la cui diffusione potrebbe intaccarne il predominio. Il canale via cavo Hbo, per esempio, sta puntando molto su Hbo Go, che trasmette a molti apparecchi ma solo se si è abbonati alla cable tv. I primi risultati non sono affatto incoraggianti: la serie Game of Thrones è una delle più amate dal pubblico di tutto il mondo ma negli States ha avuto solo, in media, 3 milioni di spettatori davanti lo schermo televisivo anche se sembra destinata a diventare lo show più “piratato” dell’anno – l’episodio andato in onda il 30 aprile scorso è stato scaricato illegalmente da 2,5 milioni di persone in un solo giorno. Il motivo? Sempre meno persone – a causa della crisi economica ma non solo – sono disposte a pagare per l’abbonamento ai canali via cavo, e a preoccupare è soprattutto uno studio del prestigioso istituto Nielsen, che ha registrato un aumento del 22,8% degli americani che mantengono una connessione Internet superveloce e disdicono gli abbonamenti televisivi.

Il pubblico si muove e così fa la pubblicità. Non è un caso che Google, gigante del web che deve alla vendita di spazi pubblicitari gran parte dei suoi introiti e proprietario di Youtube, abbia annusato l’aria e si sia dato da fare. Il suo piano è stato raccontato a gennaio dal New Yorker, e prevede la creazione di centinaia di canali nuovi che trasmetteranno contenuti creati ad hoc da un team di persone con cui l’azienda lavora da tempo. I canali saranno tematici e punteranno a numerose nicchie di pubblico perché, come spiega Robert Kyncl di Google, la nicchie sono in grado di dare “un’esperienza più immersiva” e sono quindi molto apprezzate dagli inserzionisti, che possono colpire un pubblico ristretto ma molto probabilmente interessato ai determinati spot. Se la televisione generalista faceva della quantità la sua arma segreta, presentandosi alle aziende come enormi megafoni in grado di farsi sentire da tutti, il nuovo tubo è chirurgico, preciso. Un canale tutto dedicato all’equitazione, per esempio, venderà pubblicità ai brand del settore. Farà pochi ascolti, certo, ma in compenso costerà infinitamente meno di un Canale 5 e attirerà proprio le persone a cui ambiscono gli inserzionisti. L’audience, sminuzzato in temi e sottotemi, è cliente potenziale. Gli si potrà quasi dare del tu.

La svolta “cable” di Youtube non si ferma qui: non mira infatti “solo” a rubare pubblico dalla Tv tradizionale ma è destinata a sconvolgere il sito di streaming, che diventerà un archivio di video di qualità allontanandosi dalle sue origini “amatoriali”. Adage, settimanale dedicato al mondo della pubblicità, nota infatti che nel marzo scorso le views del sito sono calate pesantemente, del 28%, ma nessuno a Google o Youtube se ne è preoccupato, anzi: l’obiettivo è infatti sacrificare un po’ di numeri per aumentare la qualità della fruizione e l’engagement. Sta andando tutto secondo i piani.

Diminuiscono le visualizzazioni dei video Youtube ma aumenta il tempo trascorso dagli utenti sul sito

È da decenni che si ragiona sul futuro della Tv. Negli Usa prodotti come VCR e TiVo (che permettono di “saltare” le pubblicità e registrare comodamente spettacoli) hanno già abiutato milioni di utenti a fregarsene del palinsesto, ma la rivoluzione che verrà sembra più profonda. Come titola il magazine New York nel suo speciale sulla televisione, “La Tv non è più la Tv”. Ciò non significa che sia morta, anzi. La Tv è più viva che mai. Solo non è più un elettrodomestico da salotto ma la si potrà declinare in più modi. E finiremmo col portarcela sempre con noi, nel taschino, insieme alle sue pubblicità.

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