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Dalle prime recensioni, il nuovo Superman sembra più bello del previsto Dopo le prime stroncature pubblicate per sbaglio, arrivano diversi pareri favorevoli. Su una cosa tutti sembrano d’accordo: David Corenswet è un ottimo Clark Kent. 
Per combattere i deep fake, la Danimarca garantirà ai suoi cittadini il copyright delle loro facce Il governo sta cambiando la legge sul diritto d’autore per proteggere impedire i "furti" di volti, corpi e voci.
I fan di Squid Game hanno odiato il finale della serie e quindi si stanno facendo i loro finali usando l’AI Sui social c'è già chi propone lo Squid Game dei finali di Squid Game, il vincitore diventa quello ufficiale.
Una delle ragioni del disastro causato dell’alluvione in Texas potrebbero essere state le troppe allerte meteo ricevute dalla popolazione Si chiama warning fatigue, cioè la tendenza a sottovalutare o ignorare un pericolo che viene segnalato troppe volte e troppo spesso.
Netflix ha annunciato la data d’uscita della serie di Stefano Sollima sul Mostro di Firenze E ha pure pubblicato il primo teaser trailer. Si parla già di una possibile prima alla Mostra del cinema.
Dopo più di 100 anni di attesa, la Senna è stata balneabile soltanto per un giorno Nei tre punti balneabili del fiume è già stata issata di nuovo la bandiera rossa. Stavolta, però, la colpa è della pioggia.
Una ricerca conferma che l’estate in Europa ormai dura quasi sei mesi  Un ricerca evidenzia come, da Atene a Terana, l’ondata di colore associata all’estate duri oltre duecento giorni l’anno. 
Si è scoperto che le compagnie low cost premiano i dipendenti degli aeroporti più bravi a trovare i bagagli a mano troppo grandi In un’email pubblicata dal Guardian si legge di un premio di una sterlina per ogni bagaglio extra large denunciato.

Tullio Pironti, una vita da farci un film

È morto a 84 anni l'editore napoletano che ha portato in Italia Don DeLillo e Bret Easton Ellis.

16 Settembre 2021

L’ultima volta che andai a trovare Tullio Pironti, c’era da celebrare i suoi ruggenti ottant’anni, lo trovai nel retro della sua gloriosa libreria, ospitata all’interno di uno storico edificio vanvitelliano che si affaccia su Piazza Dante, completamente assorto in una scorbutica partita di scacchi con un sedicente “principe del foro”. Terminata la sfida si scusò dell’attesa, mi prese sottobraccio, mi accompagnò fuori dalla libreria e forse colto da un principio di malinconia cominciò a raccontarmi meravigliose storie su antichi personaggi che un tempo bazzicavano la piazza cercando di tirare a campare. Come Fortunato, l’ambulante inventore della settimana corta (“lunedì riposo del personale”), o “maniella argiento”, il più abile borseggiatore napoletano. Lo chiamavano così perché si massaggiava le mani con la crema tutte le mattine e poi le faceva scivolare nelle tasche degli altri con una leggerezza indescrivibile. O. Come Maria ‘a longa, una morona che vendeva sigarette di contrabbando che si potevano ritirare direttamente dalla sua generosa scollatura. «Le chiamavano le sigarette cu’ ‘o sfizio. Era un’atra Napoli», sorrise, «oggi non esiste più».

Tullio Pironti quella città l’aveva conosciuta a fondo e per un periodo aveva anche provato a cambiarla, o meglio a influenzarla. Non solo con la storica libreria di famiglia ma con una bizzarra casa editrice che per almeno un quindicennio fu una delle realtà più sorprendenti nel panorama editoriale italiano del II dopoguerra, capace di muoversi con leggerezza tra testi di impegno civile e sorprendenti scoperte letterarie, come quella di Don de Lillo, è grazie a lui se abbiamo letto Rumore Bianco, o di Bret Easton Ellis, il giovane scrittore americano autore di Meno di zero.

Eppure non proveniva certo dal milieu della decantata borghesia intellettuale partenopea ma era uno dei tanti scugnizzi di via Tribunali, che non si era sforzato neanche di prendere la licenza media. Era per puro spirito di competizione che allora, giovanissimo, si era messo a tirare di boxe – frequentava la palestra Olimpia, nella strada più elegante della città – arrivando a essere inserito tra i venti migliori dilettanti d’Italia e diventando amico di un giovane e promettente triestino che si chiamava Nino Benvenuti. Raccontano che fosse un buon peso welter, tecnico e veloce, ma che nei suoi occhi si potesse scorgere l’ombra della paura. «Sapevo boxare, ma non volevo prendere cazzotti, per questo ho smesso. Avevo paura, ma non lo considero un difetto». Il titolo della sua autobiografia, che dovrebbe essere ripubblicata da Bompiani, andrebbe letta anche solo per il fenomenale titolo: Libri e cazzotti.

L’idea di fare l’editore nacque quasi per caso, nel 1972, quando un amico gli consigliò di raccogliere le corrispondenze dalle Olimpiadi di Monaco del giornalista Mimmo Carratelli. Ma la svolta arrivò nel 1979, grazie all’incontro con il giornalista Joe Marrazzo. «Lo incontrai in un ristorante di Piazza Dante, mi presentai e gli chiesi se era interessato a scrivere un libro su Raffaele Cutolo. Il giorno dopo, in una sala dell’Hotel Excelsior, gli diedi cinque milioni di anticipo e firmammo il contratto». Il Camorrista, uscito due anni più tardi, vendette oltre centomila copie. «A Joe Marrazzo devo tutto. È stato uno degli incontri fondamentali della mia vita».

L’altro fu quello con Fernanda Pivano. La scrittrice e traduttrice amica di Hemingway gli telefonò un giorno incuriosita di sapere chi fosse quello sconosciuto editore che era riuscito a conquistare i diritti di Bret Easton Ellis in un’asta telefonica battendo Mondadori. «Ma io non sapevo chi fosse la controparte. Mi dissero solo che oltre 50 milioni loro avrebbero dovuto riunire il consiglio di amministrazione, così con i soldi che avevo guadagnato in libreria con la scolastica ne offrii 51 e mi accaparrai il libro. La Pivano si divertì molto e mi regalò una prefazione di cinquanta pagine, che in realtà era una breve storia della letteratura americana». E fu sempre lei a suggerirgli, dopo una cena milanese, di comprare i diritti di Raymond Carver.

I sogni però non durano per sempre. La sua casa editrice non aveva uno straccio di strategia, navigava a vista, improvvisando, seguendo l’istinto del suo proprietario o i suggerimenti di amici, non sempre affidabili. Con qualche imprudenza di troppo. Come quando si precipitò nelle campagne bolognesi per acquistare, senza averla letto, la biografia di Licio Gelli, allora latitante. La mia Loggia, questo il titolo suggerito dal venerabile, si rivelò una bufala, una sorta di improbabile autodifesa, e Pironti si rifiutò di pubblicarla. Ma quando uscì sui giornali la notizia che l’editore napoletano aveva comprato i diritti del manoscritto del fondatore della P2 il giudice Sica accorse immediatamente in libreria per sequestrare il manoscritto. Anche con Giulio Andreotti non funzionò. «Lo andai a trovare a palazzo Giustiniani», ricordò una volta, «avevo già in mente il titolo, Lo giuro sul mio onore, ma lui mi propose di pubblicare un libro scritto dai suoi legali. Che noia, me ne andai sconsolato».

Probabilmente con il passare degli anni si era anche un po’ stancato di fare l’editore, una volta terminata la spinta competitiva. «Ho sempre mancato l’ultimo traguardo», ha scritto nell’ultima pagina della sua autobiografia. Ma non era un vero rimpianto. Più che altro una riflessione sul tempo che passa. Di certo si sentiva amareggiato per non aver mai trovato un vero supporto da parte delle istituzioni. La voglia di fare il libraio invece, quella non gli è mai passata. Fosse nato in qualche quartiere del Queens da una famiglia di emigranti invece che a spaccanapoli, ci sarebbe già stata la corsa a trasformare la sua storia in una leggendaria epopea. Una roba alla Sergio Leone. Come dice Noodles, uno dei più grandi perdenti della storia del cinema, all’inizio di C’era una volta in America: «I vincenti si riconoscono alla partenza». Giuseppe Tornatore una volta disse a Pironti che gli sarebbe piaciuto fare un film sulla sua vita, ma poi come spesso accade non se ne fece più nulla. Chissà che non sia giunto il momento per ripensarci.

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