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Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.
Ai Grammy dal 2026 si premierà anche l’album con la migliore copertina È una delle tante novità annunciate dalla Record Academy per la cerimonia dell'anno prossimo, che si terrà l'1 febbraio.
Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 
Ogni volta che scoppia un conflitto con l’Iran, viene preso come ufficiale un account dell’esercito iraniano che però non è ufficiale Si chiama Iran Military, ha più di 600 mila follower ma non ha nulla a che fare con le forze armate iraniane.
L’unico sopravvissuto al disastro aereo in India non ha idea di come sia riuscito a salvarsi Dopo l’impatto, Vishwash Kumar Ramesh ha ripreso i sensi in mezzo alle macerie: i soccorritori l’hanno trovato mentre cercava il fratello.
L’Egitto sta espellendo tutti gli attivisti arrivati al Cairo per unirsi alla Marcia mondiale per Gaza I fermati e gli espulsi sono già più di un centinaio e tra loro ci sono anche diversi italiani.
Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Un sano due di picche

Obama avrebbe tre ottime ragioni per lasciare israeliani e palestinesi al loro destino

28 Settembre 2011

Immaginatevi la scena. Un segretario di Stato americano seduto a un tavolo. Intorno al tavolo, un primo ministro israeliano e un leader palestinese. A un certo punto il primo ministro israeliano e il leader palestinese cominciano ad azzuffarsi, ad accusarsi l’un l’altro, a recriminare e, ancora, recriminare. A un certo punto il segretario di Stato si alza, tira fuori un biglietto da visita con il recapito telefonico della Casa Bianca: «Questo è il mio numero, quando fate sul serio chiamatemi». E se ne va.
Quel segretario di Stato era James Baker III, il leader palestinese Yasser Arafat, il premier israeliano Yitzhak Shamir e il numero della Casa Bianca 1-202-456-1414 – da allora immagino l’abbiano cambiato, anche perché la scena sopra descritta si svolgeva nei primissimi anni Novanta. Storia antica, direte voi? Esattamente. Infatti oggi di uomini della Casa Bianca che danno un sano e consapevole due di picche a israeliani e palestinesi che puntano i piedi non se ne vede neanche l’ombra. Ed è di questo che vorrei parlarvi, perché è da un po’ che mi frulla nella testa la stessa domanda: perché Obama non tira i remi in barca, dà il ben servito a Benjamin Netanyahu/Abu Mazen, e si lava definitivamente le mani di questo benedetto processo di pace che non sta andando da nessuna parte?
No, non sto dicendo che mi fa piacere pensare che israeliani e palestinesi continuino ad ammazzarsi per altri 60 anni. Sto dicendo che Obama avrebbe delle ottime ragioni a lasciare perdere. Io ne vedo almeno tre.

1) È una causa persa
Potremmo stare qui delle ore a spiegare perché questa non è la congiuntura migliore per anche solo pensare di potere raggiungere un accordo tra israeliani e palestinesi. C’è chi dà la colpa agli israeliani, in particolare al primo ministro Benjamin Netanyahu che continua a sostenere i coloni – e in questa tesi c’è del vero. C’è chi dà la colpa ai palestinesi, che al momento non hanno neppure un governo unito (Hamas nella Striscia di Gaza, Abu Mazen in Cisgiordania) ma cionondimeno vorrebbero dichiarare l’indipendenza unilateralmente – e anche in questa tesi c’è qualcosa di vero. Infine c’è anche chi dà la colpa agli americani, e in particolare a Obama che è molto bravo a fare discorsi e un po’ meno a ottenere risultati concreti – e forse anche in questa tesi c’è qualcosa di vero perché Obama non è il pacificatore senza macchia che alcuni avevano sperato anche se, onestamente dubito che qualcun altro sarebbe riuscito là dove lui è fallito.
Perché al momento né gli israeliani né i palestinesi sembrano intenzionati a negoziare sul serio.

2) Vedi alla voce: elezioni 2012
Poi ci sarebbe il piccolo dettaglio che Obama avrebbe cose più urgenti cui pensare. Nello specifico: la crisi economica e la sua rielezione a presidente (la seconda è messa in discussione dalla prima). Si tratta non solo di conservare le energie per le faccende domestiche, ma anche di evitare polemiche inutili. Piaccia o no, qualsiasi passo nel terreno israelo-palestinese infiamma troppo gli animi. Se un presidente dice che gli insediamenti in Cisgiordania non sono una buona cosa i gruppi filo-israeliani se la prendono, se dice che uno Stato palestinese non si può fare entro domani se la prendono i filo arabi. E siamo nel campo delle semplici parole (e delle banalità)… figuriamoci se dovessero essere dei negoziati veri.

3) Le cause perse portano sfiga
La questione rischia di essere poco elegante, ma non è un buon motivo per fingere di non vederla. incaponirsi su una causa persa non solo rappresenta un’inutile dispersione di energie: è controproducente. Banalmente, ci si fa una pessima figura – con probabili conseguenze negative per la campagna elettorale. Se Obama si dovesse mettere in testa di resuscitare a tutti i costi il processo di pace, per poi non concludere niente, alla fine sarebbe molto meglio che se avesse semplicemente deciso di relegare la questione palestinese alla serie B.
Agli elettori i perdenti non piacciono. Un motivo in più per sbattere il biglietto da visita sopra il tavolo.

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