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Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.
Nobody’s Girl, il memoir di Virginia Giuffre sul caso Epstein, ha venduto un milione di copie in due mesi Il libro è già alla decima ristampa e più della metà delle vendite si è registrata in Nord America.
YouTube avrebbe speso più di un miliardo di dollari per i diritti di trasmissione degli Oscar Nessuna tv generalista è riuscita a superare l'offerta e quindi dal 2029 al 2033 la cerimonia verrà trasmessa in esclusiva su YouTube.

Ritorno all’Ultima spiaggia

Un libro racconta l'avventura, non solo imprenditoriale, dello stabilimento di Capalbio, per anni il luogo di ritrovo estivo della sinistra italiana.

20 Luglio 2018

Correva l’anno 1986. C’era ancora la cortina di ferro, seppur leggermente sfocata. La via italiana al socialismo dormiva sogni relativamente tranquilli. Un intrepido Michele Serra, allora cronista dell’Unità in giro lungo la penisola per raccontare tic e manie dell’Italia balneare, articoli poi confluiti in un delizioso libretto dal titolo (profetico?) Tutti al mare, approda a Capalbio, borgo medioevale affacciato sul mar Tirreno al confine tra Lazio e Toscana; il motivo della visita è semplice: verificare se davvero, come si vocifera a Roma, Achille Occhetto e Alberto Asor Rosa siano li a brigare e decidere «le sorti del paese ingurgitando cappuccini». Era stato Nanni Filippini, «gli intellettuali si chiamano sempre per nomignolo», su Repubblica, un paio di anni prima, ad iniziare la lunga serie di articoli su politici o intellettuali d’area, legati o vicini al partito Comunista, che nei weekend estivi spostavano in blocco le loro residenze dai salotti romani alle terrazze capalbiesi dove, al riparo da sguardi indiscreti, passavano interminabili nottate a discutere sugli incerti destini (gia’ allora) della sinistra. Tra un tegame di lasagne al forno e, in caso di menti particolarmente creative, uno spaghetto alle vongole. D’altronde si sa, di fronte alle frustrazioni della storia l’assalto al palazzo d’inverno si stava trasformando velocemente in assalto alla cucina. Ci fosse stato un equivalente italiano di Manuel Vázquez Montalbán, si sarebbe certamente esercitato nell’arte di elaborare un identikit dei potenziali membri del gruppo capalbiese. In mancanza di italici contributi si possono tranquillamente utilizzare le sue categorie, immaginate per la gauche divine barcellonese. Lei: fremono per le guerriglie ma odiano le gonne lunghe, adorano il Che, Belloccio e Charlie Brown. Lui: chiamano lo psichiatra per un consulto sul colore del foulard e sono sostenitori delle ultime rivoluzioni, che siano sessuali o della Palestina.

Sfortunatamente Michele Serra non riuscì nell’impresa di rintracciare Occhetto e Asor Rosa. I compagni si rifiutarono di parlare e così il nostro decise che non valeva la pena tergiversare oltre e proseguì il viaggio verso altri lidi. Peccato. Fosse capitato in maremma anche solo l’anno successivo avrebbe certamente avuto un indirizzo sicuro dove andare. Direttamente sulla spiaggia. Dove quattro amici un po’ bischeri, Valerio Burroni detto “lo Straniero” (era di Grosseto), Marcello Cima detto “Pelo”, Riccardo Manfredi detto ”Cedrone” e Adalberto Sabbatini detto “il Lungo”, tutti personaggi che certo non avrebbero sfigurato in un film di Sergio Leone, in quel lontano 1987 decisero di dar vita a uno stabilimento balneare. Stanchi di cercare un nome che stentava ad arrivare lo chiamarono semplicemente “Ultima Spiaggia”, senza minimamente immaginare che quella struttura che stavano tirando su con grandi sacrifici, e che in certe giornate di tempesta ricorda quegli avamposti atlantici da fin del mundo, sarebbe diventata nel tempo uno dei lidi più chiacchierati d’Italia, addirittura un simbolo politico e culturale di un pezzo di Paese che nelle ultime decadi ha avuto qualche difficoltà a volgere lo sguardo oltre il proprio l’ombelico.

Eppure era iniziato tutto per caso, con uno stabilimento senza porte e senza finestre, al punto che i primi tempi i quattro boys lo utilizzavano anche come dormitorio per evitare spiacevoli visite notturne, e sopratutto senza un potenziale pubblico di riferimento, visto che la Capalbio mondana (vietato, in questi tempi barbari, pronunciare l’espressione radical chic), frequentava altri luoghi, più a nord, e non sembrava ci fosse aria di novità. Invece arrivò il colpo di fortuna. Da un casale poco distante un giorno si presentano, incuriositi, alcuni membri di un non meglio precisato club Freccia Alata: Borrelli, Cattaneo, Campione, Scalfari. “Abbiamo uno stabilimento”, pare abbia gridato qualcuno in sogno. E’ così che arrivarono Achille Occhetto, primo cliente noto, Claudio Petruccioli, orgoglioso inventore del celebre motto “se non è l’ultima che spiaggia è?”, Aldo Tortorella, Giorgio Napolitano e via via tutti gli altri, in una lista che negli anni si è fatta sterminata e che va dai milanesi in trasferta ai socialisti capitani da Claudio Martelli fino a Francesco Rutelli nelle sue molteplici evoluzioni. Di giorno tutti in posa allo stabilimento, per la rigorosa lettura, possibilmente a voce alta, dei quotidiani, di sera sparpagliati nelle varie magioni a discutere di sinistra e affini, «lacerati – per usare un’espressione di Enzo Biagi – da atroci dubbi metafisici».

Ora la storia di questa trentennale avventura non sono imprenditoriale viene raccontata in un volume (L’Ultima, Zigzag I Libri) pieno di belle foto (di Giovanni Carità), aneddoti, poesie e testimonianze dei clienti più assidui, dove trova posto anche una prefazione di Alberto Asor Rosa, colui che ribattezzò Capalbio, quando ancora non votava Lega e non voltava la faccia a cinquanta migranti, la “piccola Atene”, contribuendo in maniera determinante alla sacralizzazione del mito. Oggi, per le verità, un po’ sbiadito, visto che i suoi abitanti sembrano giustamente più interessati al futuro della direttiva Bolkestein che non ai drammi shakespeariani del partito Democratico.

Però scorrere le pagine di questo libro è come riavvolgere un nastro. Si parte da quatto assi di legno e un caffè shakerato (primi tentativi di modernizzazione, a sinistra, ostacoli da una minoranza) e si arriva ai giorni nostri. Nel mezzo non ci sono solo ombrelloni, buffet e gossip d’annata ma anche piccoli e grandi frammenti di storia. La Fine del Pci, la famosa copertina del Venerdì di Repubblica del 1989, che rendeva omaggio a Capalbio, il torneo di scopone dedicato a Luigi Vigna, il famoso “Me ne guardo bene” proferito da Giorgio Napolitano a chi gli domandava di una sua possibile salita al Colle, che avvenne puntualmente due giorni dopo, e la misteriosa chiacchierata tra Occhetto e La Malfa, che precedette di un giorno la caduta del Governo Goria. Roba Novecentesca.

Così, terminate le celebrazioni, non resta che la curiosità di capire se l’Ultima Spiaggia diventerà una sorta di riserva indiana, seguendo l’esempio già intrapreso, con successo, dalla sinistra, o se si aprirà anche al famigerato popolo. Qualcuno, ironizzando, mormora che sarebbe il luogo perfetto per far partire una nuova rivoluzione, Anzi, una revolucion, callendista naturalmente. Ma questa è un’altra storia.

Fotografie di Giovanni Carità
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