Attualità

L’America sta andando a sinistra?

Nuovi personaggi di riferimento, riforme che sembravano impossibili e la politica del "nessun nemico a sinistra": la trasformazione del mainstream americano degli ultimi 10 anni.

di Anna Momigliano

Circa dieci anni fa, compiendo una pessima scelta, ho lasciato gli Stati Uniti per rientrare in Italia. Hai fatto bene, mi dicevano gli amici di sinistra, quello è un Paese di puritani rimasti indietro di mezzo secolo: gli americani bombardano l’Iraq, hanno la pena di morte e ti mandano in galera per una canna, sono razzisti coi neri e discriminano gli omosessuali, noi europei invece siamo cittadini di questo millennio, era il sottotesto. Dieci anni fa, l’America era di destra, l’Europa era di sinistra.

Queste osservazioni da un lato mi mettevano a disagio (erano di uno sciovinismo imbarazzante), dall’altro mi prendevano in contropiede, perché tutto sommato c’erano cose che non piacevano neppure a me, cose su cui l’America mi sembrava non tanto di destra, quanto curiosamente indietro rispetto alla storia: mi sembrava strano, per esempio, che i matrimoni gay fossero un tema così off-limits persino per i Democratici, mentre già erano un fatto in Belgio, Olanda e Spagna; mi faceva sorridere che le droghe leggere fossero prese così sul serio; mi spaventava una palpabile tensione razziale, che evidentemente c’era anche in Europa ma di cui si parlava meno; non capivo il sostegno diffuso alla pena di morte e ancor meno la fobia che circondava l’idea stessa di una sanità pubblica.

Sulla politica interna i termini del dibattito nazionale continueranno a spostarsi a sinistra

Oggi il matrimonio gay è legale in tutti e 50 gli Stati, più il distretto federale di Washington, 23 Stati hanno legalizzato la marijuana e molti altri l’hanno decriminalizzata. Alla Casa Bianca c’è un presidente nero da quasi otto anni, che tra le altre cose è riuscito a fare approvare una riforma sanitaria che soltanto un decennio prima sembrava impensabile. Il sostegno pubblico alla pena di morte è ai minimi storici da quarant’anni, con una maggioranza risicata, il 55 per cento, a favore, e nell’ultimo decennio nove Stati hanno cancellato o sospeso la pena capitale. Nel South Carolina una governatrice repubblicana ha eliminato la bandiera confederata da tutti gli uffici pubblici. Non sono soltanto conquiste politiche: è un’evoluzione dello Zeitgeist. Non si può non accorgersi dello spostamento a sinistra di certi valori: sta cambiando, e per certi versi è già cambiata, l’idea stessa del mainstream.

Questo mese The Atlantic ha pubblicato una bella storia di copertina sul clima politico in vista delle elezioni di novembre. In un ampio pezzo intitolato “why America is moving to the left” una delle sue firme di punta, l’ex direttore di The New Republic Peter Beinart paragona i cambiamenti di questi anni, per portata e profondità, a quelli degli ultimi anni Sessanta e dei primi anni Settanta: «Certo, c’è una reazione da destra contro il liberalismo dell’era obamiana, ma è un fenomeno, per quanto rumoroso, poco solido», scrive Beinart, riferendosi agli estremismi di Donald Trump e dei suoi emuli. «Nel suo complesso il Paese si sta spostando a sinistra, non a destra. Sulla politica interna (quella estera è un’altra cosa) i termini del dibattito nazionale continueranno a spostarsi a sinistra: il prossimo presidente democratico sarà più liberal di Barack Obama e il prossimo presidente repubblicano sarà più liberal di George W. Bush».

Hillary Clinton Attends Grassroots Campaign Event In Florida

A dire il vero Beinart incentra gran parte della sua analisi sui cambiamenti interni al campo del Partito democratico, passato dal centrismo dell’era Clinton, nel senso di Bill, al «liberalismo impenitente», parole sue, dei giorni nostri. Racconta come soltanto dieci anni fa «parlare di matrimonio gay era considerato un suicidio politico per un candidato democratico» e di come oggi sia esattamente il contrario: «Il dibattito oramai si è concluso». Basti pensare a Hillary, che quest’estate celebrava, come molti americani, la storica decisione con cui la Corte Suprema ha reso le nozze gay legali in tutti gli Usa. Eppure nel 2004, quando era senatrice, aveva difeso in un discorso, che sembrava assai accorato, la santità del matrimonio come un’unione tra maschio e femmina. Prima ancora, da first lady, aveva sostenuto la decisione del marito di approvare il Defense of Marriage Act, che codificava la restrizione del matrimonio come un’istituzione eterosessuale.

Qualcuno ha accusato Hillary di ipocrisia: «Si comporta come se sostenesse da sempre le nozze gay», ha scritto Sam Biddle su Gawker. Che si tratti di un calcolo politico o di un genuino cambio d’idea, però, poco importa. Il riposiziamento di Hillary sui diritti LGTB, abilmente effettuato senza mai dire di essersi sbagliata, riflette un’evoluzione nello spirito dei tempi. Proprio come parlare del voto alle donne sarebbe equivalso a un «suicidio politico» nell’Italia giolittiana ma oggi neanche Forza Nuova si sognerebbe di opporvisi, così nell’America del 2004 c’erano cose che non si potevano dire senza finire al di fuori del mainstream, del socialmente accettabile, mentre nel 2016 rischia di essere espulso dal consesso civile, o se non altro dai Democratici, chi quelle cose non le dice.

Beinart descrive inoltre come uno schieramento politico un tempo dominato dai misuratissimi “New Democrats”, omologhi nordamericani del New Labour britannico, abbia col tempo sviluppato una politica di tolleranza, se non addirittura vicinanza, con movimenti che un decennio fa sarebbero stati in odore di radicalismo, come Occupy e Black Lives Matter: «Oggi l’ethos del partito Democratico è: niente nemici a sinistra», scrive. Analizza l’ascesa di Bernie Sanders, il socialista del Vermont principale sfidante di Hillary alle primarie, e secondo alcuni persino in testa nello Iowa, concludendo che forse non vincerà, ma ha raccolto un seguito tale da non potere essere più definito un candidato di nicchia.

«Hillary Clinton si sta rivelando esattamente quel genere di liberal che Bill aveva sfidato»

Nota la consacrazione di Paul Krugman come editorialista liberal più influente e di Jon Stewart, descritto da altri come «il tizio che ha sdoganato l’ambivalenza su Israele», come personalità televisiva di riferimento per quel mondo. Il giornalista dell’Atlantic, in altre parole, dice più o meno le stesse cose che qualche tempo fa Alan Greenblatt diceva su Politico, quando scriveva: «La più grande ironia della campagna elettorale è che Hillary Clinton si sta rivelando esattamente quel genere di liberal che Bill Clinton aveva sfidato. Il Partito democratico si è spostato molto a sinistra per accettare il clintonismo che ha dominato la politica Democrat degli anni Novanta».

gay marriage-1Ora, la migrazione dei Democratici su posizioni più «sfacciatamente liberal», per usare un’espressione di Beinart, è senz’altro un fatto rilevante in queste elezioni, ma non è che la punta dell’iceberg. Se si vuole comprendere lo spostamento dell’America a sinistra, per lo meno su alcuni temi, in altre parole quello che è stato definito un «riallineamento ideologico», allora bisogna guardare al di là delle linee di partito. I cambiamenti più epocali, quelli nel sentire comune, sono soprattutto generazionali.

Il Pew Center, importante centro di studi statistici, ha monitorato per diversi anni quello che pensano gli americani su diverse questioni. Sul matrimonio gay, per esempio, le rilevazioni del Pew rivelano che ormai la maggioranza, il 55 per cento, è nettamente schierata a favore, mentre solo il 39 per cento è contrario (in mezzo ci sono gli indecisi). Quello che è interessante è che la divisione è fortemente generazionale. Con i Millennial di qualsiasi schieramento politico su posizioni molto più liberali dei loro compagni di partito over-35. Il 58 per cento dei Repubblicani giovani, nati dopo il 1980, sostiene le nozze tra persone dello stesso sesso: la maggioranza, e una percentuale superiore rispetto alla popolazione generale. Sulla questione, inoltre, il divario tra Repubblicani e Democratici si riduce con l’età: tra i Millennial è di venti punti, tra i baby boomer 37.

pot

Tema ancora più generazionale: la cannabis. Il 63 per cento dei Repubblicani con meno di 35 anni è favorevole alla legalizzazione: qui il dato più interessante è che la percentuale non solo rappresenta una maggioranza netta, ma che il sostegno alla depenalizzazione della marijuana è più diffuso tra i Millennial Repubblicani che tra i Democratici della generazione immediatamente precedente (soltanto il 61 per cento dei Democrat nati tra il 1965 e il 1980 è favorevole).

Forse la simpatia della sinistra di governo per movimenti come Occupy e Black Lives Matter si affievolirà, e come ai tempi di Bill Clinton il partito potrà revocare la politica “no enemies to the left”. Ma su i temi delle libertà individuali non si potrà tornare indietro. Il dibattito c’è stato, si è concluso, la sinistra ha vinto.

Hillary Clinton parla al Broward College Hugh Adams, in Florida (Foto di Joe Raedle/Getty Images). Una studentessa dell’università della Georgia fa campagna per Clinton (Foto di Jessica McGowan/Getty Images)