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Trieste è piena di turisti delle crociere che non possono attraccare a Venezia e quindi li scaricano a Trieste Le persone fanno un giro in città e poi prendono l'autobus. Per Venezia.
I Radiohead hanno annunciato un nuovo tour che farà tappa anche in Italia Arriveranno a Bologna, a novembre. I biglietti saranno disponibili solo registrandosi prima sul sito della band dal 5 al 7 settembre.
Alla grande parata militare di Xi Jinping in Cina hanno partecipato anche dei soldati-lupi-robot Hanno sostituito i loro predecessori, i cani-robot, che evidentemente non hanno soddisfatto i generali cinesi.
Shein ha usato un modello AI uguale a Luigi Mangione in una pubblicità ma ha dovuto rimuoverla subito È durata poco, molto poco, la prima volta di Luigi Mangione come testimonial di una multinazionale (a sua insaputa).
Sulla Global Sumud Flotilla c’è anche la scrittrice Naoise Dolan «Qualunque cosa accada sulla barca non potrà causarmi più disperazione di quanta ne provocherebbe il non fare nulla», ha detto.
Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.

Un sano due di picche

Obama avrebbe tre ottime ragioni per lasciare israeliani e palestinesi al loro destino

28 Settembre 2011

Immaginatevi la scena. Un segretario di Stato americano seduto a un tavolo. Intorno al tavolo, un primo ministro israeliano e un leader palestinese. A un certo punto il primo ministro israeliano e il leader palestinese cominciano ad azzuffarsi, ad accusarsi l’un l’altro, a recriminare e, ancora, recriminare. A un certo punto il segretario di Stato si alza, tira fuori un biglietto da visita con il recapito telefonico della Casa Bianca: «Questo è il mio numero, quando fate sul serio chiamatemi». E se ne va.
Quel segretario di Stato era James Baker III, il leader palestinese Yasser Arafat, il premier israeliano Yitzhak Shamir e il numero della Casa Bianca 1-202-456-1414 – da allora immagino l’abbiano cambiato, anche perché la scena sopra descritta si svolgeva nei primissimi anni Novanta. Storia antica, direte voi? Esattamente. Infatti oggi di uomini della Casa Bianca che danno un sano e consapevole due di picche a israeliani e palestinesi che puntano i piedi non se ne vede neanche l’ombra. Ed è di questo che vorrei parlarvi, perché è da un po’ che mi frulla nella testa la stessa domanda: perché Obama non tira i remi in barca, dà il ben servito a Benjamin Netanyahu/Abu Mazen, e si lava definitivamente le mani di questo benedetto processo di pace che non sta andando da nessuna parte?
No, non sto dicendo che mi fa piacere pensare che israeliani e palestinesi continuino ad ammazzarsi per altri 60 anni. Sto dicendo che Obama avrebbe delle ottime ragioni a lasciare perdere. Io ne vedo almeno tre.

1) È una causa persa
Potremmo stare qui delle ore a spiegare perché questa non è la congiuntura migliore per anche solo pensare di potere raggiungere un accordo tra israeliani e palestinesi. C’è chi dà la colpa agli israeliani, in particolare al primo ministro Benjamin Netanyahu che continua a sostenere i coloni – e in questa tesi c’è del vero. C’è chi dà la colpa ai palestinesi, che al momento non hanno neppure un governo unito (Hamas nella Striscia di Gaza, Abu Mazen in Cisgiordania) ma cionondimeno vorrebbero dichiarare l’indipendenza unilateralmente – e anche in questa tesi c’è qualcosa di vero. Infine c’è anche chi dà la colpa agli americani, e in particolare a Obama che è molto bravo a fare discorsi e un po’ meno a ottenere risultati concreti – e forse anche in questa tesi c’è qualcosa di vero perché Obama non è il pacificatore senza macchia che alcuni avevano sperato anche se, onestamente dubito che qualcun altro sarebbe riuscito là dove lui è fallito.
Perché al momento né gli israeliani né i palestinesi sembrano intenzionati a negoziare sul serio.

2) Vedi alla voce: elezioni 2012
Poi ci sarebbe il piccolo dettaglio che Obama avrebbe cose più urgenti cui pensare. Nello specifico: la crisi economica e la sua rielezione a presidente (la seconda è messa in discussione dalla prima). Si tratta non solo di conservare le energie per le faccende domestiche, ma anche di evitare polemiche inutili. Piaccia o no, qualsiasi passo nel terreno israelo-palestinese infiamma troppo gli animi. Se un presidente dice che gli insediamenti in Cisgiordania non sono una buona cosa i gruppi filo-israeliani se la prendono, se dice che uno Stato palestinese non si può fare entro domani se la prendono i filo arabi. E siamo nel campo delle semplici parole (e delle banalità)… figuriamoci se dovessero essere dei negoziati veri.

3) Le cause perse portano sfiga
La questione rischia di essere poco elegante, ma non è un buon motivo per fingere di non vederla. incaponirsi su una causa persa non solo rappresenta un’inutile dispersione di energie: è controproducente. Banalmente, ci si fa una pessima figura – con probabili conseguenze negative per la campagna elettorale. Se Obama si dovesse mettere in testa di resuscitare a tutti i costi il processo di pace, per poi non concludere niente, alla fine sarebbe molto meglio che se avesse semplicemente deciso di relegare la questione palestinese alla serie B.
Agli elettori i perdenti non piacciono. Un motivo in più per sbattere il biglietto da visita sopra il tavolo.

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