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Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Un tranquillo stato d’allerta

Cronache dal confine fra Israele e Siria, dove tutti sono preparati a un eventuale attacco ma la vita procede con ostentata sicurezza e normalità.

02 Settembre 2013

Ein Zivan, nord d’Israele. Pollo e bistecche ai ferri costano dieci shekel, due euro. Sul palco si prepara a cantare Karen Peles, una delle voci più conosciute in Israele. La festa per l’inizio della raccolta delle mele ha attirato giovedì centinaia di persone dai villaggi agricoli della zona di Katzrin, sulle alture del Golan. E’ stata organizzata in un frutteto, a meno di 200 metri dalla barriera in metallo che divide Israele dalla Siria. In pochi minuti a piedi  su strade di campagna si arriva al posto di confine di Quneitra e alla base della missione delle Nazioni Unite che monitora la zona demilitarizzata tra due paesi formalmente in guerra tra loro.

Da giorni, le televisioni di tutto il mondo parlano di un imminente attacco dell’America e dei suoi alleati contro obiettivi del regime siriano, mostrano lunghe file di israeliani in coda ai centri di distribuzione delle maschere anti-gas, spaventati dalla possibilità di una reazione della Siria, di un attacco chimico simile a quello del 21 agosto nei sobborghi di Damasco.

A Ein Zivan, villaggio a due chilometri dal confine con la Siria, sono stati aperti e ispezionati i rifugi anti-bomba.

L’esercito israeliano ha richiamato una parte di riservisti, ha dispiegato batterie del sistema anti-missilistico al nord e nell’area metropolitana di Tel Aviv. Eppure, prima del discorso di sabato sera del presidente Barack Obama, che ha rinviato di almeno una decina di giorni una possibile azione militare, quando ancora un attacco contro la Siria sembrava questione di ore, l’allerta in Israele si alternava a una quasi ostinata normalità. A Ein Zivan, villaggio a due chilometri dal confine con la Siria, il giorno stesso della festa delle mele sono stati aperti e ispezionati i rifugi anti-bomba: uno per ogni gruppo di case. Due rampe di scale scendono verso una stanza sotterranea fortificata, bloccata da una pesante porta in metallo. Al suo interno ci sono enormi contenitori in plastica per l’acqua, ventole per la respirazione, due minuscoli bagni.

Prima del week-end, nelle ore in cui in molti, in Israele e altrove, si aspettavano un attacco alla Siria, l’esercito e i vertici politici hanno chiesto alla popolazione di mantenere la calma, di andare avanti con le normali attività quotidiane. E nonostante le corse ai supermercati per le scorte di acqua e cibo in scatola, in molti hanno seguito il consiglio. Sul monte Bental, a pochi metri dal kibbutz Merom Golan, lungo la frontiera, c’è un belvedere sulla Siria. Durante le guerre del 1967 e del 1973 la cima era una postazione militare: bunker, filo spinato e sagome di finti soldati servono oggi ai turisti per le foto ricordo. E i turisti, nonostante l’allerta, arrivano a decine, con i pullman e le guide, non soltanto da Israele. Una coppia di californiani con due figli piccoli racconta d’aver avuto dubbi prima del viaggio, considerate le notizie in arrivo da Damasco e da Washington, ma di aver deciso di non cancellare la giornata lungo il confine siriano. Una donna israeliana spiega d’essere in gita annuale con i colleghi dell’agenzia di design per la quale lavora: “Sono nata qui, ho visto cinque o sei guerre durante la mia vita. Mi sento sicura. Ci fidiamo del nostro esercito e dei nostri leader: sanno cosa fare”, dice sorridente.

Dalle colline attorno a villaggi come Ein Zivan e Merom Golan, negli ultimi due anni gli abitanti hanno ascoltato il rumore della guerra siriana, hanno visto colonne di fumo nero alzarsi lontane, dopo le esplosioni. E con loro, i soldati della vicina base militare, che gli abitanti chiamano “gli occhi d’Israele”. Dalla postazione sulla cima di un monte lo sguardo va ben oltre le rovine abbandonate della cittadina siriana di Quneitra.

Il conflitto tra il regime e i ribelli ogni tanto ha pericolosamente rotto la calma della vita agricola, quando colpi di mortaio sparati da oltre confine sono arrivati troppo vicino alla case. “Dobbiamo ricordarci che da due anni è mezzo c’è una guerra in Siria che resta però in Siria – spiega Ronen Gilboa, il responsabile per la sicurezza di Ein Zivan – Qui la vita è normale: i bambini vanno a scuola, gli adulti al lavoro. Nulla cambierà”.

Per decenni, la regione lungo la frontiera è stata calma. Nonostante il conflitto tra i due paesi e le guerre del passato, i problemi per Israele prima della rivolta siriana del marzo 2011 non arrivavano da questo confine settentrionale. Poche ore prima che la voce di Obama rimandasse di giorni la possibilità di un attacco alla Siria, il capo di Stato maggiore israeliano Benny Gantz era proprio in Golan, in visita a reggimenti d’artiglieria. Dopo il discorso del presidente americano nel giardino della Casa Bianca, l’esercito israeliano non ha cancellato o diminuito lo stato d’allerta, ha detto domenica mattina la radio militare. In attesa di capire quale sarà la decisione del Congresso americano – che torna dalla pausa estiva soltanto il 9 settembre – le batterie del sistema anti-missilistico Iron Dome restano dispiegate vicino ai confini settentrionali e alle porte di Tel Aviv e rimangono aperti i centri di distribuzione delle maschere anti-gas. “Israele è calmo e sicuro di sé, pronto a ogni scenario”, ha detto il premier Benjamin Netanyahu.

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