Bulletin ↓
23:59 domenica 15 giugno 2025
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.
Ai Grammy dal 2026 si premierà anche l’album con la migliore copertina È una delle tante novità annunciate dalla Record Academy per la cerimonia dell'anno prossimo, che si terrà l'1 febbraio.
Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 
Ogni volta che scoppia un conflitto con l’Iran, viene preso come ufficiale un account dell’esercito iraniano che però non è ufficiale Si chiama Iran Military, ha più di 600 mila follower ma non ha nulla a che fare con le forze armate iraniane.
L’unico sopravvissuto al disastro aereo in India non ha idea di come sia riuscito a salvarsi Dopo l’impatto, Vishwash Kumar Ramesh ha ripreso i sensi in mezzo alle macerie: i soccorritori l’hanno trovato mentre cercava il fratello.
L’Egitto sta espellendo tutti gli attivisti arrivati al Cairo per unirsi alla Marcia mondiale per Gaza I fermati e gli espulsi sono già più di un centinaio e tra loro ci sono anche diversi italiani.
Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

L’indie è morto ma i Vampire Weekend restano

Il loro nuovo disco arriva 6 anni dopo l'ultimo e dimostra che è possibile diventare adulti senza smettere di saper suonare musica leggera.

06 Maggio 2019

Forse anche i più insospettabili si sono appassionati al pop perché si fa ormai un’enorme fatica a trovare tracce di musica non banale ma apparentemente semplice, spensierata. Nonostante l’immaginario indie abbia da tempo preso un significato quasi negativo e asfittico da cui provano a scappare un po’ tutti a gambe levate, tra anni Novanta e anni Zero è lì che ci si rifugiava quando si voleva ballicchiare, cantare, fondare un gruppo, correre in bicicletta, sorridere al nuovo giorno che si affacciava fuori dalle tapparelle di casa. È a tutto questo che un certo gruppo di band ci hanno abituato per anni e per questo in tanti gli eravamo devoti, fingendo persino di non vedere alcune cadute di stile.

Ma il tempo passa e le chitarre sono andate in disgrazia. Per chi vuole continuare a sorridere al nuovo giorno non rimane che migrare verso il pop mainstream. Un tempo erano guilty pleasure, adesso sono i brani salvati di Spotify di quasi tutte le persone che conosco, che ormai non sanno più come si fa a impostare la sessione privata, tanto ormai a che serve. Non si è però trattato di un tracollo improvviso, ma di un lento e inesorabile abbattimento delle aspettative da parte di quelle band che rispondevano alla definizione di indie rock/pop. Chi aveva una ventina d’anni in quel periodo – come tutti quelli che hanno avuto una ventina d’anni, in generale – col tempo ha subito il trauma del crollo degli idoli. Chi non ce l’ha proprio fatta, chi ha smesso di suonare (spesso la soluzione migliore), chi si è inventato mille side project, chi ha iniziato a figliare e ora fa tutt’altro, chi ci ha provato a continuare, ma negli skinny jeans ormai fatica a entrare e pure con l’originalità non sta messo meglio.

Si è trattato di un lento abbattimento delle aspettative per mano di quasi ogni gruppo che annunciava un nuovo album dopo qualche anno di silenzio. Le sensazioni erano un mix di entusiasmo e terrore di essere delusi. Ancora una volta. Non volevamo farci convincere – anche perché spesso non era così – che i gruppi indie fossero il nostro specchio. Rappresentativi soltanto di loro stessi e ormai scollegati da ciò che davvero succedeva nell’underground, quantomeno musicale.

Era sempre questa la sensazione quando arrivava quel venerdì di “release”. Quanto banali sembreranno? Quanto sofisticati saranno diventati? Questa cosa che ammicca all’hiphop o all’elettronica ma non la fa meglio quell’altro gruppo giovane, che di anni ne ha venti per davvero? I Vampire Weekend hanno aspettato sei anni per far uscire il loro quarto album (l’ultimo era Modern Vampires Of The City, uscito nel 2013) e le sensazioni che si avvicendavano nell’attesa erano le stesse per tutti gli altri gruppi che ci avevano provato prima di loro. Forse peggiori, a causa di quella freschezza proto punk che li aveva sempre contraddistinti. Come si può portarla avanti con spensieratezza?

I Vampire Weekend al Bonnaroo Music & Arts Festival il 13 giugno del 2014 a Manchester, Tennessee (foto di Jason Merritt/Getty Images)

In realtà i loro due singoli usciti dall’inizio del 2019 (Harmony Hall / 2021; Sunflower / Big Blue) hanno fatto in modo di rendere parzialmente evidente che potevamo sperare in bene. Father Of The Bride è infatti un disco luminoso, come lo sono i dischi di Vampire Weekend. È sofisticato come quando non si hanno più vent’anni e si solidificano le preferenze, le canzoni non si scrivono più con furiosa urgenza (abbiamo aspettato sei anni, appunto) ma con una maggior razionalità e attenzione ai dettagli. Questa rischiosa maturità (lo è nell’arte, nella musica, ma anche un po’ nella vita normale e nel suo lento calcificarsi) non ha reso involuti o leziosi i ben 18 brani di questo disco. Ne ha scolpito i bordi, rendendoli maggiormente definiti, meno punkeggianti come potevano essere in Contra e nel loro primo disco omonimo. Perfettamente inseriti nel sofisticato solco dell’ultimo disco, che poteva però perdersi a causa del tempo, della dipartita di Rostam Batmanglij avvenuta nel 2016, del trasferimento nella West Coast di Ezra Koenig, del suo fare altro (diventare padre, nel 2017 scrivere una serie animata Netflix: Neo Yokio).

Nonostante il terrore di abbattere ancora una volta le proprie aspettative, la prima volta che si preme play, per chi conosce un po’ i Vampire Weekend, Father Of The Bride fa subito sorridere e distendere i muscoli. Inizialmente perché si riconosce quello che dieci anni fa ci apparteneva. Poi perché le sonorità sono lievi, solari, luminose, estremamente in linea con la spensieratezza tipica della band e amplificate dall’influenza del sole californiano e dalla voglia di aggiungere elettronica, campionature, archi, Bee Gees e anni Settanta, i Pavement, la Spagna e il Brasile. Collaborazioni eccellenti come quelle di Danielle Haim, Steve Lacy de The Internet, Dirty Projectors.

Se il rischio poteva essere quello di una miscellanea poco omogenea, una playlist, in realtà tutto si tiene. Ed è un mezzo miracolo. Ma l’indie rock era questo tra gli anni Novanta e Zero. E non è solo la nostalgia a farcelo riascoltare oggi, è questione che quando le cose suonano bene non è perché raccontano l’oggi a chi già lo conosce, ma lo anticipa e lo pone come nuovo modo di vedere le cose. Più a lungo di un New Music Friday. La forza dei Vampire Weekend è dimostrare che si può ancora riuscire a fare indie di qualità, ben suonato, rotondo. Father Of The Bride suona come, per dirla col pop di Tiziano Ferro “Ricordiamoglielo al mondo chi eravamo e che potremmo ritornare”.

Chi aveva vent’anni un po’ di tempo fa non è ancora ricoperto di polvere se sa evolvere e arricchire ciò che lo ha contraddistinto nell’urgenza dell’emergere. Ezra Koenig non si vergogna di raccontarci di essere felice, di avere fatto pace con la quotidianità della sua vita adulta. Non ci nasconde di ballare mentre si prepara il caffè e fuori c’è il sole. Si può fare caso a quando si è felici, raccontarlo, non vergognarsene e suonarci un disco di ottima fattura. Si può diventare adulti e riuscire a mantenere quella curiosità di quando si viveva nel campus della Columbia University insieme ai propri compagni di band. Si può diventare adulti senza diventare “mostri sacri”, ma soltanto dei musicisti che sanno suonare la musica leggera.

Articoli Suggeriti
Mountainhead, l’ennesimo buon motivo per odiare Big Tech ce lo dà Jesse Armstrong

Il creatore di Succession torna con un film in cui racconta un quartetto di tech bro ricchi, stupidi e crudeli. Ma non così interessanti.

Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai

Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 

Leggi anche ↓
Mountainhead, l’ennesimo buon motivo per odiare Big Tech ce lo dà Jesse Armstrong

Il creatore di Succession torna con un film in cui racconta un quartetto di tech bro ricchi, stupidi e crudeli. Ma non così interessanti.

Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai

Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 

Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir

Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Brian Wilson, una creatura nelle mani del suono

È stato un dei più grandi compositori del Novecento, anche se non lo si è celebrato abbastanza quando era in vita. Una vita folle che ha rivoluzionato il pop.

È uscito il primo trailer di Eddington, il “western pandemico” di Ari Aster

Prodotto da A24, con protagonisti Joaquin Phoenix, Pedro Pascal ed Emma Stone, uscirà nell'autunno di quest'anno nelle sale italiane.

L’ultimo samurai di Helen DeWitt: non è mai troppo tardi per diventare un classico

Pubblicato nel 2000, acclamato, dimenticato, ripubblicato e riscoperto nel 2016, inserito tra i 100 migliori romanzi del XXI secolo dal New York Times, L'ultimo samurai è asceso allo status di classico nonostante una travagliatissima storia editoriale.