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La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.
Ed Sheeran si è dato alla pittura e ha provato a imitare Jackson Pollock con risultati abbastanza discutibili Ma almeno si è sforzato di tenere "bassi" i prezzi delle sue "opere": meno di mille sterline a pezzo, che andranno tutte in beneficienza.
Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

La fine delle vacanze

Finisce agosto, si riaprono case lasciate vuote, si guardano frigoriferi senza cibo. Una testimonianza personale sul significato del ritorno.

30 Agosto 2016

Quando sono tornato a casa dalle vacanze, il giorno prima del grande terremoto, ho ricordato bene il momento in cui tornavo a Torino nei primi anni Ottanta, tra i 5 e i 10 anni, un’epoca marchiata a fuoco da catastrofi mai realizzate, principalmente nucleari, e altre gioie più vissute e meno annunciate.

Le cose, allora, per me, possedevano tutte il manto odoroso della moquette, che copriva quasi tutto il percorso calpestabile della nostra abitazione. La moquette si attacca al naso e non la togli più, e quando torni la cerchi perché porta alle narici la furia della polvere nascosta, in attesa di esplodere, in attesa di essere colpita e battuta all’insù dal peso indolore del camminare infantile, dritto verso la cameretta, a controllare se i giocattoli stavano ancora bene, se c’erano ancora tutti. Ecco la felicità di quelle superfici non lavate per almeno quattro settimane, vissute lontano dai nostri respiri, dalla nostra impronta negativa, dalla nostra impronta leggera, dalla nostra impronta di carbonio 214 rivolto al futuro, all’attenzione di archeologi con altre preoccupazioni rispetto alle nostre; magari di una civiltà in cui i dati viaggeranno alla velocità della luce e gli edifici non crolleranno per gli smottamenti della terra. Non contavo i giochi, ma li sentivo, e non avevo ragione di pensare che qualche elfo nero potesse distrarre dalle loro case i puffi, dalle loro scatole di scarpe i castelli Lego, dai loro scaffali i numeri di Topolino che amavo sopra ogni cosa, quelli che risalivano a un’epoca infantile precedente alla mia, quella dei miei fratelli, di mia zia, portatori sani di un’eco e un timbro molto diversi, colori più squillanti, meno pastello, meno plastica, più arancio violento e più verde silvestre: gli anni Settanta, nei quali gli albi di Walt Disney sembravano una versione per minori di Playboy.

Bedroom

Ma le vacanze, al ritorno, significavano anche frigo senza cibo. All’epoca non mangiavo mai al ristorante, e quindi era un evento straordinario: la cucina non giocava alcun ruolo nella mia mitologia, né in quella della mia famiglia, ma era bello aspettare di essere serviti, era bello vedere tutti insieme coinvolti in quella cena ordinata al cameriere, l’ultima prima di un lungo inverno di pasti ordinari.

Oggi la mia casa è vuota. C’è una stanza per mia figlia, che però vive la maggior parte della settimana da sua mamma. C’è una stanza per i giochi di mia figlia. C’è la mia stanza, che una volta era quella di mia figlia, poi è stata quella di sua madre, e ha una parete di lavagna rosa. La casa è affittata fino a novembre, dopodiché bisognerà spostarsi e dare alla propria vita la misura di una casa nuova, perché gli appartamenti seguono il ritmo dei ponti solidi o interrotti che stendiamo fra ciò che facciamo e ciò che vogliono i nostri fantasmi, e i nostri amori. Le famiglie si estendono. Le famiglie si moltiplicano. Le vacanze sono lo specchio distorto e illuminante di ogni singolo valore dimensionale e morale di cui nutriamo le nostre famiglie, quelle che lasciamo e quelle da cui proveniamo, quelle che inauguriamo e quelle che si fermano.

L’altra sera, al ritorno dalle vacanze, mentre immaginavo nuovi spazi e una nuova vita, che deve contenere quella vecchia, ho pensato che la cronologia dell’esistenza va trattata con generosità e apertura, e non bisogna giocare come fa la moda con il tempo: non bisogna essere violenti con le fasi della propria vita, con le camerette, con la moquette, con le debolezze, con le sciocchezze, con le strane storie che ci fanno deviare e le storie terribili che ci fanno fermare a pensare: il terrore, il terrorismo, il terreno che si muove: lo stemma di un’epoca che Susan Sontag aveva già definito come «sospesa tra una banalità assoluta e una paura indicibile». È una citazione che non voglio verificare, ora, perché so che il senso è corretto e tutto sommato mi piace la forma che ho dato alla sua idea, alla sua frase: così come adoro il sorprendente senso di nuovo, di casa-visitata-per-la-prima-volta al ritorno delle vacanze, e sono grato perché ritrovo i miei giochi, perché non si sono abbattute tragedie sulla mia polvere, perché gli amori e gli amici stanno bene, e viviamo in una bolla temporanea di enorme fortuna.

1950s Sitting Room

Ma voglio fare qualcosa. Non sono più disposto a non cedere una parte di questa fortuna. Perciò, mentre scorre su SoundCloud una traccia di John Frusciante, “Wayne”, una lunga suite per chitarra elettrica impostata sulla progressione in si maggiore accompagnata da tastiera e batteria, in onore e memoria di Wayne Forman, un suo amico morto troppo presto, vorrei trasformare questo testo in un appello, e fare qualcosa, ospitare persone; vorrei che qualcuno mi aiutasse a condividere l’appartamento di una famiglia che avrebbe potuto essere più felice in un luogo di temporaneo sollievo. Vorrei sottrarre la soglia, spostarla più in là, vivere con due sconosciuti più sfortunati di me, dislocati in un immobile del nord Italia piuttosto che in una tendopoli del centro Italia. So che non succederà.

Un amico avvocato mi fa notare che per ospitare in modo stabile delle persone devo avere il permesso della proprietaria. Un’amica mi fa notare che certi tipi di solidarietà emotiva sconfinano nell’esibizionismo. Un altro amico mi suggerisce di donare soldi. Ma se avessi spazio, e non avessi soldi? L’Italia è piena di case solide, in zone tranquille, senza persone dentro: l’Italia è piena di alloggi dignitosi e anche molto più che dignitosi, del tutto sfitti. Un’altra voce mi informa del fatto che gli sfollati spesso desiderano stare vicino al luogo del sisma, è una questione di cuore e di geografia. Non sarà facile condividere questo ritorno dalle vacanze con chi non ha più un luogo dove tornare. Non sarà facile togliersi il senso di colpa, e gli psicoanalisti avranno molto da fare nel prossimo futuro, perché la cronaca consegna così tanti colpi allo stomaco, di continuo, a tal punto e con tale frequenza da trasformare il senso dell’ovvio dell’esistenza in una società di massa: la statistica, ciò-che-dovrebbe-essere, è una magnifica tregua. Sento le eccezioni così vicine che avverto l’urgenza di tramutare tutto in un’eccezione.

Il ritorno dalle vacanze, specialmente in città, coincide con la graduale riapertura dei negozi: credo che andrò in un posto curato, ben illuminato, animato da un corpo appena tornato dalle vacanze, e comprerò un bel regalo da spedire a uno sconosciuto. All’età dei terremoti bisogna rispondere con l’epoca dei gesti azzardati. Se qualcuno busserà, aprirò.

Immagini Hulton Archive/Getty Images.
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